BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 09/02/2004

DA SEATTLE, PASSANDO PER PORTO ALEGRE, FINO A MUMBAI
di Loredana Galassini

L’ultimo anno del millennio scorso, il 1999, può essere preso a simbolo del cambiamento sociale e politico a cui stiamo assistendo, perché tutte le esperienze piccole e grandi si sono incontrate per mettere in discussione il modello di sviluppo civile ed economico che è alla base del nostro vivere comune.

Il Movimento dei Movimenti, quel mosaico umano e organizzativo che ha radici nel mondo operaio, contadino, femminista, ecologista, cattolico e nel consumo critico e nel solidarismo; che ha conosciuto la contestazione degli anni sessanta e settanta e che ha appreso la lezione di “insurgencia” e autoaffermazione, lanciata nel 1994, dalle popolazioni indigene del Chiapas, è pronto e ormai maturo per mostrarsi e dimostrarsi “seconda potenza mondiale”. La lotta di tante realtà diverse, contro il neoliberismo, intessuta in lunghi anni come rete di relazioni, di contatti, di scambi e di proposte, diventa visibile e globalizzata ed  esplode ufficialmente sotto gli occhi di tutti  nel dicembre,  con la marcia  contro il Millennium Round di Seattle e il fallimento del vertice del Wto. La contestazione era stata lanciata in rete pochi mesi prima: “E’ stato Ron Judd – ricorda in un’intervista, Sally Soriano di Public Citizen – segretario del King Caunti Loabour Council a lanciarla su web a febbraio. In pochi mesi il processo è partito. Le Unions hanno deciso di pagare le spese per il viaggio di ventimila persone. L’associazione delle chiese di Washington ne ha mandati altri quindicimila. Poi si sono mobilitate le organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo e quelle per i diritti civili. Tanti sono venuti da soli, hanno sentito la battaglia contro il predominio del Wto come un dovere etico. Un modo per prepararsi al nuovo secolo con un atto di solidarietà globale per difendere i diritti di tutti”. (1) 
I contestatori a cui in seguito Bill Clinton farà le proprie scuse per la brutalità abusata dalle forze dell’ordine, provengono per la maggior parte dalle chiese, dai sindacati, dagli ambientalisti che normalmente hanno pratiche pacifiche. Ma sono anche la prima folla, la prima moltitudine che  va all’assalto del Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. 
Il wordl trade organization  nasce nel 1995 dalle ceneri del Gatt e la sua sede è il Centre William Rappard in rue de Lausanne a Ginevra. Organizzazione inter-governamentale non eletta ma preposta al controllo delle regole del commercio mondiale, viene anche chiamata il “Club dei ricchi” e si riunisce a Davos, sotto la Montagna incantata di Thomas Mann ed annovera tra i suoi adepti, i sacerdoti neocon, gli oligarchi di Mont Pèlerin e finanzieri e politici dell’universo liberista. Dice Susan George, “il sistema neoliberista si basa su quelle che chiamo la trinità delle libertà: di circolazione dei capitali, di investimento e di commercio. Ognuna di queste ha un ente preposto al mantenimento delle regole necessarie a garantire l’espansione di queste libertà a favore dei ricchi, dei mercati finanziari e delle multinazionali. Dal Fondo monetario alla Banca mondiale al Wto, tutte e tre lavorano sulla base dello stesso paradigma e sono tutte e tre legate al Tesoro Usa e a quello che viene chiamato il Washington Consensus… Se l’oggetto della globalizzazione fosse il miglioramento umano, i suoi promotori dovrebbero ammettere che è stato un fallimento colossale…L’errore fatale dei sostenitori della globalizzazione è la loro incapacità di fornire una protezione a lungo termine del sistema stesso  che sostiene il loro potere e i loro profitti. I detentori del potere decisionale dovrebbero riconoscere che il modello attuale ha necessariamente prodotto ed esacerbato la povertà, l’esclusione e il conflitto sociale”.  Se il 20  per cento della popolazione mondiale consuma l’80 per cento delle risorse,  possiamo affermare senza smentita che alla globalizzazione si accompagna un deficit democratico che continua ad aumentare e che è impossibile arginare e che per gli antiliberisti, siano essi  singole entità o organizzazioni o popoli , è giunto il tempo  della "convergenza nella diversità". 

Poche persone, meno di cento, ma provenienti da ogni angolo del pianeta, nel gennaio di quell’anno,  si dettero appuntamento con  Samir Amin, François Houtart , Perry Anderson , Susan George, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, rappresentanti dei Sem Terra e dei sindacati, per  organizzare un forum mondiale  da contrapporre socialmente agli incontri annuali del Wto che regolarmente si svolgono a Davos, in Svizzera, e che raccolgono governanti, banchieri, padroni e manager di multinazionali, economisti e giornalisti che, pagando una quota di partecipazione di 20.000 dollari, discutono e decidono le politiche economiche mondiali e i destini di tutti.                                                                            Dice Oded Grajew, il brasiliano ideatore del forum antiglobal per antonomasia, che l’idea gli è venuta a Parigi nel gennaio del 2000, dopo aver guardato come la tv dava la notizia dei fasti di Davos.  “Con quale diritto un pugno di uomini tra i più ricchi del mondo pretendevano di decidere il destino di milioni di persone?”  Quella sera andò a cena con un altro brasiliano, Chico Whitaker,  responsabile della comunicazione per Justiça e Paz del Brasile, ne parlarono con Bernard Cassen e insieme pensarono a Porto Alegre come luogo d’incontro.

