BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/03/2004

L'USO DEI FILM NELLA FORMAZIONE

di Michelangelo Gentile

Una lista come punto di partenza

Edificare una lista di scene di film affinché possa essere utilizzata al fine di trasmettere determinati concetti, è un’operazione che è stata compiuta più volte.

Personalmente penso che queste liste possano essere molto utili, ma solo per quei docenti che non abbiano una cultura cinefila tale da scegliere personalmente le scene, più adatte, secondo un loro personale metro di giudizio, nel trasmettere, spiegare, comunicare determinati concetti. Ritengo che una lista “preconfezionata”, quindi, limiti una scelta personale, che invece andrebbe compiuta. Questo personale punto di vista si basa su una convinzione; e cioè che la forza di un film come mezzo di comunicazione cresce in base al suo spessore artistico e in base alla capacità del docente di penetrare all’interno dei significati contenuti in esso. Infatti come lo stesso concetto può essere supportato da diverse scene, così può aumentare o diminuire la credibilità, l’emotività, la profondità del messaggio.  Comprendo le motivazioni che spingono la formazione di una lista al fine di “aiutare” i futuri formatori, ma spero che questi non vengano indottrinati al punto tale da pensare o credere che al di fuori di quella determinata lista non esistano altri film capaci di supportare determinati argomenti. Inoltre, e questo sarebbe l’errore più grave, indottrinare i futuri formatori al punto da far credere che il significato delle scene sia esattamente il narrato delle stesse. Sarebbe come dire che Van Gogh avesse dipinto “I girasoli” al solo scopo di ritrarre dei girasoli, o che l’unico scopo di Newton era fotografare una donna nuda e così via.

Quindi posso comprendere i limiti e le necessità che spingono la formazione di una lista, ma questa deve essere interpretata come un punto di inizio, e non come un punto d’arrivo, compreso il quale, un formatore si possa sentire in grado di comunicare a futuri discenti.

Il fine che bisogna perseguire, a mio avviso, è quindi quello che faccia comprendere, a chi si vorrà avvalere di tale metodo comunicativo, che maggiore sarà lo spessore artistico della scena, maggiore sarà la capacità interpretativa della stessa, e maggiore la consapevolezza e la profondità del messaggio che si va a comunicare.

Lo spessore artistico

Comunicare un concetto avvalendosi di una scena di un film, ritengo sia una soluzione geniale se si sfruttano le potenzialità di questo metodo comunicativo. Infatti, un valore didattico avrà un concetto supportato dal significato narrativo di una scena, e tutt’altro valore avrà lo stesso concetto se supportato da una scena che bisogna analizzare, comprendere, criptare. Questa differenza è appunto basata sul differente spessore artistico che può esistere tra una scena ed un’altra. Inoltre, a volte, una felice scelta di scena potrebbe non essere sufficiente, nel momento in cui il “viaggio” interpretativo si soffermerà sull’aspetto narrativo o non andrà in profondità.

La capacità di “leggere” in che misura e in che modo l’arte cinematografica può essere utile a far comprendere, o almeno supportare determinati argomenti, cammina di pari passo con la capacità di scelta delle scene e dell’interpretazione delle stesse. Infatti colui che utilizzerà una scena di un film, poiché il suo narrato è “calzante” con l’argomento, altro non farà che un utilizzo banale e superficiale della stessa. Colui invece che, contrariamente all’attinenza narrativa della scena, utilizzerà non il narrato ma ciò che vive “dentro”, argomenterà lo stesso concetto con un metodo molto più affascinante, convincente, didattico, educativo, stimolante e, tra l’altro, aspetto fondamentale, veritiero.

Coinvolgimento emotivo

Tutto quello detto finora non avrà modo d’esistere e non avrà importanza se la scena di un film, la spiegazione di un docente e quant’altro non produca un coinvolgimento emotivo del discente. L’emozione che nasce nello spettatore di un clip, rappresenta il risultato di tante dinamiche, che per motivi di tempo e limiti conoscitivi, non possiamo comprendere fino in fondo. Ma la certezza che ci regala questo risultato, è la totale predisposizione del discente nel comprendere le parole, l’insegnamento e le indicazioni di colui che ha avuto la capacità di coinvolgerlo emotivamente. Inoltre ritengo che nei confronti dell’arte cinematografica ognuno si senta molto sicuro dei propri mezzi sensoriali, e della propria capacità interpretativa.

