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Pubblicato in data: 01/04/2002

RICCHEZZA O RISPARMIO

di Paolo Roberto Imperiali

Ho la sensazione che attualmente ci sia la tendenza ad identificare il concetto di ricchezza con il concetto di risparmio (accumulo) per cui penso utile cercare di analizzarne il rispettivo significato

Per cercare di definirne la differenza si può forse partire dalla premessa che un soggetto per la propria sopravvivenza e per la soddisfazione dei propri bisogni deve poter fruire dei beni.

Cioè possiamo dire:

1) che la fruizione di un bene e’ il momento in cui si realizza la soddisfazione del soggetto,

2) che per poter fruire di un bene il soggetto deve avere la disponibilità del bene, oppure deve poterselo procurare.

Direi che:

- il punto 1) e' il momento della soddisfazione e quindi rientra nella sfera della valutazione soggettiva e qualitativa (psicologia) (il bene serve per sé stesso).

- il punto 2) riguarda la sfera della economia e lo studio dei mezzi per passare al punto 1).

I "mezzi" studiati dalla scienza economica sono lo scambio di beni o danaro (il bene serve per qualcos’altro).

Se così e' possiamo dire che l'obiettivo dello scambio e' quello di poter raggiungere il punto 1).

L'obiettivo n. 1 può essere raggiunto anche con la forza senza passare dallo scambio.

Possiamo quindi dire che scambio e forza hanno lo stesso obiettivo.

Nella scala che porta alla soddisfazione di un bisogno abbiamo inserito l'elemento temporale che distingue e separa appunto temporalmente il momento della soddisfazione, dalla fase in cui il soggetto ha i mezzi con i quali, quando vorrà, potrà usufruire di un bene.

Direi che questo ultimo concetto può essere definito come il momento del risparmio.

Possiamo cioè precisare che il risparmio e' l'accumulazione delle possibilità di fruire dei beni.

Il risparmio si ha aumentando i propri diritti sui beni attraverso il danaro e/o la disponibilità della forza.

Dal momento che l'obiettivo ultimo di un soggetto e' la "fruizione e il godimento" dei beni e che la "possibilità di fruire" (risparmio) e' una fase preliminare e preparatoria a tale fruizione, viene da chiedersi qual e' la misura di tale fase affinché sia proporzionata all'obiettivo (fruizione) che il soggetto deve raggiungere.

E' chiaro cioè, che se tutte le energie (e il relativo giudizio di valore) sono investite nella fase del risparmio, non ne restano per la fase della fruizione (il soggetto muore).

Se invece ci si accontenta solo della fruizione, non ci si prepara alle eventualità future che fatalmente verranno (cioè il soggetto corre il rischio di morire in futuro).

La favola della cicala e la formica e’ istruttiva.

L'equilibrio tra queste due fasi e' una valutazione soggettiva che può variare da persona a persona. E’ il "valore" che il soggetto da’ ad ognuno dei due momenti.

La scelta del livello di investimento delle energie da parte del soggetto tra questi due momenti e' in funzione:

a) della importanza per lui della fruizione e piaceri connessi,

b) della paura che tale fruizione non sia più possibile in futuro.

L’economia punta la sua attenzione ed ha come oggetto di studi soltanto l'accumulo (risparmio) e il danaro (come sua quantificazione e mezzo giuridico di appropriazione) eludendo quindi il problema di dare un giudizio di valore alla fase della "fruizione", che sostiene non rientri nelle sue competenze; e infatti questo e’ l’oggetto di altre categorie del pensiero che esprimono il piacere e altri valori ma non un calcolo.

L'inghippo sta quindi nella definizione del concetto di ricchezza che non è solo il risparmio come premessa della fruizione futura, ma anche il valore della fruizione e del godimento presente.

E qual e' il giusto equilibrio tra queste due esigenze ?

Se ci affidiamo alle sole valutazioni della scienza economica avremo come conseguenze la perdita del valore presente e oggettivo della "fruizione", che riguarda la sfera della valutazione soggettiva e psicologica del bene e da cui gli economisti si chiamano fuori.