La capitale dello stato di Rio Grande do Sul, considerata anche dall’Onu, la città brasiliana con il più alto indice di qualità della vita e uno dei migliori modelli di gestione pubblica democratica del mondo, si distingueva ormai da dodici anni per l’adozione  dell’Orçamento Partecipativo (Bilancio Partecipativo). Per la sinistra, quando aveva conquistato la municipalità, l’unica via praticabile per governare una popolazione che comprende ben trenta etnie, era lanciare processi di partecipazione popolare e di sviluppo. Nacque così il Bilancio Partecipativo, il principale strumento di gestione pubblica del governo di Porto Alegre, esteso successivamente a tutto il Rio Grande do Sul e diventato una pratica effettiva di democrazia diretta in cui tutti i cittadini, in assemblee pubbliche municipali e in dibattiti, si sono appropriati delle informazioni relative alla finanza e alla gestione dello stato ed hanno iniziato ad esercitare il controllo sociale sugli investimenti pubblici. Il Rio Grande do Sul che, oltre ad essere lo stato con la maggior crescita industriale tra i 27 stati che compongono il Brasile, è stato anche quello che ha avuto maggiore livello di scolarizzazione, di alfabetizzazione e minore percentuale di mortalità infantile. Il controllo sociale dei cittadini sulla gestione del governo ha incrementato anche la distribuzione della ricchezza e così, dopo aver sviluppato una struttura produttiva basata su micro, piccole e medie imprese, le aree di sviluppo prescelte sono state l’agricoltura, l’educazione, la gestione del lavoro e della rendita e le infrastrutture. Girare per le strade di Porto Alegre significa incontrare una città non bellissima e neppure tanto esotica, ma funzionante, serena, pulitissima, con continui messaggi rivolti alla popolazione che è fatta di singole persone. “Come stai guidando?”, campagna per la sicurezza stradale. Vai in battello sul Guaìba e la guida avverte che è in atto una bonifica delle acque perché la cartiera che si affaccia sulle rive del grande lago inquinava e quindi adesso esiste un programma di sviluppo razionale di recupero ambientale di tutto il bacino idrico. Osservi la vegetazione e apprendi che Rio Grande do Sul è l’unico Stato brasiliano dove è aumentata la copertura forestale, mentre il governo centrale stava svendendo la foresta amazzonica. La televisione è ricca di programmi autoprodotti e costantemente attenta alla crescita sociale piuttosto che ai consumi. Mangiare biologico è normale e a basso costo perché l’agricoltura segue un “piano statale di sicurezza alimentare e nutrizionale sostenibile”.  Adottato da altri sei stati brasiliani, l’Orçamento Partecipativo ha creato grandi risultati. A San Paolo, i CIC (Centri Integrati di Cittadinanza) hanno ricreato un clima di vicinanza e di fiducia tra cittadini e poteri e in alcuni quartieri la media degli omicidi è ridotta a zero. Ma il modello brasiliano ha interessato anche il resto del mondo e la cittadina francese di Saint Denis è stata la pioniera europea dell’Orçamento Partecipativo, mentre in Africa ed India adottano e adattano il modello alle situazioni locali.

Scelta Porto Alegre come sede, Oded Grajew vola in Brasile per incontrare Olivio Dutra, governatore del Rio Grande do Sul che approva l’idea di un forum sociale mondiale. Grajew è uno strano personaggio. Israeliano, è arrivato in Brasile all’età di 14 anni come emigrato.Insieme a due soci aprì una fabbrica di giocattoli e, diventata leader, la vendette ad una multinazionale americana per poter vivere di rendita e occuparsi di due piccole istituzioni“Ethos” per promuovere l’etica e “Civis” in cui ha riunito un gruppo di imprenditori che hanno maturato una coscienza sociale.  Insieme a Chico Whitaker  riunirono un piccolo gruppo di amici delle organizzazioni grandi e piccole della società brasiliana, dalle Ong alla Cut (Central Unica dos Trabalhadores). Il vicegovernatore del Rio Grande, Miguel Rossetto, oggi ministro dell'agricoltura di Lula, andò a Ginevra per il summit Onu di Copenaghen + 5 e annunciò il Forum e invitò tutti i presenti a parteciparvi. Se Davos è  il luogo dei potenti, Bernard Cassen, uno dei fondatori di Attac, che conosce l’esperienza del bilancio partecipativo,  prende contatti con il sindaco di Porto Alegre, Tarso Genro, con il  governatore dello stato di rio Grande do Sul, Olivio Dutra e con il vescovo che mette a disposizione la Puc, Pontificia Università Cattolica  e nel maggio 2000 a Bologna, Nel maggio 2000 a Bologna, alla prima settimana con Le monde diplomatique, organizzata dal
Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative e da Attac,  annuncia in Italia il prossimo Forum Sociale Mondiale che si svolgerà a Porto Alegre dal 25 al 30  di gennaio 2001 in concomitanza con il vertice di Davos e la preparazione del ControG8 di Genova.

In pochissimi mesi si raccolgono fondi e si organizza la partecipazione di 122 paesi, di 4700 delegati e 18.000 partecipanti. Nei cinque giorni di forum,  si terranno più di 400 conferenze e workshop su temi politici, sociali ed ecologici per dimostrare concretamente che “un altro mondo è possibile”.  Al termine, non ci sarà nessuna risoluzione finale, né direttive politiche, ma solo una Carta dei Principi  e il primo Forum Sociale Mondiale diventa  il luogo morale, sociale, politico, culturale del mondo in costruzione.

Ecco il documento di preparazione del Primo Forum Sociale Mondiale del 25 al 30 gennaio 2001:

UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE

I padroni dell’attuale ordine economico mondiale si troveranno, come sempre, a Davos, al Forum economico mondiale. Coloro che, in tutti i paesi, si oppongono al "pensiero unico" e lavorano per la costruzione di alternative, si riuniranno, nello stesso momento, a Porto Alegre, in Brasile, al Forum sociale mondiale.

