BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 27/01/2003

TROVARE LA PROPRIA STRADA, SCOPRIRE, ASCOLTARE

di Michele Giua

Scegliere un e.p.g. [1] non è facile, molto spesso ci si  affida solo al titolo.

Così ho scelto E-Labor-Azione. Non avevo aspettative particolari, era solo un idea.

Idea che ha preso forma durante il corso.

La parte a me affidata riguardava una modalità utilizzata dalla formazione per apprendere dall’esperienza ,  attraverso la narrazione dei fatti.

Mi sono occupato della raccolta e dell’analisi di un autocaso,  ho avuto così

modo di “toccare” la complessità e l’importanza di tutte le fasi del processo.

È stato un riunirsi di teorie , paradigmi , un riappropriarmi di frasi, idee,

sensazioni disperse, non collegate, e per questo senza un significato se non parziale , dove il tutto non era neanche immaginato.

Elaborazione, scindere per riunire.

Il titolo non ha tradito, è stato ai patti… ed è andato oltre, prendendo le forme

di un seminario, “seminario come seme”.

Se oggi, con entusiasmo, porto avanti una tesi di laurea dal titolo “L’intervista narrativa come metodo di ricerca nelle organizzazioni”, il merito è di quel seme .

Seme  rimasto addormentato per anni aspettando l’occasione per risvegliarsi.

E-Labor-Azione è stato tutto questo, potrei parlare della paura nel primo incontro con il “cliente”, della paura di difendere le mie posizioni in pubblico , della paura

o della soddisfazione di veder condivise le mie tesi , riconosciuti gli sforzi.

In questo la prof. Piccardo [2] ha svolto un ruolo fondamentale incoraggiandoci a creare sempre nuove soluzioni, nuovi problemi.

Fornendoci un metodo, un ancoraggio teorico ai viaggi che la narrazione permette di fare .

Il  prof. Cortese, [3] dopo tre anni, mi ha dato un nuovo impulso, la voglia di crederci, di riprendere in mano quelle idee .

Avevo quasi dimenticato quell’esperienza , rimasta negli appunti ,  da riordinare .

Leggendo quei “fogli sparsi” emergevano pensieri , piccoli segnali di un sentiero già

percorso , è stato un riappropriarmi di un processo, un sorprendermi , nel leggere frasi che a fatica riconoscevo come mie .

E’ di questa nuova esperienza che volevo parlare .

Cinque interviste in profondità , tre-quattro incontri da un’ora , a soggetti esperti di formazione, e mi sono “lanciato”, pieno di dubbi, cosa gli racconto? Quali domande ? Cosa sto cercando? Ma poi ti fermi…. Sono loro che devono raccontare, e tu puoi  tu puoi solo ascoltare, ascoltare le loro storie, storie di vita! Bello….

Ed è quello che ho fatto, ho seguito l’istinto, l' abduzione  “un processo logico che si basa sulla fiducia che vi sia una certa affinità tra la mente di chi ragiona e l’ambiente,sufficiente a rendere il tentativo di indovinare  non completamente  privo di speranza , è evidente che se l’uomo non avesse avuto una luce interiore tendente a rendere vere le sue congetture la razza umana si sarebbe estinta per la totale incapacità nella lotta per la sopravvivenza” (C. S. Peirce).

Ho cercato di essere un ricercatore debole. Perché io devo raccogliere storie.

Il ricercatore debole deve prendere atto che la scienza è potere, poiché tutte le “scoperte” hanno implicazioni politiche e che anche i ricercatori  raccontano storie di quei mondi che hanno visitato.

Così le narrazioni, o storie, che i  ricercatori raccontano, troppo spesso, sono resoconti posti e incorniciati entro specifiche tradizioni di “racconto”.    

Ma la bellezza esplicativa di una storia di vita non si può racchiudere in un recinto, supera i muri per dare ad ognuno una lettura diversa , ma l’unica che veramente conti

è la sua , quella che ne da l’uomo o la donna che racconta .

Ma che ruolo possiamo e dobbiamo avere perché ciò avvenga ? Dobbiamo essere nudi , spogliarci della corazza dell’esperto , tornare bambini. Con la curiosità , con i  perché .

Solo un bambino può dire che il Re è nudo.

Qual è l’ OBIETTIVO ?

Cosa sto cercando, se faccio ricerca dovrò pur cercare qualcosa .

La prima  è  far provar piacere al mio “ cantastorie”, essere un pubblico attento, di uno spettacolo che non è il nostro e può riuscire solo se lo reputiamo plausibile, dove la plausibilità , per capovolgere un cliché , ha sede nell’orecchio di chi ascolta .

Un pubblico che prova piacere ad ascoltare , per poi trascrivere, scrivere per non dimenticare.

La scrittura ferma gl’attimi, li solidifica  su un foglio di carta, segni di un passato e base solida per un futuro ancora tutto da venire .

È occasione per far emergere la propria realtà , troppo spesso soffocata dalla realtà ufficiale , che si ascolta e che si deve raccontare .

Perché la realtà è, soprattutto, una risorsa scarsa . Come qualsiasi risorsa oggetto di combattimento .

Una forma fondamentale di potere è quello di definire , assegnare e disporre di questa risorsa  e la definizione di questa “nuova”  realtà permette di ri-appropiarsene .

La seconda è imparare .

“L’intervista narrativa è già di per sé occasione di riflettere su ciò che si fa, occasione di apprendimento per il soggetto intervistato.” (C.G Cortese).  Ma lo è forse più per

il ricercatore, se si pone, in un ottica di discente , il vecchio che racconta al giovane.

E’ da migliaia di anni che tutte le culture si fondano su questo principio, solo oggi troppo spesso ce ne dimentichiamo. Ma questa è un’altra storia…

Che dirvi di più, questa ricerca non è  ancora finita , volevo solo parlare del metodo

E di come mi ci sono avvicinato e spero di aver creato  qualche dubbio.



[1] E.P.G:  esperienze pratiche guidate.

[2] Docente di psicologia del lavoro presso la facoltà di Torino.

[3] Docente di organizzazione e gestione delle risorse umane presso la facoltà di Torino.

Pagina precedente

Indice dei contributi