Sostenendo che non e' ricchezza quello che non e' monetizzabile, sostituiscono la nozione di risparmio alla nozione di fruizione, e chiamano ricchezza il risparmio sottraendo quindi al concetto di ricchezza una parte del suo valore.

Ma così facendo avremo una progressiva monetizzazione della realtà ed una perdita della qualità.

Si può obiettare che il valore economico rispecchia il valore qualitativo di un bene e certamente e’ così; ma tanto più noi privilegiamo la sua utilità futura e quindi il suo valore di scambio, tanto meno ci soffermiamo sul suo valore presente qualitativo. Per cui preferiamo avere denaro che le cose, e cose utili invece di cose "belle", e queste perdono sempre di più la loro importanza per noi. Sono soggette ad un processo di eliminazione.

La visione economica sottrae al mondo, alla realtà, agli oggetti e alle persone tutti i valori che non sono oggetto o mezzi di risparmio, limitandosi a vedere e computare solo il lato monetizzabile e utile.

Cioè tende a dare un valore economico e utilitaristico a tutti i rapporti tra i soggetti e gli oggetti e tra i soggetti tra di loro portando ad un inaridimento emotivo.

Così facendo l’economia esclude un po' alla volta ogni rapporto di tipo fruitivo sostituendolo con un rapporto di tipo accumulativo (spirito ed etica del capitalismo).

Tutto quello a cui l’economia non riesce a dare un valore economico verra' eliminato e sostituito con quello che ha un valore economico (v. Debal Deb: The Existing Value).

Tutti i concetti, che fino ad oggi erano chiamati etica, giustizia, solidarietà, estetica, affettività, benessere, salute dei cittadini, ecc..., non avranno più ragione d'essere perché questi valori non nascono da un calcolo e non hanno un valore economico.

Attualmente infatti con le regole economiche che il mondo si e’ posto tramite la WTO questi valori sono considerati un ostacolo alla creazione della ricchezza, confondendo appunto ricchezza con risparmio, e quindi non devono essere tenuti in considerazione negli accordi commerciali.

Mentre invece, se si volesse realmente aumentare la ricchezza, andrebbe fatto esattamente il contrario, cercando di impedire o modificare tutti quegli accordi commerciali che in qualche modo portano al rischio di ridurre tali valori.

Con le regole attuali gli oggetti prodotti e il vivente che sarà lasciato sopravvivere avranno possibilità di esistere solo se utili.

La utilità, espressa monetariamente, sarà il nuovo credo. La scienza economica, mossa sempre piu' velocemente, grazie alla tecnologia, dall'interesse per il futuro e dall’interesse verso il risparmio, porterà, con la perdita del valore della fruizione, alla vera povertà di massa, almeno in termini qualitativi.

E' come se ad un certo punto la gente (parte della gente) con il portafoglio pieno di denaro andasse a fare la spesa al mercato e si accorgesse che sulle bancarelle si vendono solo oggetti senza valore.

Questo e' già sotto gli occhi di tutti, il mondo ha meno specie di beni fruibili: i prodotti si rassomigliano tutti, la loro diversità e' sempre più ridotta, la qualità e' ridotta.

L'omologazione dei prodotti e' il risultato e l'obiettivo dell'economia, perché soltanto i beni a cui viene dato un prezzo che li omologa possono essere quantificati e inseriti in un calcolo.

Per l’economia l’ideale sarebbe che ci fosse un prodotto solo.

Quelli che, nelle loro scelte, si affidano solo alla scienza economica sono persone che escludono il senso della fruizione e del godimento cioè la componente più importante della ricchezza, a cui deve giustamente mirare il risparmio, ma come mezzo non come fine.

Queste persone sono carenti del senso della fruizione così come chi e' in miseria e' carente di risparmio.

E così come chi e’ in miseria deve essere aiutato dagli economisti, chi ha perso il senso della fruizione deve essere aiutato dagli psicologi.

La scienza economica oggi parte dall’ipotesi che non deve dare giudizi di valore.

Che cioè essa studia i meccanismi che massimizzano la ricchezza (l’accumulo) senza entrare nel merito del valore dell’oggetto dell’accumulo.

Questo però non è vero perché l’economia parte da un giudizio di valore ben preciso: che l’accumulo e’ un valore.