1. Proposta del comitato organizzativo del Forum sociale mondiale:

Il Forum sociale mondiale sarà un nuovo spazio internazionale per la riflessione e l’organizzazione di tutti coloro che si oppongono alle politiche neoliberiste e costruiscono alternative per dare priorità allo sviluppo umano e mettere fine al dominio dei mercati finanziari in tutti i paesi e nei rapporti internazionali.
Il Forum avrà luogo ogni anno e negli stessi giorni del Forum economico mondiale di Davos. Dal 1971, questo Forum economico gioca un ruolo strategico nella formulazione del pensiero di tutti coloro che promuovono e attuano politiche neoliberiste in tutto il mondo. La sua base organizzativa è una fondazione svizzera dotata di uno statuto consultivo vicino all’Onu, e finanziata da oltre 1000 imprese multinazionali.
Lo spazio creato dal Forum sociale servirà alla formulazione di prospettive generali, allo scambio di esperienze e alla costruzione di coordinamenti tattici e strategici tra organizzazioni non governative, movimenti sociali, sindacati, associazioni e gruppi di cittadini in ogni paese, a livello continentale e mondiale. E’ a queste organizzazioni che spetta il compito di promuovere e finanziare il Forum sociale mondiale.
Durante lo svolgimento del forum, altri eventi e manifestazioni che hanno lo stesso scopo dovranno essere organizzati in tutto il mondo. Conferenze e dibattiti si dovranno svolgere in parallelo per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini.
La proposta di lanciare il Forum sociale mondiale prende l’avvio dalle grandi mobilitazioni di Seattle, in occasione della conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) nel novembre del 1999, e da Washington, nell’aprile del 2000, contro le politiche del Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale.
Queste mobilitazioni – e molte altre - - hanno platealmente messo in evidenza l’emergere di un movimento civile transnazionale. Le grandi istituzioni internazionali, abituate da decenni, a prendere, fuori da ogni controllo democratico, decisioni che riguardano la vita di centinaia di milioni di persone scoprono di avere ora da rendere conto all’opinione pubblica.
Anche i governi devono sapere che questa sorveglianza si eserciterà con ancora maggiore rigore nei loro confronti. Per molti di loro, non sarà più possibile pretendere di imporre misure nefaste per i loro popoli. Anzi, loro stessi dovranno rendere conto davanti ai loro parlamenti e ai loro concittadini delle posizioni che assumeranno nei loro cenacoli.
Migliaia di sindacalisti, associazioni e altri movimenti popolari che, ciascuno nel proprio paese, nella propria provincia, nella propria città o campagna conduce lotte che loro credono isolate, hanno ora preso coscienza che insieme costituiscono un arcipelago planetario di resistenza alla mondializzazione neoliberista. Hanno cominciato a conoscersi, si scambiano regolarmente informazioni, si riconoscono in azioni comuni o convergenti, e hanno la vocazione a diventare un contropotere cittadino internazionale. E’ questo movimento che il popolo del Forum sociale mondiale intende allargare.
Il terzo mondo e i poveri e gli esclusi nei paesi sviluppati subiscono come frustate le devastazioni della mondializzazione neoliberista e della dittatura dei mercati, condotte sotto l’egida del Fmi, della Banca mondiale, dell’Omc e dei governi a loro asserviti.
Il Brasile è uno dei grandi paesi vittime di questa situazione. Ma forti resistenze a questo ordine inumano si stanno sviluppando, nelle città come nelle campagne, nei licei e università come nelle favelas. Le organizzazioni popolari dispongono già di solidi punti d’appoggio in molti stati e in numerose municipalità. Questa ricca esperienza di lotta popolare ha contribuito alla proposta del Forum sociale Mondiale.
Il comitato brasiliano di organizzazione del Fsm invita tutte le reti internazionali di Ong, dei sindacati, di associazioni e gruppi di cittadini che condividono questi obiettivi a farne parte costituendo un comitato internazionale del Fsm.
Il Comitato brasiliano di organizzazione del Fsm attende da tutti i rappresentanti di queste reti dalle americhe, dall’Africa, dall’Asia e dall’Europa che contribuiscano in modo decisivo alla riuscita di questo avvenimento. E chiama allo stesso tempo tutti coloro che dispongono di un mandato elettivo e che si sono impegnati a fianco delle lotte popolari in tutti i continenti a ritrovarsi a Porto Alegre il prossimo gennaio. Dappertutto nel mondo, le potenzialità dell’iniziativa popolare si esprime oggi tanto nelle forme della democrazia partecipativa che in quelle delle democrazia rappresentativa.
Luogo di discussione aperto, di presentazione di esperienze, di coordinamento delle lotte future, il Forum sociale mondiale sarà un paletto in più verso la nascita di una cittadinanza planetaria che si radica nelle lotte sociali nazionali e locali.

Un altro mondo è possibile. Lo costruiremo insieme. Abong (Associazione brasiliana delle Ong); Attac Brasile; Cbjp (Commissione brasiliana giustizia e pace); Cives (Associazione brasiliana di imprenditori per la cittadinanza); Cut (Centrale unica del lavoro); Ibase (Istituto brasiliano di analisi sociali ed economiche); Centro di giustizia globale; Movimento dei lavoratori rurali Sem Terra. 

