LA DELEGA
TECNOLOGICA
di Loredana Galassini
I Cyborg, uomini metà
macchine, circuiti stampati e relais e metà carne, molecole organiche,
sangue e ossa; elaboratori elettronici che utilizzano sinapsi e connessioni
molecolari derivanti dal cervello umano; ambienti artificiali che riproducono
- sterilizzandone i prodotti ritenuti nocivi - l'ambiente naturale; tecnologie
di ibridazione che inseriscono nello stesso DNA delle specie viventi "informazioni
genetiche" costruite in laboratorio, elaborate da un computer; attuatori
meccanici che moltiplicano e amplificano la forza naturale di un braccio, di
una gamba, comandati da impulsi elettrici "istintivi" prelevati direttamente
dal cervello umano; organi artificiali che - con l'obiettivo di prolungare "a
qualsiasi costo" la vita - diventano parte integrante e indispensabile
della biologia umana; microchip impiantati nel corpo umano per "monitorare"
e governare sentimenti e azioni dell'individuo, con lo scopo apparente di migliorarne
la qualità della vita e la risposta alle "aggressioni" dell'ambiente
naturale che ci circonda: non è un mondo futuristico inventato dalla
fantascienza, ma il futuro prossimo venturo che ci viene ormai sempre più
prospettato dalla scienza, dagli scienziati, convinti, nella stragrande maggioranza,
che un ambiente artificiale "edulcorato" dalle "imperfezioni"
del mondo naturale sia meglio per l'uomo stesso, sia l'ambiente che possa consentire
all'individuo una vita realmente sana e prolungata indefinitamente nel tempo.
Ma a quale prezzo?
A Palazzo Cattaneo di Cremona si è svolto, in questi giorni, il primo
incontro sul tema "Uomo e tecnologia", occasione per presentare un
seminario di studi curato dal professor Giuseppe O. Longo, docente di Teoria
dell'Informazione all'università di Trieste, basato sul problema della
"Delega tecnologica e della perdita della base biologica dell'uomo".
Dall'interazione tra uomo e macchina si sta rapidamente passando all'integrazione
tra esseri viventi e biotecnologia. Quest'ultima, ignorando l'evoluzione biologica
naturale, lenta e robusta, che ha consentito finora alle specie viventi di cavalcare
la propria storia senza autodistruggersi, avanza con estrema velocità,
ma in maniera fragile, arrivando a contaminare e a ibridarsi con la specie umana
senza aver ancora identificato quelli che normalmente gli scienziati chiamano
"effetti collaterali" e che invece potrebbero rappresentare un potenziale
rischio di collasso e di regressione per gli esseri viventi. Stanno nascendo
così gli "embrioni" di una pseudospecie vivente che modifica
non solo l'ambiente esterno - come ha sempre fatto l'uomo, anche sconsideratamente
e senza tener conto delle conseguenze a lunga scadenza - ma lo stesso ambiente
"interno" del patrimonio genetico e biologico dell'umanità.
Una pseudospecie che trasferisce le funzioni dell'uomo alla macchina. L'uomo
delega, trasferisce ad una astratta tecnologia funzioni e strutture come, ad
esempio, la memoria o come la capacità di elaborazione e in questo trasferimento
rischia di perdere il controllo della sua interazione con l'ambiente e con le
altre specie viventi, indebolendo anche le proprie capacità biologiche.
Alla ricerca spasmodica di una sempre più profonda interazione tra uomo
e macchina si svilisce l'esperienza uomo-mondo e uomo-uomo. Salta il filtro
comunicativo dato dalla biologia e dalle biodiversità e si trasforma
il modo di conoscere, di apprendere, di interagire direttamente con l'ambiente,
secondo principi di interdipendenza che diventano sempre più labili,
sempre più violabili a scapito del mondo che ci circonda e che fino ad
ora ha consentito l'evolversi della vita. Il mito dell'onniscenza, dell'onnipotenza
e dell'immortalità spazza via il dubbio, l'accettazione dell'imperfezione,
dell'evoluzione fatta in armonia con l'ambiente e in simbiosi con esso perché
con la tecnologia sembra possibile bruciare le tappe evolutive, perché
alla tecnologia si sta sempre più delegando il controllo e soprattutto
la gestione del nostro vivere quotidiano in un ambiente biologico.
