NAVIGANDO SU BLOOM HO TROVATO....
di Maura Fulle
E' da molto tempo che desidero dare un contributo a Bloom, non fosse altro che per esprimere la mia "solidarietà" e stima personale (prima che professionale) a degli amici che con tanta convinzione ed umiltà hanno fondato un luogo di confronto e, per me anche di conforto quotidiano, che dà l'energia di continuare ad operare nel settore dell'Organizzazione.
Ma, ogni volta che accedo
a Bloom e leggo gli spunti forniti dagli amici in rete, mi sembra di non avere
più nulla da aggiungere a quanto sia già stato detto e comunque
non saprei farlo così bene come lo ha fatto chi mi ha preceduta
.
In fondo, per chi opera come me da una decina d'anni nello Sviluppo organizzativo
in aziende di dimensioni significative non dovrebbe essere difficile raccontare
un'esperienza di successo o di insuccesso, ma nessuno spunto mi aveva stimolata
fino a quando leggendo qua e là mi sono imbattuta nel contributo
fornito da Roberta Paini e nelle risposte di Francesco
Varanini.
Il pensiero di Roberta
(mi permetto di rivolgermi confidenzialmente) per come l'ho "potuto"
capire io (pertanto se la mi interpretazione delle sue parole fosse fuorviante
rispetto al suo pensiero me ne scuso sin da ora) rappresenta il conflitto concettuale
contro cui mi scontro quotidianamente in azienda; un conflitto rappresentato
da Roberta in modo molto più colto e ed acuto di quanto il management
della mia azienda sia in grado di descrivere, ma comunque, un ostacolo al cambiamento.
Se, dal punto di vista puramente concettuale concordo con la lettura di Roberta
delle dinamiche aziendali della negoziazione, della progettazione e dello sviluppo
dei progetti mi sento di suggerire di abbandonare anche solo per un esercizio
mentale la sua impostazione e di appoggiare il nuovo paradigma interpretativo
sostenuto da Francesco Varanini fatto di "frammenti
ed interstizi".
E così facendo ho trovato senso nell'adottare "l'alternativa interstiziale
al progetto" e con la sperimentazione ho trovato anche qualche successo
professionale e personale.
Forse per un attimo, come dice Roberta, mi sono calata (o trovata, poco importa)
nei panni del "perdente e dell'idiota" e ho pensato e agito in modo
un po' meno aprioristico ed analitico di quanto la mia impostazione culturale
mi imponesse di fare e ho scoperto come le aziende funzionino grazie ai singoli
contributi (frammenti che dir si voglia) e come questi siano alimentati, volenti
o nolenti, da bisogni profondamente interni che nessuna struttura di progetto,
per quanto sia "totale", è in grado di cogliere e valorizzare.
Forse è perché non ho mai creduto che tutta la realtà "dei
rapporti di lavoro sia fondata su scarsa professionalità, povertà
intellettuale e isteria per l'assenza del potere agognato"; forse perché
ho creduto che le singole voci se opportunamente ascoltate possano produrre
una musica piacevole, anziché noioso rumore; forse perché ho pensato
che promuovere un nuovo paradigma avrebbe fatto bene alla mia azienda e, perché
no, anche a me.
Ne sono uscita arricchita umanamente e nel "metodo".
La vera forza della "filosofia" dell' "interstizio" sta
nell'aver generato alcuni "frammenti conoscitivi" che oggi sono sparsi
in diverse aziende e che hanno il coraggio di "sperimentare" con successo,
anche a fronte di personaggi che chiedono di cambiare mestiere mentre, inconsapevolmente
ratificano ciò che si fa.