“Io credo – ricorda ancora Oded Grajew - che l'importanza di Porto Alegre, in termini storici, è di aver dato vita alla società civile globale. Che prima non esisteva. C'erano state due generazioni di società civile. La prima è quella nata sotto il paradigma dello sviluppo, che ha avuto il merito di promuovere, con le Ong, le reti della solidarietà, i temi dell'ambiente, della questione di genere, e, a partire dalla conferenza di Vienna sui diritti umani, ha trovato il riconoscimento delle Nazioni unite.
Pensa alla nascita di Amnesty o di Greenpeace, ma soprattutto alle ong africane che erano considerate illegittime dai governi locali se parlavano di diritti umani. La seconda generazione è nata invece in epoca liberista, non ne fanno parte le stesse organizzazioni riciclate, ma organizzazioni nuove, come Attac. Seattle ne segna la nascita formale, ma esistevano anche prima. Siamo nell'era di nuovi valori: il profitto, la competizione, il libero mercato, valori diversi da quelli dello sviluppo...a quelli invece sono rimaste ancorate le sinistre politiche...
Con la scomparsa dell'Unione sovietica, a me piace dire che la sinistra si è divisa tra vedove e vergini. Le vedove piangono la scomparsa dell'Urss, le vergini sono tanto illibate e serie quanto lo erano i nemici dello scomparso. Le vergini sostenevano che la globalizzazione liberista commetteva errori, ma non le erano avverse a priori. La sinistra è stata travolta dalla globalizzazione. Ma, tornando alla seconda generazione della società civile, composta da gente nuova e molto più politica della prima, nella lotta alla globalizzazione si includeva anche quella al sistema neoliberista. Nel primo Forum sociale mondiale queste due generazioni si sono incontrate, hanno discusso e scoperto che potevano fondersi contro l'idea del dominio dei mercati sulle persone. È un merito storico del primo Forum, senza Porto Alegre non so se sarebbe andata così, forse con Genova, chissà, ma di certo sarebbe stato un cammino molto più difficile.
Il Fsm del 2001 era fatto per denunciare, e ci si trova più facilmente d'accordo sulla denuncia. In una conferenza, a Porto Rico, sono stato accusato di antiamericanismo e di essere diventato di estrema sinistra. Ho risposto domandando loro se sono a favore della guerra, della fame, dello sfruttamento dei bambini, della distruzione dell'ambiente, ecc. Così, è diventato di sinistra l'intero processo che ha portato alla costituzione della società moderna. Insomma, su questi temi non è poi così difficile trovarsi d'accordo, nei movimenti e oltre. Se uno pensa che i cinque membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu vendono l'82 per cento degli armamenti, è ovvio protestare. Per tornare al primo Fsm, noi non eravamo affatto certi di farne altri, aspettavamo solo 5 mila persone, ne vennero molte di più, ma è grazie a Internet che il Forum è diventato quello che è. Oggi ci sono 600 mila pagine web lette ogni mese nel sito del Forum. È un livello impressionante”. 

Il II Fsm di Porto Alegre 2002 si svolge dopo l'11 settembre e la guerra  preventiva, permanente, globale diventa l’asse principale delle 11 plenarie, dei 30 seminari e degli 800 workshop a cui collaboreranno 43.000 delegati e 80.000 partecipanti. La cultura della guerra viene analizzata in rapporto ai beni comuni, all’acqua, alla democrazia, all’agricoltura, ai diritti, all’istruzione. Ormai è chiaro che nell’agenda politica mondiale  c’è un nuovo soggetto che  procede nella elaborazione e definizione delle alternative con una pratica democratica diversa e per questo vengono proposti i forum continentali: europeo, africano, asiatico e latinoamericano. Intanto si costruiscono le coscienze in quello che è stato chiamato  “l’arcipelago planetario di resistenza”. Viene organizzato il primo Forum Sociale Europeo a Firenze a cui partecipano un milione di persone e dove, il 10 novembre 2002, nell’assemblea conclusiva, viene indicata la data del 15 febbraio 2003, come giornata europea contro la guerra.  E quel giorno del 2003, sarà la prima volta che entrerà in azione la mondializzazione del movimento e scenderanno in tutte le piazze del pianeta, 110 milioni di persone a chiedere che la pace sia la forma di espressione politica di una richiesta sociale e civile che coinvolge milioni di persone, di organizzazioni, di strati sociali che si incontrano trasversalmente su temi che riguardano tutti gli abitanti della Terra e non soltanto le decisioni unilaterali di qualche singolo governo pressato da forze economiche che vedono il massimo dell’espansione nella distruzione, nella fame, nell’ingiustizia. “Un nuovo mondo è possibile. Un nuovo mondo è in costruzione”. Le mobilitazioni che prendono visibilità con il  movimento di Seattle, dimostrano che “nulla sarà come prima”. Lo si è detto dopo l’abbattimento delle torri gemelle, ma ha portato ad altri lutti, orrori, violenza.  Il 12/11/2002, Luigi Pintor scrisse sul Manifesto : “La pace contro la guerra, la giustizia contro l’ingiustizia, la libertà e i diritti della persona contro il liberismo selvaggio, l’acqua contro la sete, la convivenza contro la prepotenza, queste formulazioni e queste antinomie non rendono l’idea. La motivazione profonda riguarda oggi l’esistenza stessa, i modi della vita, il presente ed il futuro prossimo del mondo e nasce dalla percezione profonda che il corso delle cose non può essere accettato e subito così com’è. Non è una percezione d’avanguardia o minoritaria, è qualcosa che riguarda tutti, anche chi non ne ha chiara coscienza. E perciò ha grande potenza anche senza avere o essere un potere…questa non è un’insorgenza generazionale come quella del ’68…nata nei campus universitari, questa fa ringiovanire anche chi non lo è risvegliato alla memoria di valori nuovi, ma antichi e perenni, che sembrava assopita. Alla Fortezza da Basso cittadella militare, Produzione di ricchezza e riproduzione sociale, Accesso alla ricchezza e sostenibilità, Società civile e spazio pubblico, Potere politico ed etica nella nuova società”.