Infatti l’arte cinematografica è l’arte nei confronti della quale si ha un contatto molto più frequente rispetto ad altre forme artistiche. Questo è un aspetto importante, poiché nel momento in cui un docente rivela significati reconditi e nascosti, dimostra ai discenti che non sempre bisogna essere fiduciosi della propria interpretazione che si da alle cose, o che molte volte esistono altre interpretazioni, partendo dai film, passando per il lavoro, per terminare naturalmente alla vita. Il coinvolgimento emotivo è l’elemento differenziante,quindi. E’un risultato, che dimostra come può essere differentemente utilizzato il metodo comunicativo dei film.

Videoclip

Personalmente credo che esista un ulteriore passo da compiere in questa materia. Credo che una volta compiuta la scelta in base ai parametri sopraccitati, si debba “costruire” un videoclip che “unisca” e “rivisiti” i significati originali di quelle determinate scene, per canalizzarli verso l’argomento didattico che interessa. Riuscendo in ciò, si compie un importante e fondamentale “passo” nei confronti dei discenti, cioè, dimostrare come si possa “re-interpretare”.

Questa dinamica però non deve e non può esentarsi da quello che abbiamo detto essere il pilastro attorno al quale ruota la credibilità del discente, ossia il suo coinvolgimento emotivo. Quindi ritengo in conclusione che non si può pretendere di coinvolgere un terzo emotivamente se non si è coinvolti in prima persona. Quindi faccio fatica ad immaginare come può una lista “preconfezionata” sapere quale scena possa emozionare quel determinato docente. Una lista composta da professionisti può essere utile, ripeto, ma è, anzi deve essere, solo un punto d’inizio.

Identificazione dello spettatore

E’ questa la chiave d’entrata. Maggiore sarà l’identificazione e maggiore sarà il coinvolgimento emotivo. Siccome “emozione” è verità, lo spettatore abbatte il suo scetticismo, non vede più il clip solo come qualcosa di “artefatto”, ma come qualcosa che, seppur “artefatto”, richiama argomenti “reali”, con significati “ reali “, perché è emozionato, e quindi il gioco è fatto. Infatti nel momento in cui si scende sul campo della “verità”, pur provenendo da un mondo “finto” come quello cinematografico, il “patto” tra docente e discente è chiaro, cioè, pur partendo da un argomento irreale, entrambi sanno che sono giunti sul campo della realtà, e quindi, le argomentazioni che si andranno a trattare, godranno della completa predisposizione del discente nell’apprendere e comprendere. Non pensiate però che sia un inganno, una trappola che si tende al discente, poiché questo “ ponte “ che collega il mondo “ fittizio “ di un film, con argomenti, riflessioni, dinamiche, emozioni della vita reale, esiste, ed proprio agendo su questo ponte che troverete le motivazioni per le quali un docente possa sentirsi più “appartenente “ a una determinata scena di un film, piuttosto che da una indicatagli da una lista. Determinato ciò, bisogna comprendere in che misura e in che modo si può raggiungere l’obiettivo dell’identificazione dello spettatore. Esistono sostanzialmente due tipi di identificazione : diretta e indiretta. Entrambe le identificazioni hanno poi vari stadi d’intensità.

L’identificazione diretta nasce nel momento in cui lo spettatore riscontra nel film, significati, dinamiche, luoghi, parole, avvenimenti che ha vissuto direttamente. Questa è l’identificazione più forte, è l’identificazione che “causa” un coinvolgimento emotivo totale da parte dello spettatore. Pensate al differente coinvolgimento con il quale due spettatori assistono allo stesso film, nel momento in cui uno dei due abbia vissuto parte, se non addirittura totalmente le vicende narrate nel film stesso. Ad esempio Al di là dei sogni con Robin Williams. Narra la storia di una donna che vede morire prima i suoi due figli in un incidente stradale, e pochi anni dopo il giovane marito. Noi spettatori seguiamo il film dal punto di vista del marito, infatti lui muore e si ritrova in paradiso. Dopo poco giunge la notizia che la moglie si è assassinata, e quindi condannata ad andare all’inferno. Lui non accetta tale destino e combatte, rinuncia al paradiso, per salvare la sua amata. Verrà premiato, poiché riuscirà a portarla via con sé, e poi, decidono di rinascere. In finale lei gli dice: ma come farò a trovarti? E lui risponde: ti ho trovata all’inferno, vuoi che non ti trovi nel New Jersey ?.

