BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 08/10/2007

FENOMENOLOGIA DEL MASTER

di Emanuele Fontana

Parto dalla definizione di Francesco circa l’MBA:
“In latino si diceva artium magister, e quindi in inglese magister of art, e poi master of (o in): potremmo perciò dire ‘maestro nell’arte di amministrare gli affari’. Di qui la denominazione della scuola tramite la quale si diventa maestro: Business School” (1) .
In verità la voce del libro citato è Amministrazione, da cui si evince appunto la definizione di master in business administration o MBA.
Quello che mi interessa è la natura e la finalità del Master, non necessariamente MBA ma modello di apprendimento formalizzato con il quale ci si specializza in un determinato aspetto della gestione aziendale e non solo. Si, perché oggi il master non è più vincolato ad un’ottica di formazione specifica per il vertice (presente o futuro) aziendale ma un modello di apprendimento strutturato per tutti i settori del sapere. Ci sono Master in scienze umane, in storia, in scienze naturali, in qualsiasi ambito disciplinare del sapere accademico. Un mondo che dal 1999 e soprattutto dal 2001, anni della riforma (o presunta tale) universitaria, è diventato eterogeneo, di difficile comprensione pratica.
Dei modelli dominanti negli anni ’80 e ’90, figli a loro volta di esperienze americane più antiche, è rimasto ben  poco. Il Master di reclutamento, gestito da note e importanti business school, che producevano maestri in abbondanza per il sistema delle grandi imprese, soprattutto localizzate nel nord Italia è praticamente in via di estinzione. Fagocitato dal proliferare dei Master accademici, quelli gestiti da professori universitari e loro collaboratori. Questi Master di fatto hanno preso campo per due ordini di motivi: uno appunto la riforma universitaria che li ha resi formalmente possibili, due il costo.
Un Master di qualsiasi nota business school costava nei ’90 non meno di quindici, venti milioni delle vecchie lire. Ad oggi, un ottimo master accademico, non costa più di cinque mila euro: la metà. Va da se che il richiamo accademico del titolo e il costo non potevano che produrre una forte limitazione del Master vecchio stampo con ripercussioni decisamente negative per i masterini.
Se infatti il Master di reclutamento della business school era pressoché un ponte effettivo per l’ingresso in azienda, il master accademico, vede fortemente ridursi questa opportunità in quanto è:

  1. meno orientato ad un colloquio continuo e prolifico con le aziende;
  2. più generico e teorico;
  3. meno radicato nel mercato del lavoro effettivo.

Insomma pur ammettendo che i contenuti sono decisamente migliori rispetto al “vecchio” master, è innegabile che per qualsiasi Università italiana è difficile, se non pressoché impossibile, garantire a 50 o 60 masterini un impiego immediato dopo la conclusione del percorso didattico.
Il “vecchio” master consentiva invece un ingresso quasi immediato. In pratica, l’ho detto più volte, imperava il modello dell’acquisto di cariche pubbliche di ancient regime. Chi se lo poteva permettere diventava Officier comprandosi il posto. Di fatto investire venti milioni, più spese, su un master significava garantirsi, per vie del tutto trasparenti e legittime (ovvia precisazione), il posto in azienda.
Un solo dato suffraga queste mie brevi note: i master universitari di primo e secondo livello (la differenza è ovviamente solo illusoria) sono in Italia quasi 2.300 (2) . Un numero enorme che genera una offerta complessiva di più di 45.000 utenti formati a fine ciclo, cioè fra otto, dieci mesi.
Il totale viene fuori semplicemente considerando un numero medio di partecipanti ad ogni master di 20 ragazzi e ragazze appena laureati.
Quanti di questi ragazzi e ragazze saranno effettivamente inseriti in azienda nel giro di un anno?
Ho parlato di modelli vigenti precedentemente alla rivoluzione dei master accademici. Il secondo modello è quello dell’MBA propriamente detto. Cioè quell’esperienza di formazione che si svolge dopo un primo periodo di lavoro. In questo caso siamo di fronte ad un modello ancorché vecchio ma pur sempre interessante.
Non voglio citare le poche business school che praticano questo modello in Italia. Sono comunque quelle, serie e affidabili, che producono risultati innegabili. Cioè garantiscono la progressione di carriera ai partecipanti. A fronte di un investimento che non è di poco conto. Si parla di circa 50, 60 mila euro per un MBA in Italia (costi onnicomprensivi di istrione, vitto, alloggio, ecc, senza però considerare il mancato reddito dell’utente).
Ritorna il concetto di Officier ma su basi ben concrete e soprattutto (è il caso di quasi tutti i masterini MBA) a spese dell’utente e non più della famiglia dell’utente.


1 - Francesco Varanini, Le parole del manager. 108 voci per capire l’impresa. Guerini e Associati, Milano, 2006, pag. 13.

2 - Fonte: Il Sole24ore di lunedì 17 settembre 2007

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