Al III Forum Sociale Mondiale del gennaio 2003, i delegati  sono diventati 51.300,  i partecipanti 100.000 e i seminari e workshop ben 1714. La maggiore difficoltà è data dalla frammentazione geografica e dai settori di attività, dalla necessità di non ripetersi. Il presidente brasiliano Lula da Silva afferma nella spianata di Por do Sol che “il Fsm è il fatto politico più importante della nostra epoca” e successivamente a Cancun, si farà promotore di una cordata di stati leader, il G21,  tra cui Brasile, Messico e Sudafrica, capace di portare avanti “una terza via”, in materia economica, alternativa a quella americana ed europea, cercando di condurre, all’interno del Wto, tutte quelle istanze che sono rimaste solo parole nella società civile ma che diventano sopravvivenza per milioni di persone schiacciate da un sistema che guarda esclusivamente al profitto delle grandi multinazionali . Nel marzo del 1997, più di 30 personalità di tutto il mondo, raccolte intorno allo studioso marxista egiziano Samir Amin, avevano lanciato il Forum mondiale delle Alternative. Lo scopo primario era di “mettere in rete organismi politici, culturali, di movimento, singole persone, impegnati a contrastare su scala mondiale il neoliberismo, non solo come dimensione economica, ma come filosofia sociale e politica e come visione totalizzante della storia e della società.  Dice Samir Amin .”nel mondo sono in corso numerose lotte. Gli esseri umani si difendono in maniere diverse. Ma quello che è caratteristico, è che queste lotte sono estremamente frammentate. Non mostrano un minimo comune denominatore, che consenta loro di avere degli obiettivi, di riferire delle storie e, a partire da questo, di trasformare realmente il mondo. Noto che non è la prima volta nella storia che ci troviamo in una situazione del genere… Poi siamo entrati in una nuova fase, con una nuova rivoluzione tecnologica, con delle trasformazioni nel modo di organizzazione del lavoro, e le vecchie forme di lotta hanno perso la loro efficacia e anche la loro stessa legittimità. Ci ritroviamo quindi con un movimento sociale frammentario, un po’ desaparecido e un po’ sommerso, deideologizzato nel senso positivo e negativo del termine: diffidente nei confronti delle vecchie forme, dei partiti, delle elezioni, dell’organizzazione collettiva, ecc. Le contraddizioni si acutizzano e le forme di lotta si frammentano in un tempo relativamente breve. Non bisogna però disperare. E dire: non si vede alternativa possibile. L’alternativa verrà. Per ora basta che ci sia la coscienza di questo bisogno. Il bisogno di una strategia”.   Ma quale?  Per Susan George si comincia con il  “creare legami: legami generazionali, tra città e periferia, e ancora solidarietà a livello internazionale, rafforzamento dello Stato. Costruire una democrazia a livello globale è veramente difficile. Intravediamo una struttura di potere ma non sappiamo come metterla in pratica. Ci arriveremo, come ci sono arrivati nel secolo scorso le persone che volevano creare la democrazia a livello nazionale. Speriamo che questa volta si possa farlo in maniera non violenta…E’ il momento che la Società dica al Mercato cosa fare e non il Mercato alla Società. Il modo pigro è di lasciare che il Mercato guidi i paesi. E lo fa, ma a quali costi? …la democrazia ha bisogno di tempo e sforzi. Ma ne vale la pena."

Dal 16 al 21 gennaio 2004, per attenuare il carattere latinoamericano, il Consiglio Internazionale che ha la responsabilità  delle scelte di questi incontri, ha deciso che il forum si spostava in India a Mumbai. Sono  molti coloro che capiscono che è arrivato il momento per la società di dire al mercato cosa deve fare e non il contrario e che se le prime 100 multinazionali, che rappresentano più del 16% del Prodotto Mondiale Lordo, impiegano meno di 12 milioni di persone, qualcosa che non funziona in questo tipo di sviluppo c’è davvero, a meno di non condividere ciò che Thomas Friedman, consigliere della ex segretaria di Stato Madeleine Albright, scriveva sul "New York Times Magazine” il 28 marzo del 1999: "Perché la mondializzazione funzioni, gli Stati Uniti non devono aver paura di agire come la superpotenza invincibile che sono in realtà…La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno invisibile. McDonald' s non può estendersi senza McDonnel Douglas, il fabbricante dell' f-15. Il pugno invisibile che garantisce la sicurezza mondiale delle tecnologie della Silicon Valley si chiama esercito, forza aerea, forza navale e corpo dei marines degli Stati Uniti".  La brutalità politica con cui gli Usa  esercitano la forza, alimenta l’ odio, la vendetta e il sangue del terrorismo. La tessitura elettronica della lotta che si è sviluppata contro il neoliberismo, ha portato ad organizzare in venti giorni, la più grande e globale manifestazione contro l’uso della forza bellica che mai si sia vista, quella già ricordata del 15 febbraio 2002,  con milioni di cittadini del mondo che invadevano lo spazio fisico del proprio territorio per pretendere rispetto per la vita, per reclamare la propria civiltà di specie, per avere voce ed essere ascoltati. Per spezzare il consenso narcotico dell’umanità dominata da duecento famiglie avide che riempiono di lutti, dolore e paura tutto il resto: altri animali, piante e pietre.