E’ intuibile quindi il tasso di coinvolgimento dello spettatore, nel momento in cui ha vissuto, anche solo in parte, il dramma che hanno vissuto i protagonisti del film. Quindi maggiore sarà l’identificazione diretta dello spettatore e maggiore sarà il suo coinvolgimento emotivo. Questo fattore, permetterà una maggiore predisposizione, da parte dello spettatore maggiormente “identificatosi”, a comprendere in che modo e in che misura da questo film possano estrapolarsi argomentazioni, concetti, conclusioni applicabili alla vita reale.

L’identificazione indiretta invece è una dinamica che si ottiene nel momento in cui lo spettatore si riesce ad identificare, pur non avendo mai avuto vissuto esperienze analoghe. Questo accade nella maggior parte dei casi. L’identificazione indiretta può scattare in tanti modi. Innanzitutto riuscendo ad entrare nella psiche del personaggio. Questo permette appunto una identificazione nel personaggio stesso e quindi vivere il “vissuto” del film come se ci appartenesse. Inoltre si può ottenere una identificazione indiretta anche solo se un elemento emotivo del film richiama una emozione già vissuta, o richiama addirittura un’emozione “ideale” che appartiene “all’immaginario collettivo”, o anche al personale mondo interiore che ognuno di noi ha. Un esempio in merito può essere Titanic , infatti penso che l’identificazione diretta possa essere “scattata” solo marginalmente e nei confronti di pochi spettatori. Quanti possono dire di aver vissuto un’esperienza similare?

Mentre la stragrande maggioranza degli spettatori pur non identificandosi direttamente con gli avvenimenti, luoghi, e circostanze del film sono stati coinvolti emotivamente poiché appartiene all’immaginario collettivo l’idea di un amore tormentato che trionfa dopo la vita. Però non bisogna sottovalutare l’elemento storico del Titanic. Cioè, ambientando questa storia d’amore all’interno di un evento storico realmente accaduto, è stata facilitata l’identificazione del pubblico. Infatti, mia personale convinzione, è che un film con la stessa storia, con gli stessi interpreti, ma ambientata in una nave “immaginaria”, non avrebbe avuto lo stesso successo planetario. In tutto questo “gioco” ci sono tante “variabili”.

La bravura del regista, dell’attore, del cast tecnico, e naturalmente la sensibilità dello spettatore. Infatti al variare di ognuno di questi elementi si ottiene una variazione del meccanismo di identificazione. Ecco perché attori come Robert De Niro, Al Pacino, Robin Williams, Meryl Streep, Nicole Kidman, e tanti altri  sono ritenuti “bravi” dal pubblico. Perché facilitano attraverso la loro interpretazione l’identificazione con il personaggio che interpretano a prescindere se lo spettatore abbia o meno una identificazione diretta con la storia o con altro. Stesso dicesi per i registi ma con delle aggiunte particolari che potrebbero confondere un po’ le idee.

I registi

I grandi registi, coloro che sarebbero equiparabili a grandi pittori, a grandi artisti complicano un po’ quello che è stato detto finora. Infatti il loro obiettivo non è, e non sarà mai, l’identificazione del pubblico. Il loro lavoro è canalizzato al solo fine di trasfigurare in cinema il proprio mondo interno, il proprio pensiero, la propria opinione su determinati aspetti della psiche umana applicata alla vita. Compiuto ciò spetta a noi spettatori penetrare in questo “dipinto umano” dove i colori sono rappresentati dalle emozioni degli interpreti, dagli ambienti, dalla storia. Il loro pennello è la telecamera. Per comprendere in che direzione canalizzare la nostra analisi, dobbiamo riflettere sul messaggio che il regista ha voluto trasfigurare in video. E purtroppo a volte non basta neanche questo. Perché come accade per i grandi artisti, il genio opera anche all’insaputa dell’uomo stesso. Quindi a volte ciò che coglie uno spettatore, può essere un “qualcosa” che neanche il regista, a livello conscio, sapeva.

Tante volte mi è capitato di ascoltare opinioni in merito Fellini da parte di molte persone. E molte volte ho sentito dire : “ ammetto di non capirlo!”. Magari riferendosi a film “onirici” come 8 e 1\2.

Queste affermazioni confermano la mia opinione. Non penso che Fellini non sarebbe stato in grado di “costruire” un film capace di far identificare il pubblico. Non credo. Credo che lui si sia descritto, internamente, profondamente, e per comprendere parte del suo messaggio bisogna innanzitutto comprendere, appunto, dove canalizzare la nostra attenzione. Questo esempio è didatticamente semplice poiché criptare Fellini, ammetto, non è cosa facile, ma la provocazione è la seguente : siamo sicuri che alcuni film siano stati compresi nella loro totalità, o quantomeno, siamo sicuri che ci siamo posti di fronte ad alcune pellicole, domandandoci se al di là del significato narrativo ci sia altro?. Esempio: Shining di Kubrik. E’ un horror, giusto. Ma al di là della follia pura che viene fuori dal film, al di là della perversione morbosa che dipinge l’atmosfera del film, ci siamo posti nuovi obiettivi da raggiungere?