Nel rapporto con la tecnologia, con la velocità e la potenza di elaborazione
dei moderni computer, l'uomo teme di avere un cervello ancora fermo al paleolitico
e pensa attraverso queste tecnologie di poter fare il salto definitivo, quello
che lo porterà a non dipendere più dalle imperfezioni dell'ambiente
che lo circonda. E la scienza sembra sul punto di offrire l'intera specie umana
per questo che apparentemente è un esperimento, ma che in realtà
sempre più si va trasformando in una via senza ritorno - e senza conoscenze
reali, ma solo virtuali non solo delle conseguenze, ma anche degli effetti a
lungo, lunghissimo termine sulle specie viventi - una via che deve essere praticata
a tutti i costi in nome di un'astratta bellezza, intelligenza, immortalità.
La protesi diventa abitudine e naturalità, in questo contesto; le nuove
tecniche comunicative estendono la loro presenza e la loro autonoma personalità
e l'uomo si vede costretto, consenziente o meno, ad amputare parte del suo sistema
comunicativo, della sua capacità di percezione "naturale" dell'ambiente
per potenziare se stesso e la sua presunta - e presuntuosa - diversità.
Una sorta di coevoluzione tra uomo e macchina in cui cultura e biologia umana
andranno ad inglobare la tecnologia o la tecnologia, forse, ingloberà
la cultura e la biologia umana.
Ma l'essere umano, nella sua interezza, è oggi un analfabeta rispetto
all'artificiale, alla tecnologia applicata alla biologia. E c'è il rischio
- non certo fantascientifico - che sistemi artificiali esperti, robot evoluti,
possano ribellarsi alla propria condizione, pretendendo altro. L'uomo, dal canto
suo, è assolutamente impreparato sul piano giuridico, ma soprattutto
sul piano etico e culturale alla interazione sempre più stretta con la
responsabilizzazione sempre più allargata delle macchine nella gestione
della nostra vita.
Mentre una crisi ecologica ci investe sia esternamente che internamente, l'uomo
che ha sempre utilizzato l'ambiente a suo uso e consumo fino a perderne il controllo,
cerca la propria salvezza nelle macchine mentre incombe una sesta estinzione
di massa che potrebbe riguardare proprio la nostra specie.
Ma sono, innanzitutto, i fattori culturali della vita sociale dell'uomo che
controllano l'ambiente e sono legati al cibo: antico, primario e, ancora oggi
insostituibile.
Esiste un aspetto etico ed economico del cibo che, finché apparterremo
al mondo animale ci riguarderà, ma che non viene preso sufficientemente
in considerazione. Negli ultimi 100 anni abbiamo perduto il 75% della diversità
in agricoltura e si produce cibo economico ad alto prezzo.
I costi nascosti dell'agricoltura, dove si sta giocando la guerra dei brevetti
e della sovranità alimentare, inducono ad analisi, anche qui dolorose
perché, per esempio, di 46 mila specie di riso ne rimangono ora appena
2 mila. Eppure il riso, pianta straordinaria, aveva adattato la propria morfologia
all'ambiente in maniera quasi perfetta. In zone desertiche si adatta a non avere
acqua, se c'è acqua salina (smentendo teorie finora accreditate che negano
al riso la possibilità di vivere in quell'ambiente), riesce a resistere
e riprodursi fino ad un 14% di cloruro di sodio. Recentemente, in India, sono
state scoperte due nuove varietà di riso e, invece di brevettarle, i
diritti sono custoditi dalle popolazioni indigene.
Scienze millenarie di conservazione e di rispetto per l'ambiente che hanno riguardato
un patrimonio comune, rischiano oggi di essere sacrificate per un mondo artificiale
deciso da uno sparuto manipolo di scienziati che agiscono per gli interessi
privati di società multinazionali. E le tecnologie, così come
la scienza, non sono neutrali.
Quale sarà la chiave di volta per il futuro?
GIUSEPPE O. LONGO ordinario di teoria dell'informazione, presso l'università
degli studi di Trieste
ANTONIO CARONIA matematico, si occupa di realtà virtuali e scenari telematici
BRUNO D'UDINE docente di etologia presso l'università degli studi di
Udine
MASSIMO NEGROTTI ordinario di sociologia all'università di Urbino
ENZO SORESI primario emerito di pneumologia all'ospedale Niguarda di Milano
RICCARDO SCARTEZZINI ordinario di sociologia all'università di Trento
DEBAL DEB economista, ecologista presso il Centro studi interdisciplinari di
Calcutta
Gli Atti del seminario "La delega tecnologica e la perdita biologica dell'uomo"
del 30 gennaio 2002 possono essere richiesti a: Circolo culturale Palazzo Cattaneo
via Oscasali 3 Cremona 0372 24113. Oppure kantcafe@supereva.it
e ccp.cattaneo@libero.it