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Pubblicato in data: 03/03/2003

Cattivi & Maestri n° 12

La morale dell'occhio

di Nicola Gaiarin & Gianfrancesco Prandato

The third man (Il terzo uomo, 1949) di Carol Reed. Con O. Welles, J. Cotten.

Fargo (1995) di Joel & Ethan Cohen. Con F. McDormand, S. Buscemi, W.H. Macy.


Spesso cerchiamo una morale in quello che succede. Quasi tutti i film hanno una morale, la morale del bene che vince sul male. Al cinema il mondo progredisce, va verso il bene scappando dal male. Ci sono comunque vie diverse per raggiungere la chiarezza di un ordine opposto alla deriva caotica del potere, dei soldi, della violenza.

La morale non ovvia e’ al centro di due meravigliosi film. Il terzo uomo di Reed e Fargo dei fratelli Cohen. Il terzo uomo, tratto da un romanzo di Graham Greene, il maestro dello spionaggio come visione del mondo, è la storia di un uomo, Harry Lime, creduto morto da un amico. In realtà, Lime è un trafficante spregiudicato coinvolto in un vasto giro di contrabbando internazionale. La finta morte di Lime, con tanto di funerale, mette in moto l'intrigo, fino alla bellissima sequenza, memorabile, sulla grande ruota panoramica del Prater, a Vienna. Tutto il cinema di spie parte da qui, per arrivare a film più o meno buoni, dai Tre giorni del condor a Spy games, da La conversazione a Nemico Pubblico. Tutti i giochi di spie raccontano in fondo la stessa storia: la spia è una specie di super uomo che guarda dall'alto scorrere la vita delle persone “normali” e si sente in grado di giudicarle secondo il proprio metro morale. La spia spaventa perché è il custode di un'altra verità, machiavellica e spietata, che sta dietro il velo delle apparenze. Chi spia e vive immerso nel gioco mortale degli agenti doppi e dei tradimenti incrociati è in fondo colui che sa come vanno le cose e come girano gli ingranaggi dietro le verità ufficiali offerte alla gente comune. La morale è dipendente dal fine, questo ci dice Harry, il cattivo di Reed, Orson Welles, uno dei piu’ belli della storia del cinema.

Dialogo che si svolge a Vienna sulla ruota del Prater in uno spazio rischioso e irreale.

“Lo sai cosa succedera’ alla tua ragazza, quando la arresteranno?”

“Cosa posso fare?”

“ Hai mai visto una delle tue vittime?”

Indicando i bimbi che giocano distanti sul prato…

“Veramente ti interessa se una di quelle sfocate figure si ferma per sempre? 100 pounds per uno di loro, senza tasse!”

Più tardi. Il dialogo prosegue sullo stesso tono.

“Nessuno pensa alla gente come te, i governanti pensano a loro come a dei proletari, così faccio anch’io. “

”Una volta credevi in dio.”

“Ci credo ancora, non perdono troppo qui.”

Il Terzo uomo è un film con Orson Welles, che, per molti versi, potrebbe essere stato girato da Welles stesso. Eccessivo, con una Vienna labirintica in bianco e nero riletta in chiave espressionista, è un film sotto il segno luciferino del suo interprete. E non a caso proprio Welles ha raccontato, con The Touch of Evil (L'Infernale Quinlan) la parabola del perfido sceriffo Quinlan, un altro gigante ossessionato dall'idea di una morale flesibile e manipolabile a piacimento per raggiungere i propri fini. Pare che sia stato lo stesso Welles a scrivere la folgorante battuta che ne Il terzo uomo viene pronunciata da Harry Lime:

“In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù.”


Una visone estetica dei rapporti umani, nella quale chi conosce le leve che permettono di manipolare e controllare le persone vede se stesso come un artista. Non a caso Welles è sempre stato l'uomo dalle mille maschere, l'istrione che ha cercato di spingere il cinema ai confini dello spazio produttivo, ma anche il trickster, il genio dispettoso che con la radiocronica della Guerra dei mondi ha messo l'America di fronte alle sue paranoie ben prima della guerra fredda e delle Twin Towers.