La comunicazione, nell’altro mondo possibile, nell’altro mondo necessario, avviene rapida e spontanea mediante le reti via computer. Le fonti sono passate da coloro che avevano le conoscenze adatte, gli specialisti, a coloro che volevano conoscerle, in un’azione appresa dall’esercito zapatista e la circolazione rapida , produce immediatamente la moltiplicazione delle analisi, lo scambio la creatività di un’intelligenza collettiva capace di rispettare la diversità e la singolarità di ciascuno. Intanto, mentre non ci sono soluzioni immediate per il futuro, perché siamo di fronte ad un cambiamento antropologico che deve ancora identificare i suoi codici, trovare empiricamente la strada comune, il Movimento dei Movimenti riflette a livello internazionale come democratizzare il sistema e contemporaneamente sviluppa con audacia, azioni e proposte locali che coinvolgono le amministrazioni, le scelte statali in un’idea di umanità di vera ricchezza e ben-essere. Scriveva John Kenneth Galbraith in Anatomia del potere che “Dobbiamo riconoscere, laddove si esercita il potere delle grandi imprese o quello dei militari, che un effettivo consolidarsi del contropotere, e non la dispersione e la competizione fra molte organizzazioni opposte, è una necessità primaria, anzi assoluta”.

Sintesi dell’agenda di alcune delle principali mobilitazioni decise al Forum Europeo di Parigi per l’anno 2004

GENNAIO

4 e 5 –  Genova – seminario sulla guerra e la pace promosso dal Gruppo di continuità del Forum sociale Europeo

dal 16 al 21 – Mumbai – quarto Forum sociale mondiale

dal 12 al 14 – New Delhi – “people world water forum” promosso da Vandana Shiva

17 – Parigi – manifestazione nazionale delle associazioni, dei sindacati e di alcuni partiti francesi, per l’abbandono di ogni progetto di costruzione di nuovi reattori nucleari, la messa in opera di un piano immediato sulle alternative rinnovabili e dibattito sulle reali future scelte energetiche

31 – giornata europea di azione dei sans papiers, migranti e rifugiati

FEBBRAIO

7 e 8 – Bologna – assemblea nazionale del movimento italiano

15 – a un anno dalla mobilitazione mondiale contro la guerra, iniziative in varie parti del globo

22 –  giornata mondiale contro la mercificazione dell’acqua  indetta dalla rete che si è costituita dopo il forum mondiale dell’acqua

dal 4 all’8 – Ciudad Guayana,  Venezuela – forum sociale Panamazonico

14 – manifestazione nazionale contro la legge Fini sulle droghe

MARZO

6 – giornata europea di azione artistica

6 e 7 – Londra – assemblea preparatoria del terzo Forum sociale europeo

8 – giornata europea dei diritti delle donne

19 – Bruxelles conferenza sui diritti sociali in Europa dei disoccupati e dei precari

20 – giornata mondiale contro la guerra in Iraq, su proposta del movimento statunitense

APRILE

2 e 3 – il Ces (Confederazione Europea Sindacati) ha indetto due giorni di mobilitazione per l’Europa sociale.

In questo mese: forum sociale del Perù, a Tambogrande. Giornata di iniziativa europea per l’educazione, servizio pubblico, ricerca e cultura

MAGGIO

7 e 8 – Barcelona – quarto Forum delle autorità locali

22 e 23 – in Galizia, Spagna – Forum europeo e “marcia mondiale” delle donne

GIUGNO

In data da definire, Forum sociale del Congo

20 – Genova – Forum europeo della comunicazione

LUGLIO

Dall’1 al 4 – Atene, Grecia – campeggio contro i giochi olimpici e per una concezione alternativa e più sana dello sport

Dal 23 al 25 – Boston, Usa – Forum sociale

Dal 28 al 31 – Porto Alegre, Brasile – Forum mondiale dell’educazione

In data da definire – Quito, Ecuador – Forum sociale delle Americhe

AGOSTO

Si svolgeranno diversi forum sociali locali: Addis Abeba, Forum dell’Etiopia; Forum Social Chifre da America, a Nairobi, Kenia; Forum della Somalia a Mogadiscio, Forum dell’Africa centrale a Yaoundè; Forum sociale del Mediterraneo, Barcelona

SETTEMBRE

Mobilitazioni in Italia in occasione dell’entrata in vigore della prima fase della Riforma Moratti della scuola

Assemblea europea dei disoccupati e dei precari e il 30 marcia europea contro la disoccupazione

NOVEMBRE

In data da definire – Londra – terzo Forum sociale europeo 

 (1) La Dichiarazione di Seattle dei Popoli Indigeni

 Noi, popoli indigeni provenienti da diverse parti del mondo, siamo giunti a Seattle per dar voce alla nostra grande preoccupazione sul modo in cui l'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization / WTO) stanno distruggendo la Madre Terra, di cui facciamo parte, e la sua pluralità culturale e biologica.

La liberalizzazione del commercio e lo sviluppo orientato all'esportazione, cioè i principi ed i processi dominanti che la WTO attivamente sostiene, hanno un effetto devastante sulla vita dei popoli indigeni. Il nostro diritto originario all'autodeterminazione, la nostra sovranità in quanto nazioni, ed i trattati e gli altri accordi tra nazioni e popoli indigeni ed altri Stati nazionali, sono calpestati da gran parte delle convenzioni della WTO. Le  conseguenze incommensurabilmente grandi di queste convenzioni sulle nostre comunità, vuoi per le devastazioni ambientali,  vuoi per la militarizzazione e la violenza che di sovente accompagnano i progetti di sviluppo, sono assai gravi e richiedono immediata attenzione.

L’Accordo Wto sull’agricoltura  (Agreement on Agriculture / AOA) promuove  la concorrenza nelle esportazioni e la liberalizzazione delle importazioni. Tale accordo ha causato l'invasione delle nostre comunità da parte di prodotti agricoli a basso prezzo che distruggono i metodi di coltivazione naturali ed ecocompatibili dei popoli indigeni. Gli approvvigionamenti di cibo sicuri, e la produzione degli alimenti tradizionali sono seriamente in pericolo. Poiché gli alimenti tradizionali sono sempre più rari, e contemporaneamente le nostre comunità sono  inondate da cibi di sempre più scarsa qualità, fra i popoli indigeni è notevolmente aumentata l'incidenza del diabete, del cancro e dell'ipertensione.
Le piccole imprese agricole sono assediate dalle piantagioni commerciali, e conciò le nostre terre avite si concentrano sempre più nelle mani di poche imprese e di pochi latifondisti. Innumerevoli uomini e donne delle nostre comunità vengono così sradicati e costretti ad emigrare nelle vicine città, dove ingrossano le schiere dei disoccupati e dei senza tetto.

