BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 08/02/2010

 

LA SFIDA DELLE RELAZIONI (POST)INDUSTRIALI

di Roberto Gialdi

Nel primo decennio del nuovo secolo, alcune ricerche socio-economiche hanno messo in luce l'importanza di forme di remunerazione del lavoro non monetarie. Le relazioni industriali iniziano ora ad aprirsi a questi nuovi contenuti, che richiedono, tuttavia, un approccio logico diverso rispetto al passato.

Nuovi valori
Negli ultimi decenni del secolo scorso, abbiamo assistito all'avvento di quella che si è soliti chiamare società dell'informazione e della conoscenza, la quale si caratterizza per tre aspetti fondamentali: la produzione e la crescita si realizzano attraverso la conoscenza; l'attività economica ruota attorno alla produzione di servizi; la nuova economia, di conseguenza, ruota attorno alle occupazioni ad alto contenuto di informazione e conoscenza. Da qui derivano scenari lavorativi molto precisi, le cui coordinate vengono tracciate su tre assi: terziarizzazione; massiccia presenza femminile sul mercato del lavoro; ristrutturazione del paradigma imprenditoriale (1). In tutto questo, la società dell'informazione e della conoscenza ci appare come una declinazione della società postindustriale, in cui la terziarizzazione dell'economia e la produzione di idee e valori giocano un ruolo decisivo.
In particolare, la società postindustriale ha portato con sé nuovi valori, che si sono via via affermati fino a diventare dominanti: la creatività, l'estetica, la soggettività, l'emotività (2). Valori che in una certa misura si rispecchiano nel mutato paradigma imprenditoriale, in cui i fattori leggeri (cioè le competenze interne all'azienda) sostituiscono i fattori pesanti (materie prime, impianti, capitali) ed in cui le persone diventano centrali per la competitività (3): anche a livello produttivo, per esempio, “la dimensione tecnologica degli oggetti è scontato che sia perfetta, dunque emerge quella estetica” (4) e, con essa, l'essere umano.
È in questo contesto che si colloca una ricerca sulle politiche di conciliazione lavoro-famiglia, condotta su un campione di 150 aziende spagnole. Dall'analisi dei dati raccolti, emerge che “la remunerazione non è più l'unica gratificazione, e che esiste anche un 'salario mentale' definito in massima parte dalla qualità di vita privata che il lavoratore ha” (5).
In questo modo, il concetto di retribuzione va ben al di là del significato monetario che l'economia ha storicamente definito: “insieme alla remunerazione strettamente economica ci sono altri tipi di ricompensa come le occasioni di sviluppo e avanzamento professionale, la soddisfazione per il lavoro svolto e l'affiliazione, intesa come la gratificazione per l'appartenenza ad una organizzazione che condivide i valori dei dipendenti”. Ma, soprattutto, “il successo assume un nuovo significato per i lavoratori, che ora non aspirano soltanto a crescere professionalmente, ma anche a livello personale” (6).
Con il salario mentale ci troviamo di fronte, quindi, un elemento del tutto nuovo, che cambia completamente le prospettive di remunerazione del lavoro umano.

Da quantitativo a qualitativo
Di questo scenario generale, devono conseguentemente tenere ben conto anche le relazioni industriali, che sono chiamate ad operare un cambiamento radicale, passando da un approccio quantitativo (quello del classico premio di produzione) ad un approccio qualitativo (quello del salario mentale).  La conferma è arrivata da un'importante azienda italiana – un'azienda di rilievo mondiale – che si è mossa proprio in questa direzione. L'11 febbraio 2009, infatti, alla Luxottica è stato sottoscritto un protocollo d'intesa che ha per oggetto l'introduzione di un sistema di remunerazione non monetario, attraverso la creazione di una sorta di welfare aziendale (cfr. Contratti e contrattazione collettiva, n. 4, aprile 2009). La filosofia che anima l'accordo, a dire il vero, appare ancora fondamentalmente conservatrice: fare in modo che, posto 100 euro il costo sostenuto dall'azienda, il potere d'acquisto per il lavoratore sia pari ad almeno 100 euro. Quello che è interessante, però, è il mezzo che è stato pensato per conseguire un risultato che – nelle intenzioni dichiarate di azienda e sindacati – dovrebbe continuare ad essere eminentemente monetario. Per raggiungere uno scopo economico, con questo accordo si incomincia a ragionare sul miglioramento della qualità di vita dei lavoratori.
E qui iniziano le difficoltà: il contratto integrativo aziendale abbandona la strada abituale della determinazione di un premio di produzione monetario e si incammina nel territorio del salario mentale. Probabilmente questo passaggio da quantitativo a qualitativo avviene senza che nessuno degli attori ne abbia la piena consapevolezza, però avviene. E porta con sé un problema, perché la combinazione di strumenti che fino ad oggi è stata utilizzata per raggiungere l'intesa, da oggi in avanti non può più essere riproposta. Cambia, infatti, l'oggetto dell'intesa, l'oggetto su cui gli attori sono chiamati a ragionare: ieri la certezza numerica di una retribuzione monetaria, oggi – e ancor più domani, probabilmente – un salario mentale di gran lunga meno certo.

