BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/05/2008

 

VIAGGIO ALLUCINATORIO DEL MONDO DEL LAVORO (1)

di Barbara Ielasi (2)

Ho 34 anni, e ogni volta che mi si chiede di “inviare il curriculum”, mi prende un attacco di panico: difficile trovare un nesso tra le varie esperienze. Ho iniziato con il Telemarketing (in pratica, venivo pagata poco e male, per farmi mandare a quel paese da una trentina di commercianti al giorno). Poi sono incappata in uno di quei famigerati call center, un ammasso di computer e materia umana, che si nutriva di disfunzioni aziendali. Intanto mi dedicavo alla scalata del mondo editoriale, che diventò presto un tentativo di arrampicata sui vetri perfettamente lisci e splendenti delle agenzie di pubblicità e dei service editoriali, dove il livello di competizione fa più vittime dell’afa di luglio a Milano. E qui mi fermo, perché a parlare di lavoro la tastiera va da sola e se non si sta attenti si scrive una Treccani in un minuto.
Sì, perché il lavoro, in fondo, non è mica così poco importante come si dice. Ho sempre invidiato quelli che sostengono di riuscire a “staccare la spina”: io, proprio, non riesco. Perché il lavoro non è solo quello che fai per vivere (in teoria dovrebbe essere anche quello che fai perché ci credi, ma questa spesso è un’utopia); il lavoro, in fondo, è il motivo per cui ti alzi la mattina. Che poi tu abbia una vita sentimentale degna del migliore Liala, o tremila hobby, la mattina c’è un solo motivo per cui punti la sveglia.
Il lavoro è anche un abito, qualcosa che ti definisce agli occhi del mondo. E io ancora ho l’ingenuità di sperare che il lavoro che faccio corrisponda all’idea che ho di me stessa (perché alla fine, a dispetto di tutto, un’idea te la fai).
Negli anni duri del precariato, di cose ne ho capite. Innanzitutto, che la Flessibilità ora mi appartiene di diritto, e non perché salto spensierata da un lavoro a un altro, ma perché in questi anni ho dimostrato un’adattabilità pari a quella del Didò. C’è stato un momento, quel famoso momento in cui il fondo è raggiunto e bisogna grattare, in cui ho fatto l’unica cosa che sentivo di poter fare da sola, senza che qualcuno mi concedesse di farlo: ho scritto. Un romanzo lungo quanto il mio disorientamento. La mia protagonista, poveretta, si è presa il peggio, ma almeno io me ne sono liberata. Alla fine, stavo decisamente meglio, ma soprattutto ero arrivata alla parola che davvero è magica e apre tante porte, e non è Flessibilità, ma Immaginazione. L’illuminazione finale della protagonista ha coinciso con la mia. Ho capito che lamentarsi e arrangiarsi non ha senso, per arrivare da qualche parte, bisogna prima immaginarsi là. Primo perché bisogna sapere dove si vuole arrivare, secondo perché occorre credere che arrivarci sia possibile. L’immaginazione va nutrita e coccolata, perché spesso il potere sottile di un lavoro sfibrante o frustrante ti toglie la capacità di sognare, di pensare che fare quello che ti piace o quello per cui ti senti portato è possibile.
Questo è stato il primo passo. Quando questo pensiero è sedimentato, ho deciso che qualcosa ancora mancava: un progetto personale che desse forma concreta alla mia immaginazione, un’arma contro gli ostacoli che avrei incontrato, un amuleto contro lo scoraggiamento dei momenti bui.
Adesso, per la prima volta in vita mia, ho un contratto con tutti i crismi, in una realtà che assomiglia più di altre all’idea che ho della vita. Mi sono iscritta a una scuola di specializzazione per precisare la mia professionalità, collaboro con un editore onesto, e occupo il tempo libero facendo a titolo gratuito ciò che più mi diverte, senza abbandonare il sogno della scrittura. Un po’ come per l’amore, ci vogliono fortuna e pazienza.
Il mio curriculum, insostituibile compagno di viaggio, un po’ meno schizofrenico e un po’ meno minaccioso, è sempre lì, a registrare fedele tutti i miei passi. Sì, perché la ricerca non è finita; ogni tanto mi sento ancora un po’ sugli autoscontri e ogni tanto vorrei scomparire, però almeno adesso mi sembra di avere una strada davanti. In salita, piena di buche, a volte piana e a volte senza guardrail, ma almeno è una strada, la mia.


1 - Brani di questa storia sono presenti nel libro di Giovanna Galletti, Gianna Mazzini, Luisa Pogliana, Abbracciare l'orso. Storie di affetti e sentimenti nel lavoro, in libreria a fine aprile 2008.

2 - Impiegata nel settore sociale.

Pagina precedente

Indice dei contributi