L’Accordo Wto sui prodotti della foresta promuove il libero commercio dei prodotti forestali. Attraverso l'eliminazione dei tassi nei paesi sviluppati entro il 2000, e nei paesi in via di sviluppo entro il 2003, questo accordo porterà alla deforestazione di molti ecosistemi abitati da popoli indigeni. Si sta modificando anche la legislazione mineraria di molti Paesi in modo tale da permettere il libero accesso alle compagnie minerarie straniere e da render loro possibile l'acquisto ed il possesso di zone di estrazione; potendo così cacciare arbitrariamente i popoli indigeni dalle loro terre native. Queste imprese minerarie e petrolifere, condotte in grande stile secondo criteri commerciali, danneggiano incessantemente la nostra terra e la sensibilità dell'ecosistema; inquinano il suolo, le acque e l'aria nelle nostre comunità.
L'usurpazione delle nostre terre e delle nostre materie prime e la promozione aggressiva della cultura individualistica occidentale orientata al consumo distruggono poi le nostre culture ed il nostro tradizionale stile di vita. Ne consegue non solo la devastazione dell'ambiente, ma anche la diffusione di malattie, lo straniamento e le più gravi forme di disagio, che si rispecchiano nella forte incidenza dell'alcolismo e dei suicidi.

Il furto e la brevettabilità delle nostre risorse biogenetiche sono resi possibili dalla Convenzione WTO sugli aspetti riferibili al commercio dei diritti di proprietà intellettuale (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights / TRIPs). Alcune piante scoperte, coltivate ed usate dai popoli indigeni come cibo, come medicinali e per riti sacri, sono già state brevettate negli Stati Uniti, in Europa ed in Giappone. Tra queste, per esempio, vi sono l'ayahuasca, la quinoa ed il "sangre de drago" delle foreste sudamericane, la kava dal Pacifico, la curcuma ed il melone amaro dall'Asia. La Convenzione TRIPs minaccia il nostro accesso e controllo sulla nostra varietà biologica come pure il nostro controllo sulla nostra sapienza tradizionale e sul nostro patrimonio intellettuale.
L'articolo 27.3b della Convenzione TRIPs permette di brevettare esseri viventi e distingue - con un artificio - piante, animali e microrganismi. Altrettanto assurda è la distinzione tra "essenzialmente biologico", "non biologico" e "microbiologico". Secondo la nostra opinione, si tratta sempre di forme di vita e di processi vitali; che sono sacri e non possono essere oggetto di proprietà privata.

L’Accordo generale sui servizi  (General Agreement of Services / GATS), infine, promuove la liberalizzazione degli investimenti e la prestazione di servizi, rafforzando il dominio ed il monopolio delle imprese straniere in importanti settori dell'economia. La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale stabiliscono le precondizioni per la liberalizzazione, la deregolamentazione, e la privatizzazione nei Paesi imprigionati nella trappola del debito. Queste condizioni sono state ulteriormente appesantite dalla WTO .

In considerazione delle suddette conseguenze negative degli accordi Wto noi, popoli indigeni, chiediamo con urgenza un'analisi giuridica sociale ed ecologica degli effetti dell'insieme di questi accordi sui popoli indigeni.  I popoli indigeni devono partecipare su un piano di parità nello stabilimento dei criteri e delle caratteristiche di tale indagine, in modo che siano considerati i punti di vista spirituali e culturali. Gli accordi dovranno essere d'ora in poi valutati alla luce delle ingiustizie e degli squilibri che producono ai danni dei popoli indigeni. Aggiungiamo alcune proposte:

In relazione all’accordo sull’agricoltura, noi chiediamo:

Le piccole imprese agricole che producono prevalentemente per il consumo domestico e per il mercato locale debbono essere eccettuate dall'ambito di applicazione dell'accordo;

L'accordo deve assicurare il riconoscimento e la tutela del diritto dei popoli indigeni ai loro territori, alle loro materie prime, ai loro metodi ecocompatibili in agricoltura e nell'utilizzo delle loro materie prime, come pure il diritto al loro tradizionale stile di vita.

L'accordo deve assicurare la sicurezza nell'approvvigionamento alimentare e la possibilità per i popoli indigeni di coltivare, utilizzare e commerciare i propri tradizionali prodotti agricoli.

Le piccole imprese agricole che producono prevalentemente per il consumo domestico e per il mercato locale debbono essere eccettuate dall'ambito di applicazione dell'accordo;

L'accordo deve assicurare il riconoscimento e la tutela del diritto dei popoli indigeni ai loro territori, alle loro materie prime, ai loro metodi ecocompatibili in agricoltura e nell'utilizzo delle loro materie prime, come pure il diritto al loro tradizionale stile di vita.

L'accordo deve assicurare la sicurezza nell'approvvigionamento alimentare e la possibilità per i popoli indigeni di coltivare, utilizzare e commerciare i propri tradizionali prodotti agricoli.

In relazione alla liberalizzazione delle prestazioni di servizi e degli investimenti, noi chiediamo:

l’accordo deve impedire l’attività mineraria, la monocoltura commerciale, le dighe, l'estrazione petrolifera, la trasformazione della terra in campi da golf, la deforestazione e le altre iniziative che devastano la terra dei popoli indigeni e violano il loro diritto al territorio ed alle materie prime. Allo stesso modo devono essere riconosciuti e tutelati il diritto dei popoli indigeni al loro tradizionale stile di vita,  alle loro regole ed ai loro valori culturali.

