BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/03/2002

Cattivi & Maestri n° 10

Scontri verbali

di Nicola Gaiarin & Gianfrancesco Prandato

Cohen and Tate (Le strade della paura), 1988. Di Eric Red, con R. Scheider, A. Baldwin, H. Cross.

Anche i killer vanno in pensione, e Cohen è un vecchio professionista del crimine che cerca di mettere da parte gli ultimi soldi prima di chiudere la carriera. Ha l'apparecchio acustico e i riflessi non sono più quelli di una volta, ma sa gestire come nessun'altro le situazioni difficili. Accanto a lui c'è Tate, grosso e violento, un sicario alle prime armi che vuole risolvere tutto a colpi di pallettoni. A Cohen e Tate, che naturalmente non si sopportano, viene affidata una missione piuttosto delicata: devono recuperare un testimone compromettente e portarlo davanti a un boss di Houston, che ha un paio di domande da fargli. Il testimone si chiama Travis Knight, è sotto protezione e ha solo nove anni.

Le strade della paura è un film di montaggio e dialoghi. La storia, in fondo, è piuttosto esile e già vista (pensiamo a Witness, di Peter Weir). L'abilità del regista, che aveva in precedenza sceneggiato The Hitcher, sta tutta nella maestria con la quale riesce ad alimentare la tensione. Anche se alcune scene chiave si svolgono all'aperto, nelle ampie distese delle praterie o nel degrado urbano della periferia di Houston, è nello spazio chiuso della macchina che avvengono gli spostamenti decisivi. Per 335 miglia, dall'Oklahoma al Texas, il paesaggio viene azzerato, ridotto a poche luci intraviste dal finestrino. Rimangono solo gli scontri verbali e fisici tra i due colleghi.

Cohen è preciso e professionale. La prima fase dell'incarico è stata portata a termine senza intoppi: l'eliminazione degli agenti che proteggono Travis e dei suoi genitori. Al telefono bastano poche parole:

"Tutto a posto…si, tutto a posto… quasi". E Tate, a cui piace il lavoro sporco, uccide la madre del piccolo testimone.

Appena in macchina, però, iniziano i guai. La loro indubbia professionalità entra subito in crisi. Antipatie e rancori personali danno inizio alla lenta disintegrazione della coppia di malavitosi.

"È molto lontano?".
"Lo vedrai".
"Grazie per avermi risposto con precisione".
"Così starai zitto".
"Devo farti una domanda, signor Cohen".
"Mi hai rotto il cazzo con le tue continue domande, Tate".
"Lo vedi che ho ragione. Perché mi tratti di merda da quando siamo partiti da Houston?".
"Perché non mi piaci".

Le cose non migliorano con le battute successive:

"Non sei contento di me, signor Cohen?"
"Sei uno stupido, un cervello marcio, hai sprecato sei colpi per la donna e per l'F.B.I. anziché due solo perché ti piace la vista del sangue. Sei un testa di cazzo e non mi va per niente che lavori con me. L'hai capito, una volta per tutte?".
"Allora perché mi hai chiamato per questo lavoro?".
"Non ti ho chiamato io, sono stati loro, non avevo scelta".

"Loro" i mandanti, trattano i killer come pedine da spostare senza alcun riguardo sulla scacchiera. La squadra di sicari è stata organizzata senza tener conto delle diverse personalità di Cohen e Tate. Così facendo, però, si vengono a creare situazioni di tensione. I due colleghi mettono in scena un conflitto tra generazioni e sistemi di valore inconciliabili. Nel contrasto tra metodi di "lavoro" diversi si realizza un rovesciamento radicale di quella solidarietà tra partner che troviamo, ad esempio, nel recente Spy games di Tony Scott. Cohen rimane un cacciatore solitario, inadatto al lavoro di squadra:

"Sono trent'anni che lavoro da solo. In trent'anni ho sempre fatto quello che volevo. Poi, l'altro giorno, mi danno quest'incarico e mi dicono che lo devo eseguire con un partner… alla mia età non si fanno commenti".

Il titolo italiano fa torto al senso di questo film. Il protagonista non è il ragazzino rapito, e quindi non ha senso connotare negativamente il viaggio. Non si tratta di "strade della paura", ma, come recita il titolo originale, di "Cohen & Tate". È attorno ai loro conflitti che viene costruito il racconto. La macchina dei due killer corre nella notte della provincia americana. Le strade sono solo corridoi oscuri e alla fine della highway un epilogo nerissimo attende i protagonisti della vicenda. Travis, il testimone, conta poco o niente. Non si riesce a simpatizzare con il ragazzino, anche se i "cattivi" gli hanno ucciso a sangue freddo la madre. La sua funzione è solo quella di ostacolo o contrattempo: è lui a far salire la tensione mettendo definitivamente in crisi il rapporto difficile tra i suoi rapitori.

"La polizia vi prenderà!" grida Travis.
"Non ci prenderà" replica tranquillamente Cohen. Ma il dialogo, con l'intervento di Tate, si trasforma in uno scontro verbale:
"Signor Cohen, lo faccio tacere, una volta per sempre".
"Non è necessario".
"Basta che gliene ammolli uno".
"Siamo pagati per consegnare il ragazzo tutto intero. Il che significa senza segni addosso"
"Non gli lascio mica i segni, io".
"Guida, e basta".

Di solito i film che raccontano le disavventure di un ragazzino mettono in scena un percorso conoscitivo. Le strade della paura, al contrario, non è un viaggio iniziatico né un "romanzo di formazione": si tratta piuttosto di un apprendimento rovesciato. Da questa esperienza traumatica Travis non impara nulla -si limita ad applicare la propria furbizia innata.
Il viaggio notturno riguarda i cattivi, e sono proprio loro le vittime del gioco al massacro. Il film è una parabola nera che mostra la disgregazione di un rapporto professionale. Lo spettatore assiste alla progressiva crescita della pressione che porta al burnout: i due sono bruciati, consumati da una vicinanza che diviene via via più intollerabile.

Un piccolo errore iniziale (la mancata eliminazione del padre di Travis) innesca una serie di conseguenze incontrollabili:
"Dobbiamo farlo fuori!". Tate è si lascia prendere dal panico
"Chi?". Replica freddamente Cohen.
"Il ragazzo".
"Lui?".
"Certo, ci penso io a farlo fuori…" dice Tate, imbracciando il fucile.

Ma Cohen è troppo professionale per lasciare l'incarico a metà:
"Ficcatelo bene in testa, stronzo. Ci hanno pagato per fare questo lavoro: portare questo ragazzo a Houston. Cioè portarcelo vivo, e noi finiremo il nostro lavoro. È chiaro adesso?"

Il rapporto si è deteriorato in modo definitivo e la situazione non è più gestibile. Alla fine il team esplode, con esiti facilmente prevedibili.

Limiti di età, differenze generazionali e caratteriali. La difficoltà di muoversi ed agire sotto pressione; l'impossibilità di trovare soluzioni ottimali e quindi la necessità di scegliere tra diversi approcci allo stesso problema. Il film esplora situazioni di conflitto potenziale e traspone gli scontri "soft", mediati e indiretti (ma non meno devastanti), che caratterizzano le attività quotidiane all'interno di un contesto esasperato. Il noir, come l'horror, rimane in fondo uno dei pochi modi con cui il cinema americano affronta esplicitamente la complessità del mondo reale.

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