BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/05/2007

CINQUE DOMANDE IMPERTINENTI. A PROPOSITO DI LEGGERE PER LAVORARE BENE

di Nicola Gaiarin e Francesco Varanini (1)

  1. Nell’introduzione a Leggere per lavorare bene, parli di letteratura come forma di autoterapia. Qual è stato il tuo libro “terapeutico”, il tuo libro per lavorare bene?
    Si va a periodi. Se devo citare un romanzo che è stato per me 'terapeutico' in un periodo di vita aziendale per me molto difficile, direi l'Assistente di Walser. A pensarci bne si tratta di un periodo difficile che posso datare circa dieci anni dopo il momento difficile nel quale –come ho scritto nell'introduzione–  non avevo di meglio da fare che leggere Dostojevskij seduto ad una scrivania provvisoria, in attesa di nuovo incarico. Segno che i periodi difficili, forse, attraversano ciclicamente la nostra vita, anche se naturalmente sarebbe meglio che non si affacciassero nemmeno.
    L'Assistente è molto interessante, perché ci mostra il grado massimo di adattamento ad un ruolo 'minore', senza che per questo la persona perda in dignità. L'assistente, o segretario o portaborse, impara, invece, ad essere “rotondo come una palla”, inattaccabile a cattiverie ed offese. Orgoglioso del suo ruolo, anzi. Il piacere è esaltato dai vincoli. Portare un'uniforme, stare nei confini di un ruolo è fonte di una sottile soddisfazione. Non voglio dire che non si debba cercare di più per noi, ma il pensare all'adattamento come fonte di felicità ci permette di vivere bene anche le situazioni in cui le condizioni non ci aprono spazi di carriera e di miglioramento. E questo è importante.
  2. Quali scrittori sarebbero potuti essere dei buoni manager?
    Secondo il mio criterio generale direi tutti, è il mio assunto di partenza, tutti i buoni romanzieri sono migliori di tutti i buoni manager. Certo, dovremmo intenderci su cosa intendiamo per 'buoni'... ma ho già letto la domanda che mi fai di seguito e forse in qualche modo rispondo lì.
  3. Stai facendo selezione del personale per un’azienda: quali scrittori assumi e in quale ruolo?
    Tolstoj alla Direzione del Personale, Musil all'Organizzazione, Zola al Marketing, Goethe a fare Ricerca & Sviluppo, Balzac a fare Finanza & Controllo. Finanza creativa, naturalmente. Balzac otterrebbe sul breve grandi risultati, ma finirebbe male, molto male. Quindi no, non lo assumerei.
    Queste comunque sono ancora  scelte consuete, fondate sull'attitudine e su ciò che la persona sa già fare. Quindi, per dire meglio, sarebbero le scelte di un buon Head Hunter. Seguendo più la mia natura, invece, metterei in un posto qualsiasi gente come Henry Miller e Kurt Vonnegut e Philip Dick. A Miller, come si legge in uno dei capitoli del mio libro –e naturalmente nel romanzo a cui il capitolo si riferisce, Tropico del Capricorno– è capitato davvero, e si sa cosa è risucito aa fare e anche come è andata a finire. Kurt Vonnegut ha lavorato alla General Electric (a Piano meccanico, il suo romanzo più vicino a questa esperienza aziendale, è dedicato uno dei quarantaquattro capitoli non compresi nei Romanzi per i manager e in Leggere per lavorare bene; staranno forse in miei libri futuri). Dick, per quanto ricordo, non è andato oltre l'aver lavorato come commesso in un negozio di dischi.
    Miller, Vonnegut e Dick sono, dal mio punto di vista, casi esemplari di persone geniali, che farebbero un gran bene in ogni organizzazione, purché fosse permesso loro  non solo di muoversi in autonomia, ma anche di costituirsi ad  e sempio e di dettare qualche norma. Il genio, si sa, confina con ciò che si suole chiamare 'pazzia'. Una buona organizzazione è quella che sa valorizzare la pazzia dei suoi dipendenti o collaboratori.
