BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/11/2003

IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO
di Loredana Galassini

Il bisogno di cambiamento, sia esso all’interno di un’azienda oppure sociale o ancora personale, aguzza gli ingegni e mi fa tornare in mente una bella frase di Ernesto Balducci: “L’uomo è duplex. In quanto homo editus egli è un prodotto delle parole che ha imparato e che usa. I suoi processi di autoidentificazione si muovono per intero sulla trama che la società gli fornisce e nella quale tutto è già definito: il bene e il male, il bello e il brutto, il vero e il falso. La civiltà informatica in cui siamo entrati non fa che accentuare questa funzione della parola filtrata dalle semplificazioni dei computer. Ma in quanto homo ineditus, absconditus, egli è un insieme di possibilità ancora inedite, da rivelare, che la fitta maglia della cultura dominante reprime o dissacra…C’è in noi una grammatica generativa non esaurita dalle grammatiche apprese a scuola, una grammatica in cui già ferve la lingua di domani…”
Ma la “grammatica generativa” come la verità, muta – parafrasando Einstein – secondo l’ambito in cui la parola viene usata: un fatto dell’esperienza, una formula matematica, una teoria scientifica, un modello di sviluppo aziendale. Alcuni possono vivere il cambiamento come sofferenza, come sostiene Varanini, che forse dimentica la lezione di Gibran quando dice che “la sofferenza scava per far posto a nuovi piaceri”, oppure come nuova possibilità, nuovo desiderio come invece ipotizza Davide Storni o compiendo un capovolgimento “abbandonando la prassi del potere e attuando la filosofia del progetto”, come propone Francesco Zanotti.
Sono convinta che non tutti i manager siano cattivi e che non tutti i cambiamenti aziendali vengano fatti con l’intenzione di peggiorare e alienare ancora di più i lavoratori, ottimizzando invece i profitti aziendali. Anche il potere in sé, non è negativo se applica la sua carica positiva e la sua capacità per comunicare. Il potere non è in antitesi con la natura e il potere personale e di gruppo, come la libertà, diventano capacità di espressione, capacità di integrarsi e valorizzazione della propria forza vitale e collettiva.
Diverso è il dominio, che è la malattia del potere, della forza prevaricatrice, della violenza. E’ per questo, penso, gli sforzi di cambiamento di manager volenterosi e generosi vengono accolti spesso con scetticismo, se non con ostilità da chi “subisce” le decisioni. D’altronde l’esperienza insegna che sia il potere che il capitale vogliono solo accumulare, tesaurizzare e sono disinteressati a qualsiasi forma di strutturazione sociale migliorativa o di nuova prospettiva e che spesso sfuggono a qualsiasi forma di controllo democratico mentre manipolano le coscienze in nuove forme di schiavitù consumistiche e comunicative che inglobano tutti, dirigenti e diretti. Ed è innegabile che, proprio nell’era dell’accesso, si sta consolidando l’impiego strategico di strumenti unidirezionali che colonializzano le esistenze rendendole sempre più passive, succubi e subordinate.
Il pensiero occidentale ha subito un collasso psichico, la prospettiva interattiva, la capacità dialogico-comunicativa e di relazione diventano sempre più complicate, come la capacità di esprimersi, mentre avanza, come idea di sviluppo e progresso, la visione macchinica dell’uomo del futuro, mentre mancano nuovi codici interpretativi e la confusione che è di corpi e di menti crea zone buie e spettri di paura e ognuno si sente più solo nel globo inquinato dal nostro sapere.
Nella megasfera diventa una questione di sopravvivenza scambiarsi passioni, speranze e sorrisi, mentre diventa sempre meno essenziale l’idea di una classe dirigente che fino ad ora ha prodotto solo falsi cambiamenti, falsi sviluppi e tanta sofferenza e ingiustizia. Ma, come dice Erwin Laszlo, “l’universo cresce attraverso la diversità e l’unità. L’evoluzione procede entro la comunicazione: il comunicare delle parti incrementa dall’intimo l’insieme. L’intimo processo del comunicare trasforma ognuno. Nell’epoca in cui la comunicazione può divenire mondiale penetrando ogni aspetto della vita, è necessario lavorare con – e non contro – il processo evolutivo”. Allora, forse, ascoltare ed ascoltarsi, cambiare e farsi cambiare possono alleggerire la responsabilità di ciascuno in una liberatoria e vitale condivisione di rinnovata specie umana non più antagonista ed egoista, ma solidale e sociale. Che abbandona la presunzione dell’homo sapiens e abbandona anche la raccapricciante sofferenza spettacolare verso cui veniamo spinti con violenza dal potere malato di pochi.

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