Se la scienza economica considerasse che l’accumulo non fosse un valore, la scienza economica non esisterebbe.

L’economia deve dare un limite all’oggetto di cui tratta, deve definire il valore del suo valore perché altrimenti o studia cose senza valore e quindi e’ una scienza inutile oppure espande il valore delle cose che studia oltre il suo limite e quindi e’ erronea.

Nel momento in cui la scienza economica da’ delle indicazioni su come massimizzare il risparmio, non può contemporaneamente indicare il risparmio come finalità da perseguire.

Oggi infatti la scienza economica pretende di far politica, pretende di indicare alla gente quello che la gente deve fare per ottimizzare il suo modo di vivere.

L’economia non può dare questa indicazione, non ne ha i mezzi tecnici.

E’ evidente che e’ la gente che da’ questo ruolo alla scienza economica perché non sa più distinguere tra ricchezza e accumulo, ma e’ anche vero che agli economisti non pare vero assumersi il ruolo di chi deve indicare la via della felicità all’umanità.

La scienza economica potrebbe invece cercare di porsi un altro obiettivo. Non piu’ quello di massimizzare il risparmio a scapito degli altri valori ma quello di calcolare i limiti entro i quali il risparmio e’ piu’ vantaggioso di altri valori.

Quindi una valutazione del risparmio confrontato con gli altri valori in una economia complessiva dell’individuo e della società che punti alla sua felicità.

Evidentemente più si investono le proprie energie sul momento fruitivo, meno si investono nel momento del risparmio (o accumulo) che equivale anche a produzione. L’esistenza di un bene e quindi la sua produzione e’ infatti la premessa per il suo godimento, ma la fruizione di un bene e’ possibile solo nel momento in cui il soggetto si concentra su quel bene e nel momento in cui sente il valore di quel bene e non di un altro da acquisire in futuro. Quindi il concetto di fruizione include il concetto di limite, di autolimitazione, per consentire appunto la soddisfazione, riducendo la necessità di cercare o produrre sempre nuove cose.

Spostando la nostra attenzione sulla fase della fruizione ridurremmo anche i problemi che derivano dalla competitività che si scatena all’interno della specie umana per l’accaparramento dei beni.

Il risparmio (l’accumulo) invece può crescere all’infinito. Nel concetto di risparmio e’ implicito il concetto di espansione.

Il concetto di sviluppo inteso come incremento delle possibilità di avere (o di fare) e’ antagonista rispetto alla possibilità di fruire.

Lo sviluppo inteso in questo senso (e che sarebbe meglio chiamare appunto espansione) oltre un certo limite e’ una perdita di ricchezza.

Ora c’e’ da chiedersi qual e’ il limite dell’espansione per il soggetto?

Certamente il limite e’ il risultato della ottimizzazione della combinazione dei due momenti: della fruizione e del risparmio.

Cioè quando questi due valori uniti danno il massimo di soddisfazione.

Abbiamo infatti visto che la fruizione senza il risparmio ha in sé il rischio di non consentire la vita del soggetto in futuro e il risparmio senza la fruizione non consente al soggetto di vivere nel momento presente.

A questo punto possiamo definire "Ricchezza" la componente equilibrata di fruizione e risparmio.

Infatti poiché entrambi i termini hanno un valore soggettivo, cioè fanno riferimento alla possibilità che il soggetto ne senta soddisfazione (godimento del presente e tranquillità per il futuro) e poiché abbiamo visto che ogni investimento di energia del soggetto su uno dei due momenti va a scapito dell’apprezzamento del valore dell’altro, il massimo di ricchezza viene da un loro equilibrio.

L’aumento dell’uno o dell’altro oltre ad un certo limite porta povertà.

Il problema della valutazione di una situazione soggettiva e’ evidentemente complesso, ma forse comincia ad affacciarsi all’opinione pubblica con la presentazione di indici nuovi quali gli indicatori del benessere.

Uno degli indicatori di benessere e’ evidentemente la possibilità che la gente ha di dire quello che sente.

E’ chiaro che tali indici avranno sempre un valore approssimativo ma si avvicineranno al nodo del problema certamente più di quello che può fare un indice esclusivamente monetario.