  4. Esistono dei saggi che sarebbero potuti stare accanto ai tuoi “romanzi per manager”?
    Molti, naturalmente. Ricordo anche che per la mai generazione, attorno al sessantotto, era quasi proibito leggere romanzi. Quindi ho letto molti saggi, in un certo periodo della mia vita solo saggi.
    Mi viene anche in mente che ci sono romanzi che hanno in un saggio il loro specchio, in qualche caso si tratta di libri scritti dallo stesso autore: mi viene in mente ora Canetti, Autodafé -romanzo che sconfina nel saggio- e Massa e potere, saggio che sconfina in romanzo, sono in realtà lo stesso libro. Voglio dire che spesso è difficile distinguere un saggio da un romanzo, e viceversa. In buona misura l'opposizione fiction vs. non fiction   non è una segmentazione del marketing editoriale. Un buono scrittore scrive come gli pare.
    Queste divagazioni non mi esimono dal risponderti. Come per i romanzi che presento in Leggere per lavorare bene, penso in ogni caso non a saggi scelti con un criterio enciclopedico, o esteetico: i più importanti, o i migliori. Penso piuttosto a saggi scelti in base a una 'affinità elettiva', saggi che mi sono capitati in mano in un dato momento della mia vita, e mi hanno in qualche modo illuminato. Posso dire quello che mi viene in mente ora (in un altro momento direi di sicuro una cosa diversa): Berger e Luckmann, The Social Construction of Reality (il titolo della traduzione italiana, La realtà come costruzione sociale,mi suona male), l'Ecologia della mente di Bateson, l'Autopoiesi di Varela e Maturana, La torre di Babele di Steiner, La carne la morte e il diavolo di Praz, Il labirinto della solitudine di Paz.
  5. Cosa non leggere per lavorare bene?
    I libri che fanno l'apologia del rifiuto del lavoro, i libri che deridono il lavoro, i libri   che sostengono che è impossibile 'lavorare bene'. Preciso che per 'lavorare bene' intendo    cercare un'oggettivazione, una realizzazione di sé. Questo è possibile anche nelle condizioni più difficili. Lavorare bene è lavorare pensando al fatto che senza lavoro non c'è creazione di ricchezza. E allo stesso tempo lavorare bene è 'lavorare su di sé', costruire la propria dignità e l'immagine di noi stessi.
    Dunque direi di non rileggere i romanzi di fine anni settanta che parlavano del diritto ad  una remunerazione a prescindere dall'atteggiamento mostrato rispetto al lavoro, tipo Vogliamo tutto di Balestrini. In quegli anni imperava la cultura marxista, ma in questi libri c'è una cattiva lettura di Marx. Marx non ha mai parlato di rifiuto  del lavoro, parlava al contrario di come la persona viene derubata del piacere del proprio lavoro, e si interrrogava su come il lavoratore potesse, anche nel contesto della fabbrica, riappropriarsene.
    Venendo a libri più recenti, libri da non leggere, anzi da disprezzare, citerei Buongiorno pigrizia di Corinne Meier, elogio dell'imboscato. E il libro di Dan Kieran, The idler book of Crap Jobs, in italiano credo che sia Cento lavori orrendi. Nessuno dei lavori banalmente elencati da Kieran, elencati con cattiveria, con la cattiveria impotente di una persona capace solo di attribuire colpe agli altri, nessuno di quei lavori è orrendo. Tutti questi impieghi precari maniacalmente elencati, in fondo, non sono che varianti del lavoro del fattorino di cui ci parla Henry Miller. Miller non rifiuta il mondo com'è, vede con chiarezza le brutture, ma mostra anche come in quel mondo ci si può muovere.

 1- Nicola Gaiarin mi ha proposto cinque domande via mail, a proposito del mio libro Leggere per lavorare bene (Marsilio, 2007). Non ha ancora letto le risposte. Per chi è a Milano il prossimo 5 giugno segnalo una occasione di incontro legata al libro. (Nota di F.V.)

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