BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 18/09/2006

I VOUCHER FORMATIVI

di Emanuele Fontana

Una prima sintetica definizione.

Si fa un gran parlare di voucher formativi: strumenti per accedere con alto grado di personalizzazione alle risorse pubbliche in tema di formazione. Vale a dire che il provider di finanziamenti pubblici per la formazione (Regione, Provincia, o quant’altro) eroga un voucher (un buono formativo) da spendere in ragione dei propri bisogni di formazione laddove si ritenga più opportuno farlo.

Un modello individualizzato che permette sulla carta di reperire risorse e utilizzarle a discrezione in corsi di formazione, esperienze pratiche di apprendimento, convegni, ecc.

Queste la definizione, il modello e il fine del percorso ma poi c’è la declinazione del processo che non è così lineare come sembra. Perlomeno per le esperienze che ho potuto avere.

Un mercato sopravvalutato.

Il punto di partenza per questo modello di formazione scaturisce dalla richiesta di personalizzazione del servizio voluta e attuata dalla UE fin dalla fine degli anni ’90. Sperimentazione in questo senso si sono viste già in Italia e nel resto d’Europa con l’apprendistato, la Legge 236/93, ecc. Basta dare un sguardo ai siti delle regioni italiane per capire che negli anni ci sono state svariate interpretazioni dello strumento.

Su un piano elevato la cultura del servizio e della sua erogazione efficace ed efficiente a 360 gradi ha contribuito non poco a far emergere le richieste di personalizzazione anche nella formazione. La UE non ha tardato a far sue richieste che il mercato aveva già manifestato. Ma questo è un altro discorso che qui non si può fare per ovvie ragioni di tempo e spazio.

Ritornando perciò allo strumento si rileva immediatamente la problematica di fondere un approccio personalizzato con un’offerta in termini di prodotti e servizi non altrettanto sviluppata.

A guardare anche sommariamente il mercato della formazione in Italia, per esempio, si intuisce subito un proliferare di attività, corsi, e offerte più o meno strutturate che fanno capo a Università, scuole, società di consulenza, agenzie formative, enti no profit, enti locali, ecc. Non mancano programmi, progetti, percorsi con caratteristiche generaliste o specialistiche. Un mare di iniziative che sulla carta sembrerebbero fornire al cittadino uno spettro amplissimo di scelte.

Basta però affinare la ricerca per capire come all’offerta così ampia di formazione (mi riferisco a qualsiasi tipo di iniziativa formativa, finanziata dall’ente pubblico o libera) non corrisponde altrettanta domanda. Quanti e quali corsi dei centinaia proposti partono effettivamente, quanti e quali giungono alla fine. Nessuno ha mai provato a gestire un’indagine di tale portata. Ma empiricamente si può facilmente dimostrare che solo una minima parte dei corsi in catalogo vengono poi effettivamente svolti.

Basta iscriversi a qualsiasi iniziativa di formazione e aspettare la chiamata della segreteria.

Ci si accorge che i corsi sono più facili da progettare che realizzare.

Si naviga a vista.

Il fatto è che i provider della formazione finanziata hanno fatto un ragionamento molto semplice, aldilà dei proclami e delle idee innovative da tradurre in “best practice”.

C’è, sulla carta, un ricchissima offerta formativa. Allora perché non dare al cittadino uno strumento flessibile, agile, come vuole la UE, che gli consenta di spendere il denaro pubblico in modo personalizzato: andando dove gli pare.

L’idea in se è encomiabile. Fornirebbe al mondo della formazione finanziata la vitalità necessaria a superare i blocchi prodotti da troppi anni di programmazioni fatte a caso, gestioni immonde, derive tangentizie che purtroppo si sono viste e si vedono da anni (chi non si è mai imbattuto in un articolo che fa luce sull’ennesimo “scandalo della formazione”).

L’idea però deve essere declinata sulla realtà. Il lavoratore e il cittadino che vogliono imparare qualcosa, rinfrescare le proprie competenze o semplicemente fare un’esperienza di socializzazione attraverso un percorso formativo, vanno dal provider, prendono il loro voucher e lo vanno a presentare all’ente che dovrebbe erogare la formazione. Non c’è bisogno di elaborare un modelli statistico o sviluppare analisi particolari per recepire quello che di fatto avviene.

Con le risorse del voucher individuale non si può gestire un corso intero. Perché come logia vuole (e per fortuna così è stato) il voucher è tarato su un costo standard per un numero di ore/allievo ben definite. Cioè si assegnano voucher individuali che al massimo possono arrivare a 4000 euro ma per corsi che hanno durate non inferiori alle 600 ore. Logicamente per corsi di 12, 16, 20 ore non vengono erogate che poche decine di euro. Mediamente il voucher assegna risorse per un massimo di 30euro/allievo/ora.

Poniamo l’esempio di un impiegato addetto all’ufficio acquisti. Vede un bel corso sulla gestione della sua mansione, erogato da una società di consulenza. Va dal provider, prende il voucher (non parlo di procedure di richiesta, accettazione, ecc), torna dalla società e chiede di fare il corso. Bene. La società però attiva il corso solo con un numero minimo di 10 partecipanti e se questi non ci sono come fa ad accontentare il potenziale allievo?

Non voglio complicare ulteriormente l’argomento citando le procedure che riguardano l’assegnazione l’erogazione del voucher. Basta pensare che comunque si tratta di bandi pubblici, per cui è logico che abbiamo tutta una serie di sistemi di scadenze onorare, parametri da rispettare e complicazioni burocratiche da gestire.

Lasciando appunto da parte l’inefficienza del settore pubblico, che troppe volte dobbiamo subire, è comunque evidente che non si può applicare una logica di estrema personalizzazione del servizio ad un mercato che fa del suo punto più forte la non spersonalizzazione.

I corsi si fanno e si sono sempre fatti per gruppi di persone. L’unità singola non è stata mai presa in considerazione.

Progettare un corso e realizzarlo sono il punto di partenza e il punto di arrivo minimi di un processo che qui in Italia è considerato tarato su un gruppo di persone, non su un singolo individuo.

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