Il problema certamente rimarrà, perché ogni volta che usiamo un indice, usiamo una quantificazione e quindi ricadremo, anche se in forma tendenzialmente minore, nel problema della economicità e del risparmio.

In verità quello che ognuno dovrebbe fare e’ ridurre dentro di sé la dimensione di "Homo oeconomicus" per privilegiare altri valori, non economici, soltanto così troveremo il modo per risolvere i problemi economici.

Quanto detto fino ad ora mira soprattutto ad evidenziare la perdita qualitativa dei beni e la perdita dei valori umani il che equivale alla perdita di una delle due componenti della ricchezza.

Tuttavia il tipo di scienza economica che oggi impera sostiene che i meccanismi che riesce a mettere a punto forniscono certamente una massa quantitativa di beni che consentono un benessere che toccherà tutti.

Premesso che anche se così fosse, per quanto detto prima, sarebbe un benessere qualitativamente al livello più basso possibile, mi sembra comunque poco probabile tale ridistribuzione.

Infatti l’economia e la forza hanno lo stesso obiettivo, che è quello di accrescere il risparmio del più forte. L’economia attraverso il diritto e la forza direttamente.

E poiché i beni nel mondo sono una quantità finita, (anche se tale quantità fosse crescente a detta degli economisti liberisti), quando questi beni si spostano nella direzione dei più forti, perché detentori dei mezzi di produzione (capitale e tecnologia) meno ne restano per i più deboli.

Ed un controsenso sarebbe lasciarne una parte ai più deboli, perché andrebbe contro il principio economico della massimizzazione del risparmio, che il più forte saprà realizzare meglio del più debole.

Quindi poco realistico è pensare il contrario. La cosiddetta ricaduta della ricchezza (dal più ricco al più povero) può forse essere il frutto della carità, ma quella cristiana fino ad oggi benché molto reclamizzata, non ha portato a grandi risultati. [1]

Il principio economico, il principio dell’Homo oeconomicus se esteso senza tenere conto dei valori non monetari e/o ideali, porta quindi a due risultati principali:

la perdita qualitativa dei beni per tutti e la perdita anche quantitativa per i più deboli.

Però se si tiene conto che, a parte il danaro, per definizione non esiste un bene senza qualità, si può facilmente intuire che la perdita della qualità e’ equivalente alla perdita di una certa quantità di beni o di una parte di ciascun bene.

Cioè quando avremo perso tutte le qualità non avremo più nulla di cui fruire e non potremo più vivere.

Non ci rimarrà che il denaro.



[1] E’ proprio il principio della carità che avallando il principio della ricaduta della ricchezza avalla eticamente il principio capitalista.

L’etica del cristianesimo è una premessa per l’etica del capitalismo.

E’ l’etica del riconoscimento del valore della carità che per esistere deve avere un ricco e un povero.

Se avessimo tutti le stesse cose la carità non avrebbe modo di esprimersi e Dio non avrebbe più modo di premiare i buoni e punire i cattivi.

L’etica così intesa e’ un etica utilitaristica, che avrà una ricompensa o in termini di riconoscimento reale (premio nell’altra vita) o di giudizio morale (la persona buona).

In verità se si potesse sostituire un’etica del riconoscimento con un’etica della qualità si sentirebbe che l’atto oggi definito "buono" potrebbe essere definito "bello". Cioè l’atto "morale" sarebbe per il soggetto un momento "fruitivo", avrebbe un valore in sé e non un valore "economico".

Il soggetto nella nostra civiltà/cultura non e’ abituato a vivere senza il senso del riconoscimento che viene dagli altri, dal di fuori.

Non ha il coraggio o la forza, per accettare il valore del proprio giudizio ma tende a delegare il giudizio agli altri.

In verità questo probabilmente e’ sempre esistito e ancora di più da quando esistono le religioni con una struttura gerarchica, che sono appunto l’espressione di questa delega.

Oggi la delega morale nei termini sopra esposti e’ stata trasferita dalla religione alla economia cioè la funzione religiosa è rappresentata dalla società che coltiva il valore della ricchezza (risparmio) e premia con un giudizio morale chi la detiene.

Cioè premiando il risparmio premia l’impoverimento. Così come è sempre stato fatto dalle religioni.

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