Non si può permettere la liberalizzazione della prestazione di servizi, in particolare nel settore sanitario, se ciò impedirebbe ai popoli indigeni il libero accesso ad un'assistenza sanitaria libera, culturalmente adeguata e qualitativamente elevata.

La liberalizzazione nel settore finanziario renderà il mondo un "casinò" globale e deve essere regolamentata.

In relazione agli accordi TRIPs proponiamo:

L'Articolo 27.3b degli accordi TRIPs deve essere modificato con l'introduzione di un categorico divieto della brevettabilità delle forme di vita. Esso dovrà vietare senza possibilità di equivoco la brevettabilità di microrganismi, vegetali ed animali; nonché delle loro parti, quali i geni, le catene geniche, le cellule, le strutture cellulari, le proteine e le sementi.

L'accordo deve vietare la brevettabilità dei processi biologici e microbiologici naturali in cui piante, animali, microrganismi o loro parti sono utilizzati per la produzione di forme modificare di vegetali, animali o microrganismi. L'accordo deve assicurare, indipendentemente dai predominanti diritti occidentali di proprietà intellettuale, la possibilità della ricerca e  sviluppo di meccanismi di protezione alternativi. Queste alternative devono tutelare le conoscenze, le innovazioni ed i procedimenti agricoli, medici e di conservazione della biodiversità e devono basarsi sui metodi e sui diritti consuetudinari indigeni a tutela delle conoscenze, del patrimonio culturale e delle risorse biologiche.

L'accordo deve assicurare che la tutela del patrimonio delle conoscenze tradizionali  delle innovazioni e delle pratiche degli Indigeni, avvenga  in consonanza con la  Convenzione sulla biodiversità (Convention on Biological Diversity), e particolarmente con gli articoli 8j, 10c, 17.2 e 18.4; come pure con l'Accordo internazionale sulle risorse geniche vegetali (International Undertaking on Plant Genetic Resources).

L'accordo deve permettere ai popoli indigeni ed ai coltivatori il diritto di esercitare anche in futuro i propri tradizionali procedimenti di conservazione, suddivisione, e scambio delle sementi; come pure la coltivazione, la raccolta e l'impiego di piante medicinali.

L'accordo deve vietare a scienziati ed imprese commerciali di appropriarsi (al fine di brevettarle) delle sementi, delle piante medicinali e delle relative conoscenze dei popoli indigeni. In ogni caso devono essere rispettati i principi dell'assenso informato e del diritto di veto dei popoli indigeni.

Se le sopra citate proposte non fossero attuabili, sollecitiamo l'esclusione degli Accordi sull'agricoltura, sui prodotti forestali e degli Accordi TRIPs -   dal novero degli Accordi WTO.

Sollecitiamo gli stati membri della WTO a convocare una nuova sessione di incontri non appena  conclusi l'esame e la correzione delle disposizioni esecutive delle convenzioni esistenti. Rifiutiamo i progetti per un accordo in materia di investimenti, concorrenza, aumento di dazi industriali, deleghe agli Stati e creazione di un gruppo di lavoro per la biotecnologia.
Chiediamo con urgenza alla WTO di introdurre delle riforme che la trasformino in un consesso democratico, trasparente ed affidabile. Se ciò sarà impedito, chiediamo l'abolizione della WTO.
Chiediamo con urgenza agli Stati membri della WTO di favorire l'approvazione dell'attuale redazione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli Indigeni, e la ratifica della Convenzione ILO 169 da parte dell'Assemblea Generale dell'ONU.  Sollecitiamo tutte le organizzazioni di base e le ONG, affinché appoggino questa "Dichiarazione di Seattle dei Popoli Indigeni" e la diffondano fra i propri aderenti.
Abbiamo la salda convinzione che la filosofia che ispira gli Accordi WTO, come anche i principi ed i comportamenti da questa favoriti contrastano con le nostre convinzioni di fondo, con la nostra spiritualità e visione del mondo, con la nostra opinione e con il nostro modo di agire nei processi di sviluppo, nel commercio e nella tutela ambientale. Chiediamo perciò alla WTO di modificare i propri principi e procedure orientandoli secondo il modello delle "comunità ecologicamente sostenibili", e di riconoscere, lasciando loro dello spazio, le visioni del mondo ed i modelli di sviluppo alternativi ai propri.
I popoli indigeni sono senza dubbio colpiti nella maniera più grave dagli effetti negativi della globalizzazione e degli accordi WTO. Crediamo però di avere delle alternative praticabili rispetto ai modelli dominanti di crescita economica e di sviluppo orientato all'esportazione. I nostri stili di vita e le nostre culture ecologicamente sostenibili, la nostra sapienza tradizionale, le nostre cosmologie e la nostra spiritualità, i nostri valori collettivi, il nostro scambio reciproco, il nostro rispetto e la nostra venerazione della Madre Terra sono nel loro complesso decisivi per la ricerca di una società diversa, in cui si affermeranno la giustizia, l'uguaglianza e la vicinanza con la natura.

La dichiarazione è stata approvata dall’Assemblea dei Popoli Indigeni,,, convocata e sostenuta da:

  • Indigenous Environmental Network USA / Canada
  • Seventh Generation Fund / USA
  • International Indian Treaty Council
  • Indigenous Peoples Council on Biocolonialism
  • Abya Yala Fund
  • TEBTEBBA (Indigenous Peoples Network for Policy Research and Education)

Seattle (Stato di Washington/USA), 1° dicembre 1999

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