Nozioni confuse
Secondo Descartes, razionale è solo la dimostrazione che procede da un'idea ad un assioma attraverso prove inoppugnabili (7). L'esempio è quello del teorema di Pitagora: si parte da un'idea e, attraverso la prova geometrico-matematica (con carta, matita e squadra) si arriva alla dimostrazione del teorema e quindi all'enunciazione dell'assioma, cioè di un principio indiscutibile: l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale alla somma delle aree costruite sui cateti.
Questo modo di ragionare – geometrico, appunto – può accettare come razionali soltanto quelle affermazioni su cui l'accordo è inevitabile (8), proprio perché già verificate e senza più possibilità di essere messe in discussione. In questo quadro, “il disaccordo è segno di errore” (9).
In tutto ciò, la razionalità cartesiana si rivela essere assolutamente inadeguata a guidare l'agire umano laddove il fine qualitativo sostituisce quello quantitativo. Quando il cuore dell'accordo si svincola dal valore numerico, tutto il peso dell'intesa è retto esclusivamente dall'argomentazione: “il campo dell'argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui quest'ultimo sfugge alle certezze del calcolo” (10).
La caratteristica fondamentale dell'argomentazione è di essere aperta, nel senso che “le premesse relative al reale e al preferibile, e i diversi schemi argomentativi cambiano continuamente, almeno per ciò che si riferisce alla sua accettazione e pertinenza”, con la conseguenza che “gli effetti dell'argomentazione non sono definitivi; l'adesione si modifica con il tempo; si debilita ma può anche rafforzarsi” (11). In questo modo, l'argomentazione si pone in netto contrasto rispetto alla razionalità cartesiana: mentre la logica cartesiana si propone lo scopo dell'univocità, di evitare l'ambiguità fissando il tempo e liberandosi del linguaggio, “l'argomentazione, al contrario, suppone un linguaggio vivo (comunicativo) con tutto ciò che presuppone di tradizione e continua evoluzione, di vaghezza e ambiguità” (12).
Con queste premesse, è più agevole comprendere che cosa accade di fronte ai nuovi valori a cui devono rispondere le relazioni industriali di oggi e di domani. Allorché il contratto sposta il suo oggetto da un premio di produzione monetario – legato a statistiche elaborate sulla scorta di dati economici e produttivi – ad una gratificazione che si colloca nell'ambito del salario mentale, le parti smettono di confrontarsi sull'evidenza dei numeri e incominciano a farlo su nozioni confuse, che “possono essere precisate e applicate” solo “scegliendo e mettendo in evidenza alcuni loro aspetti incompatibili con altri” (13). Il merito è un tipico esempio di nozione confusa, ben noto anche a tutti coloro che si occupano di remunerazione del lavoro: il merito, infatti, dà luogo “congiuntamente a esigenze incompatibili (valutare riferendosi al soggetto che agisce e al risultato ottenuto)” (14). Ma sono nozioni confuse anche “i valori universali (il vero, il bello, il buono, il giusto, ecc.) che rappresentano ad un tempo un quadro vuoto e una molteplicità di valori che da soli forniscono un senso in un contesto dato” (15).
Nozione confusa è anche, a pieno titolo, il salario mentale, che già nel nome ci comunica un'intrinseca incompatibilità: la materialità della moneta unita all'immaterialità della mente. Il salario mentale presuppone una retribuzione a cui è impossibile dare un valore monetario: quanti euro vale il sentirsi soddisfatti del proprio lavoro? O la gratificazione che dà un contesto lavorativo creativo e stimolante? O, ancora, l'opportunità di sviluppare pienamente la propria vita emotiva, le proprie relazioni personali ed affettive, in armonia con il proprio lavoro? Eppure – come autorizzano a ritenere gli scenari della società dell'informazione e della conoscenza – è proprio con forme di remunerazione di questo tipo che le relazioni industriali saranno sempre più chiamate a confrontarsi.

