BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/04/2003

FUGA DAI SENTIMENTI

di Loredana Galassini

C’è un aggettivo, ‘sentimentale’,  che viene utilizzato per cercare di neutralizzare quella che, per altri versi,  viene considerata un’evoluzione nel mondo delle idee: la pace. E non è un caso che, se ci si muove all’interno del modello dualistico cartesiano,  ad usarla siano soggetti maschili che si rivolgono a pensieri espressi al femminile.

Lo stereotipo militare, la gerarchizzazione dei ruoli,  la struttura degli stati, l’organizzazione del lavoro, della scuola, giù giù fino alla quotidianità famigliare, domina le esistenze di uomini e donne. Mi rendo conto, però, che ogni volta che cerco di introdurre altri termini, come sentimento o amore, in un dibattito presupposto intellettuale, divento sospetta, anche se Carl Gustav Jung, con profonda intuizione, aveva sottolineato che “dove la volontà di potere è predominante, l’amore è assente”. La guerra è dappertutto, ma dobbiamo chiederci anche che cos’è, perché si fa e a quali conseguenze porta oggi che le tecnologie belliche sono così avanzate. Una lettura che considero molto importante, per cominciare a comprendere di cosa stiamo parlando, da un punto di vista scientifico, è affidarsi agli studi del polemologo Gaston Bouthoul, raccolti nel volume La guerra. [1] Poi, potremmo cominciare a pensare se, nella storia dell’umanità, questo sia ancora un percorso ineluttabile o se sia possibile trasformare la realtà rivolgendoci anche ad altri valori, ad altri sentimenti che finora abbiamo considerato personali, privati o intimi.

In Amare. La genesi di un sentimento di Diane Ackerman, [2] è scritto: “La nostra società trova l’amore imbarazzante. Lo trattiamo come se fosse un’oscenità, siamo riluttanti ad ammetterne l’esistenza. La sola parola ci fa balbettare e arrossire…L’amore è la cosa più importante della nostra vita, una passione per cui saremmo pronti a combattere e a morire, eppure siamo restii a soffermarci sulle parole per nominarlo. Senza un vocabolario duttile non possiamo nemmeno pensarlo o parlarne direttamente”. Dice anche “Usiamo la parola amore in modo talmente sdolcinato, che essa finisce per significare assolutamente tutto, o quasi nulla”.

C’è molta confusione in questo momento e le vicende dell’Iraq ci riguardano da vicino e il consiglio di Giorgio Giacometti ad indossare “gli occhiali, ma occhiali buoni, e guardiamo ai fatti” è saggio, soprattutto se riusciremo a guardare non solo ai fatti, ma anche oltre i fatti, alla separazione e alla cicatrice emotiva sul nostro cervello che viene operata quando un presente che rischia di essere un’emergenza senza fine, non ci insegna ad amare, a formarci come esseri umani completi,  ma a comportarci in maniera dicotomica e lacerante quando, soprattutto, la guerra non riguarda più gli eserciti, ma gli inermi.

C’è menzogna in tutto quello che ci viene raccontato, infatti Bin Laden e Saddam sono probabilmente ancora vivi, mentre ogni morto civile pesa su tutto quello che avevamo appreso sulla guerra, sulle guerre. Dire la nostra verità, svelare i nostri pensieri più intimi e le nostre difficoltà, è togliersi la maschera. Impegnarsi, anche in maniera imperfetta,  per la pace è comunque parte integrante di un qualsiasi rapporto d’amore.  Sono “frammenti organizzativi” quelli che hanno animato in tutto il mondo il dissenso alla guerra. Sono diatribe da “Italietta” e non solo, quando ci accapigliamo su citazioni e su posizioni di parte, ma per molti di noi è difficile accettarsi e siccome ci hanno insegnato a credere che l’atteggiamento critico, meglio se negativo, è segno di un maggior senso della realtà, non accettiamo di assumerci delle responsabilità in tutti i campi della nostra vita. Siamo manager, siamo intellettuali, siamo poche volte, purtroppo, poeti e nel processo di adattamento a passività o gratificazioni parziali, siamo poco noi stessi. Una maggiore autostima di noi stessi, ci renderebbe migliori invece che complici, più forti invece che supini a interessi altrui.

