BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/02/2004

ASCANIO CELESTINI E LA MEMORIA DELLA FABBRICA
di Loredana Galassini

Due anni di lavoro, dal 2000 al 2002,  più di duecento ore di registrazione, di incontri, di dialoghi e una serie di laboratori sparsi per l’Italia, per raccogliere la memoria degli operai della prima metà del secolo scorso. Un lavoro poderoso e non commissionato da centri studi o eseguito da qualche prestigiosa università, ma da un autore straordinariamente eclettico, Ascanio Celestini [1] , che recita, racconta, scrive, canta e interpreta antropologicamente il vissuto contemporaneo in maniera dinamica e, certamente, non cattedratica. “Fabbrica” edito da Donzelli [2] , è, come recita la copertina, “un racconto teatrale in forma di lettera” con linguaggi diversi, dialetti diversi e con tante verità diverse.  “Chi racconta il lavoro racconta qualcosa del proprio corpo”, dice Ascanio Celestini nella nota introduttiva del libro e le memorie che ha raccolto dall’età dei giganti ci mostrano una classe operaia fiera e dirigente, nonostante il cottimo e la pressofusione. Alessandro Portelli, docente di letteratura anglo-americana all’università di Roma, ma anche animatore del Canzoniere del Lazio e scrittore di successo, presentando il libro avverte che non conosciamo la verità, la storia, ma che esistono sempre versioni di verità e che spesso in una storia sbagliata c’è spesso più verità che in una storia vera.

Così, dice Ascanio Celestini, anche quando vediamo le macchine delle fabbriche, cronologicamente e musealmente allineate, non possiamo conoscerne la vera storia perché “le ombre delle cose odiano le cose” e la fabbrica non è tutta uguale, non è fatta solo di robot e allora bisogna giocare col tempo. Nella narrazione, tornare indietro per sapere cosa succede oggi è importante come una visione di fantascienza. E il racconto “vero e proprio è fatto di storie che sono lontane tra di loro ma che si intrecciano, perché non c’è più un’idea monumentale della storia e ricercare la memoria orale, in contraddizione con i fatti, significa vedere altre verità”.

La fabbrica è, quindi, da questo punto di vista, un rapporto soggettivo con il tempo. E’ il ricordo della simbiosi operaio-macchina , un rapporto sofferto da precarietà e sfruttamento, ma che dava identità: operaio contadino, operaio cittadino, operaio operaio con tanto di albero genealogico da esibire nella nuova casta dell’aristocrazia operaia che si strutturava intorno agli anni ’50. Favole che il giovane autore interpreta con attenzione, con rispetto. “La fabbrica non serve più, viviamo un’altra epoca”  e racconta che per degli operai della Piaggio di Pontedera  “quando scioperavano era per cambiare la Piaggio e quindi per cambiare il mondo. Oggi, per i lavoratori dei call center, che pure hanno un’organizzazione simile alla fabbrica anni ’50 con controllo e cottimo, non ci sono  però le stesse speranze”.

Storie quotidiane si intrecciano in un’altra epoca che sembra remota, con piacere comico, gusto grottesco, affabulazione fantastica di quando gli operai si sentivano classe dirigente con un futuro. 

Ascanio Celestini, perché questo lavoro, questa immane ricerca se poi, come anche lei riconosce, ormai siamo in assenza di fabbrica ?

Perché la memoria non è nostalgia, ma serve per capire il presente attraverso l’esperienza del passato. La fabbrica era un’istituzione per se stessa e luogo di costrizione per l’operaio, ma nel bene e nel male era anche il luogo dove era visibile e presente la classe operaia. C’era un’alta concentrazione di persone che facevano le stesse cose. Oggi scompare, ma anche se c’è, di chi è la fabbrica? Non sai chi è il padrone,  c’è una trasformazione e allora se trovi tutto scontato, contro chi scioperi realmente? Mentre sopravvive la stratificazione nel lavoro, non rimane la memoria della lotta. Una volta esistevano gli intoccabili, gli operai che erano legati alle loro capacità professionali, molti non avrebbero mai lasciato la fabbrica. Gli operai sono diventati partigiani per difendere le loro fabbriche e c’era orgoglio, partecipazione, identificazione, non solo dolore, sfruttamento e frustrazione. Oggi non è richiesta più nessuna capacità particolare, l’obiettivo è il mercato più che la fabbrica e chiunque se ne può tirare fuori. Contro chi scioperi? Al massimo si può manifestare.  E il mercato è impersonale. Prima c’era, per esempio, un signor Piaggio, sostituito poi da un signor Agnelli, ma adesso anche il mio vicino di casa può essere azionista e io posso non saperlo. La memoria della fabbrica permette di indagare su un meccanismo che ci fa capire che cos’è il potere e quindi com’è che si arricchisce il mercato. La memoria è una capacità che permette di sapere cosa succede oggi. Non si può tornare indietro, ma dove vado a dormire domani se non mi ricordo dove ho dormito ieri?”



[2] Ascanio Celestini, Fabbrica, Donzelli, 2003.

 

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