Per iniziare un viaggio esplorativo all’interno del “mondo interiore” di un artista, bisogna sapere che esiste un altro fondamentale parametro attorno al quale ruota l’analisi e lo studio del suo operato. L’energia. Faccio un esempio. Se ad una persona viene chiesto di disegnare con delle matite colorate un sole a mezzogiorno, il classico sole che si suol dire “spacca le pietre”, ognuno si preoccuperà di colorare tante volte di giallo il sole, ripetendo l’operazione per aumentare l’intensità del giallo stesso, oppure colorando solo una volta ma adoperando una pressione sulla matita molto forte. Se invece viene chiesto di disegnare un alito di vento, avremo esattamente l’opposto, cioè si tenterà di disegnare al punto che si noti, ma con una estrema leggerezza. ( chiaramente possono esistere le eccezioni ).

Questo accade perché colui che disegna conosce l’intensità d’energia che quel disegno deve trasmettere. Adesso pensate che i grandi artisti l’energia la percepiscono in ognidove, e il loro “descrivere” quell’energia, in base alla forma artistica che adopereranno, è direttamente proporzionale a come la percepiscono e interpretano, e che l’intensità del colore del disegno, equivale all’intensità emotiva descritta. A volte addirittura scherzano ed irridono tale energia, descrivendola in modo tale da “denudarla”. Sergio Leone, ad esempio è stato un maestro, nell’uso e abuso delle “pause” e dei “silenzi”, per “denudare” quella sensazione, quell’atmosfera che precedentemente aveva creato. Esempio: in C’era una volta in America, Robert De Niro ( Noodles ) torna al cospetto del resto della banda dopo essersi dileguato per diversi giorni, la banda sa perché era scomparso, lui sa che lo sanno, in tutto ciò Max ( il capo-amico\fratello di Noodles ) è seduto su un trono, (quale miglior messaggio subliminale per sottolineare che era lui il capo!) intanto, tu spettatore, dagli sguardi, dai primi piani, dei componenti della banda, capisci che Max ha parlato male di lui in sua assenza, e che ormai è diventato il capo, e lui, Noddles, in questo momento di tensione, chiede del caffè, e gira il cucchiaino nella tazza, facendo un rumore irritante, per ben 43 volte!! in una “pausa-scenica” di oltre 1 minuto!!

Così facendo ha dichiarato che il capo è anche lui!!. Sono stato molto riduttivo ed ho semplificato una scena che è entrata nella storia del cinema, ma volevo solo sottolineare come in un cinema sempre più “veloce”, stile Matrix, difficilmente nascerà un regista che saprà costruire scene la cui tensione è sostenuta, e molte volte acuita, con un minuto di silenzio. Se non tutti hanno visto il film che ho appena citato, ricordatevi che sto parlando di colui che ha fatto dei duelli western, dei capolavori di “silenzi e sguardi”. Insomma, non è semplice spiegare ne tanto meno comprendere, come un genio operi. Ma è estremamente semplice, o dovrebbe essere così, intuire che un genio opera. Didatticamente l’introspezione di un film ha una potenzialità enorme. Infatti se questo meccanismo d’analisi profondo e razionale si applicasse ai vari argomenti, che molte volte affollano i corsi di formazione, e se questo meccanismo fosse trasmesso e fatto comprendere ai discenti, penso, sarebbe raggiunto il vero risultato\obiettivo che un docente si ponga. Riguardo la scena di De Niro-Noodles pensate sarebbe didattico intavolare una discussione sulla comunicazione non verbale? Io penso di sì. Molti libri citano e consigliano al riguardo di quest’argomento la commedia comica Non guardarmi non ti sento,  sol perché i protagonisti erano un cieco ed un sordo!!

Penso si possa fare di meglio, personalmente. Un docente non ha come obiettivo quello di comunicare semplicemente un concetto, ma, di farlo comprendere nella sua totalità. Ecco perché secondo me i film possono essere un mezzo comunicativo geniale, dalle enormi potenzialità: perché possono rappresentare, al di là dei significati che contengono, una palestra per la mente, un modo per far capire che quello che ci circonda può essere analizzato, compreso e criptato in maniera molto più profonda di quanto non si faccia normalmente.

Pagina precedente

Indice dei contributi