BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 19/08/2002

Lobby o Hobby

di Angelo Guerini

Caro Francesco,

permettimi di continuare a darti del tu come un tempo. Sai, noi editori appassionati ci affezioniamo ai nostri libri e anche ai partner con cui li abbiamo progettati. In effetti, mi pare che anche nel tuo articolo su Bloom («Con Bloom! e oltre Bloom!: parole scritte su carta») non mi siano disconosciute le qualità umane quanto piuttosto quelle intellettuali. Pubblico infatti, quasi inconsapevole, libri che ribadiscono approfondendoli concetti quanto mai innovativi, ma li imbratto con scritte «minacciose e vane». Tanta buona volontà malamente spesa, insomma, per mancanza di acume.

La mia intenzione sarebbe rispondere a questo tuo scritto, ma ti confesso di trovare qualche difficoltà: come contrapporre un discorso razionale alla demagogia? La demagogia è così affascinante, così semplice, così persuasiva. Con quale argomento si può controbattere, ad esempio, se in un ragionamento pacato, quasi sillogistico, come quello con cui la Laterza tenta di scoraggiare le fotocopie («Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza») tu percepisci «rabbia sorda» e «senso di impotenza»? Certo, rabbia e senso di impotenza sono emozioni facili, semplici, che ognuno può capire e, soprattutto, provare. Il ragionamento pacato implica qualche fatica in più. Ma qualche volta varrebbe forse la pena di farla, questa fatica.

È demagogia, per esempio, confondere volutamente la legittima difesa del diritto d’autore con la censura. Che cosa censura un editore nel momento in cui cita la legge contro la pirateria? Non mi pare che il furto sia contemplato tra i diritti costituzionali. Certo, affermi, «la fotocopiatrice e la digitalizzazione delle informazioni rendono ridicolmente facile la copia, la riproduzione, il riuso». Quindi, se rubare è facile il furto non è più un reato?

E ancora, è demagogia confondere due concetti completamente diversi: da un lato la disintermediazione nel rapporto tra autore e lettore – che la rete facilita –, dall’altro la salvaguardia del diritto d’autore e della funzione ineliminabile che l’editore di «parole stampate su carta» (bontà tua, non ancora del tutto prive di valore…) svolge per permettere, fra l’altro, che il lavoro culturale sia giustamente ed equamente (nei limiti del possibile) retribuito. Chi impedisce, infatti, a un autore di mettersi in contatto direttamente con i suoi lettori, pubblicando sulla rete? E perché mai chi invece decide di essere creativo non per hobby, ma per professione, dovrebbe essere privato dei sudati proventi? Credi forse che il traduttore di Remediation debba lavorare gratis? O che il grafico che ha ideato la copertina possa accontentarsi dei nostri elogi?

Auspichiamo pure una cultura svincolata dall’industria culturale. Benissimo, nulla in contrario. Si può senza vergogna praticare un onesto hobby – comporre musica e suonarla da soli o con gli amici, scrivere poesie o saggi filosofici, dipingere con il pennello o con il mouse. L’Italia pullula di dilettanti di genio (o di dilettanti tout court). Ma quando invece l’attività culturale si pone in un contesto professionale, se non è il pubblico a pagare chi pagherà?

Il diritto d’autore è una conquista relativamente recente, e non un residuo feudale come si vorrebbe far credere: si è affermato non a caso nella Francia rivoluzionaria del 1793, liberando la creazione e l’invenzione artistica dall’asservimento ai potenti. Ricordiamoci che Mozart morì a 35 anni, probabilmente per fame, per essersi rifiutato di fare da zimbello ad arciduchi e imperatori.

Oggi i padroni sarebbero un po’ diversi, ma non meno esigenti. Permettimi la citazione da un libro edito da me nel 2000, L’autore nella rete: «Solo un autore pagato dallo Stato o registrato in qualche ignoto libro paga si concede il lusso di ignorare il diritto d’autore o la snobberia di avversarlo con dispetto» (Roberto Barzanti, p. 79). Insomma, siamo a quel curioso crocevia in cui si incontrano «i furbi liberisti e gli anarchici illusi». Si invoca la distruzione di regole ritenute inutili o vessatorie, senza rendersi conto che «l’assenza di buone regole assegna sicuramente il primato ai più forti, impedisce una sana concorrenza, favorisce abnormi e dispotiche concentrazioni» (p. 78).

Vogliamo che il frutto della creatività e dell’ingegno sia preda di lobby economico-finanziarie, che – nuovi erogatori di circenses – ne facciano gratuita distribuzione al popolo, naturalmente dopo selezione attenta e accurato maquillage, perché nulla sfugga alla mercificazione, alla banalizzazione, al degrado?

Allora, sono io il primo a voler «ripensare» il libro. A sforzarmi di capire quali possano essere i nuovi orizzonti, le nuove prospettive che la rete offre in fatto di promozione culturale, di informazione, di comunicazione. E anche quali siano i contenuti più adatti ad essere veicolati dalla rete, e quali abbiano ancora e sempre necessità della carta stampata (almeno, per ora).
Ma non confondiamo il diritto all’accesso con la gratuità. Ampliare l’accesso vuol dire dare più strumenti alla democrazia. E non ai potentati che spadroneggiano nelle vecchie e nelle nuove tecnologie.

Senza il diritto d’autore, insomma, o è hobby, o è lobby.

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