Al polo opposto della morale superomistica e machiavellica di Il terzo uomo, troviamo Fargo, dei fratelli Cohen. Fargo è un film a sè, un bellissimo film femminile, in cui gli uomini si uccidono, si battono per il danaro, per la loro affermazione, il loro successo e le donne vegliano, aspettano e vincono. Se i protagonisti maschili si perdono cercando di escogitare nuovi modi per ingannarsi e tradirsi a vicenda, le donne sembrano stare a guardare, creando una traiettoria alternativa rispetto a quella degli uomini.

La morale dei fratelli Cohen si nutre di una continua decostruzione del cinema classico, ai cui codici sostituiscono un modo assolutamente personale di vedere i rapporti tra le persone. Il loro è proprio per questo uno strano cinema, etico ed umoristico allo stesso tempo. Fanno film che sanno essere molto crudi, pieni di sparatorie e di sangue (Il crocevia della morte, lo stesso Fargo), dominati da personaggi eccentrici che sembrano guardare lo scorrere delle cose dal bordo della strada (i rapitori per amore di Arizona Junior). Il loro motto potrebbe essere “non c'è fretta”, e anche quando raccontano storie nere lo fanno con un ritmo rallentato, ben diverso da quello iperveloce e cinico di Tarantino. Ai rapporti di forza, basati sul danaro e sui giochi per impadronirsene, preferisono la semplicità dei rapporti diretti tra le persone, come il Jeff Bridges ex hippie sballato e appassionato di bowling che riesce incredibilmente ad uscire sano e salvo da una macchinazione ordita da personaggi che stanno molto più in alto di lui in The Big Lebowski.

In Fargo l’agente donna affaticata e al settimo mese di gravidanza arresta il pericoloso pluriomicida che ha perpetrato un rapimento con uccisione di ostaggio, testimoni e complice. Lo arresta con tranquillità, mentre il mostro sta distruggendo i resti del suo complice che ha ucciso e fatto a pezzi.

Frances Mac Dormand è Marge Gunderson, la poliziotta incinta che insegue a modo suo, lentamente e senza alcuna fretta, la pista degli sgangherati e sanguinari rapitori. Lascia a casa il marito, alle prese con una composizione artistica sulle oche canadesi, e sale in macchina con un irresistibile berretto provvisto di paraorecchie. Si mette sulle tracce dei criminali, che si lasciano dietro una scia di sangue. Partendo dal Minnesota arriva a Fargo, North Dakota, mondo innevato e silenzioso. Sul bianco si staglia solo il gigantesco pupazzo del taglialegna Paul Bunyan. Se non puoi inseguire questi uomini che si affannano, sembra dire allo spettatore, mantieni il tuo ritmo, aspetta che esauriscano la carica e che inizino a girare in tondo, a vuoto. E’ una delle piu’ belle interpretazioni femminili passate sullo schermo, in particolare la sua morale e’ formidabile.

Al detenuto pluriomicida che trasporta da sola, dopo l’arresto, in auto:

“Hai fatto tutto questo per i soldi, per un po’ di soldi?”

“C’e’ di piu’ nella vita che i soldi, non lo sai caro?”

“E siamo qui …in questo bellissimo giorno… io proprio non capisco….”


La poliziotta che non capisce si aggrappa a un buon senso capace di opporsi agli eccessi e alla frenesia di un modello di razionalità tutto maschile. Alla fine la poliziotta se ne va, con la sua preda. Il malloppo rimane sepolto nella neve. Basterà avere pazienza e aspettare: prima o poi la neve si scioglie anche a Fargo, North Dakota.

Fargo e Il terzo uomo sono i due capi di una morale non convenzionale che diventano essenzialmente due strategie dello sguardo: quello dall'alto, deformato e violentemente barocco di Reed (ma anche di Welles, da The Lady form Shanghai a Touch of Evil) e quello dal basso, rasoterra e come privo di spessore di Fargo. Sono due modi di vedere le cose, due declinazioni paradossali della morale che cercano di tenersi fuori dai piccoli di giochi di potere: andando al di là di essi con una macchinazione suprema, o schivandoli facendo un passo a lato e abbassando il livello dello scontro. Il non capire opposto all'eccesso di conoscenza, la macchinazione di Harry Lime contro l'istinto e l'attenzione di Marge Gunderson. Forse non è un caso che, alla fine, sia quest'ultima a farcela.

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