Ma, come ho già scritto su Bloom, pochi investono costruttivamente sull’amore e c’è un deserto che avanza, a meno che non cercheremo di tenere sotto controllo comportamenti, come la guerra, che offendono l’idea stessa di civiltà a cui, sembra, tutti si richiamano.  Tutto il resto, americanismo e antiamericanismo,  argomentazioni dotte o esacerbate, non servono se non fermano la tragedia che stiamo vivendo con le nostre coscienze, se non ci fanno mettere in gioco per affrontare il conflitto emotivo che può portarci a fare il salto di civiltà e a scegliere tra vita e morte, tra profitti senza cuore e nuova giustizia legata al sentimento di volere di più come esseri umani.

APPENDICE [3]

Dear Condoleezza Rice,

l’ 8 marzo si manifesta in piazza contro la guerra. Festa della donna. Invece per te, che sei donna, che aspiri alla Casa Bianca  e consigli la sicurezza nel governo Bush, la guerra, il porto d’armi libero per tutti, lo scudo spaziale e l’azione militare contro il terrorismo sono passeggiate strategiche che fai in nome dell’umanità e non solo del popolo degli stati uniti.  Sei stata tra coloro che consigliarono, per il bene del tuo paese, perché come ha graniticamente espresso il tuo presidente, “il tenore di vita degli americani non è in discussione”, che venisse abbandonato il protocollo di Kyoto e i negoziati su armi chimiche e batteriologiche. Fuori da tutto ciò che è comune, isolamento di tutto il paese dai problemi che riguardano l’inquinamento, il benessere ricostruito sugli errori, sul recupero della dignità della specie umana. Single, dama nera in tailleur, porti l’errore nel nome, nella trascrizione anagrafica sbagliata di quello desiderato dai tuoi genitori: Con Dolcezza, come nelle romanze d’amore diventa ConDoleezza.

Metti scarpe di coccodrillo, sei stata allevata nella scuderia di Madaleine Albright e di suo padre e hai costruito con i tuoi studi, il ruolo di personaggio-chiave nelle cui mani sono i destini del mondo, anche nella mia vita privata.

Siamo a colazione e Leonardo dice: “un’armata di polipi si affronterebbe a colpi di inchiostro”. Immaginiamo un po’ lo scenario e poi Leonardo dice ancora: “quanto costa un’atomica?”. “Perché – rispondo – ne vuoi una?”. Interviene Luca che dice come nel mercato dell’usato si trovino buone occasioni.

Sei nel mio immaginario, nel mio quotidiano e decidi al posto mio. Devi sapere che non puoi farlo. Non stai facendo un video games con cui ti giochi la cena con Colin  Powell. Io sono contenta quando le donne hanno successo, ma dipende anche da quello che fanno. Tu, perché lo fai?

Come pensi che possa essere d’accordo con te, quando vuoi scatenare una pioggia mortale sul popolo iraqeno, quando so che il 50 per cento sono bambini?

Stai, insieme alla tua setta, arroccata e impaurita mentre tutta la società civile chiede metodi di civiltà e di giustizia capaci di corrispondere ad un sentire ormai maturo: basta guerra! E invece tu predisponi il genocidio?  Il disastro ecologico? Lo scatenamento del terrorismo?. Ti senti divina?  Tuo padre era pastore. Nessuno ti ha mai detto una parola buona? Vedi nemici da tutte le parti? Non restituirete neanche i corpi dei soldati americani alle famiglie.

Senti. Prova ad immaginare il dolore di una scheggia che ti lacera le carni. Prometti solo dolore, lutti, lacrime e orrori. Smettila. Non puoi rappresentarmi con il tuo odio.

Ti invito a colazione, se vuoi. Ma non entrare a casa mia, di prepotenza, proponendomi nefandezze di questo genere.

A me piace il gelato.

Regards

Loredana Galassini



[1] Gaston Bouthoul. La guerra. Elementi di polemologia., Longanesi, Roma 1961, più volte ristampato successivamente dallo stesso editore.(ed. originale Gaston, Bouthoul, Les guerres, Paris, Payot, 1951, poi Traité de polémologie. Sociologie des guerres, Paris, Payot, 1970).

[2] Frassinelli, Milano 1988.

[3] Questo testo è stato precedentemente pubblicato in un contesto femminile, per un'occasione femminile.

 

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