Relazioni (post)industriali
Sembra così delinearsi, per il prossimo futuro, un nuovo modello di relazioni industriali – che  potremmo anche definire relazioni (post)industriali – alternativo, ma non sostitutivo del modello tradizionale (dal quale non si può logicamente prescindere per la remunerazione monetaria, che non può in alcun modo venir meno).
Nelle relazioni (post)industriali, alla logica cartesiana – quella del dato certo, provato, incontestabile – si sostituisce completamente la logica argomentativa del possibile, del verosimile, anche del disaccordo.
In realtà, la logica argomentativa è ben presente anche quando il fine dell'intesa è rappresentato dal tradizionale premio di produzione monetario, con a monte tutto il suo corollario di statistiche tratte da dati economici e produttivi. Là, tuttavia, la logica argomentativa è costretta, ad un certo punto, a fermarsi: di fronte all'evidenza dei numeri, la logica argomentativa – che pure era servita per intendersi su quali numeri occorresse considerare – deve per forza di cose cedere il passo alla razionalità cartesiana: quei numeri parlano e dicono, senza alcuna possibilità di smentita, se il premio di produzione sarà corrisposto e, eventualmente, in quale misura. Ma allorché il fine dell'intesa diventa una nozione confusa come il salario mentale, l'unica logica praticabile rimane quella argomentativa.
Nel modello tradizionale di relazioni industriali, sono ben evidenti i due momenti dell'intesa: quello qualitativo, legato all'individuazione degli indicatori da utilizzare; e quello quantitativo, legato all'analisi e alla consuntivazione di quegli stessi indicatori, con conseguente determinazione del premio. Lì gli attori utilizzano logiche diverse: argomentativa nel primo momento (qualitativo), cartesiana nel secondo (quantitativo). Nel momento quantitativo, infatti, ci si intende sui numeri e, quando una parte dimostra matematicamente la giustezza dei propri assunti, l'altra parte può soltanto convenirne.
Nel modello di relazioni (post)industriali, invece, esiste un solo momento: quello qualitativo, in cui ci si intende su nozioni confuse. E, di conseguenza, il processo di intesa è costantemente esposto all'incertezza, all'indeterminatezza, all'ambiguità, cosicché gli attori possono affidarsi soltanto alla logica comunicativa.
Avere un'idea precisa di quali abilità logiche e razionali sono necessarie in questo nuovo modello di relazioni industriali, è di vitale importanza per la buona riuscita dell'accordo: nel campo del salario mentale, chiedere alla controparte una prova inoppugnabile a sostegno delle sue richieste o cercare noi stessi di presentare come fatti incontrovertibili le nostre proposte, significherebbe sprecare energie e risorse, andando probabilmente incontro ad un fallimento. 


1 - Alejandra Hernández Ruiz, Expectativas de vida familiar y laboral de una muestra de estudiantes de Publicidad y Relaciones Públicas, tesis doctoral, Universidad de Alicante, Alicante, 2008, pp. 23-24.

2 - Domenico De Masi, Ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri, Rizzoli, Milano, 2003 (2000), pp. 138-140.

3 - Hernández, Expectativas de vida familiar..., p. 30.

4 - De Masi, Ozio creativo..., p. 138.

5 - Nuria Chinchilla, Steven Poelmans, Consuelo León, Politícas de conciliación trabajo-familia en 150 empresas españolas, IESE Business School – Universidad de Navarra, Barcelona ­ Madrid, 2003, p. 2 (traduzione mia).

6 - Hernández, Expectativas de vida familiar..., p. 32 (traduzioni mie).

7 - Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell'argomentazione, Einaudi, Torino, 1966 (1958), p. 3.

8 - Ivi, pp. 3-4.

9 - Ivi, p. 4

10 -Ivi, p. 3.

11 - Adolfo León Gómez Giraldo, La importancia de las nociones confusas, Universidad del Valle, Cali (Colombia), 2004, p. 112 (traduzioni mie).

12 - Ivi, p. 113 (traduzione mia).

13 - Perelman e Olbrechts-Tyteca, Trattato..., p. 139.

14 -Gómez G., La importancia..., p. 120 (traduzione mia).

15 - Ivi, pp. 120-121 (traduzione mia).

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