Cattivi & Maestri n° 13
Carne da macello
di Nicola Gaiarin & Gianfrancesco Prandato
Black Hawk Down (2001) di Di Ridley Scott. Con J. Hartnett, E. McGregor, T. Sizemore, W. Fichtner.
Somalia, 1993. Un gruppo di soldati scelti dell'esercito americano deve intervenire con un blitz nel centro di Mogadiscio per tentare di catturare il signore della guerra Aidid. Tutto viene pianificato nel dettaglio, ma l'imprevisto è sempre in agguato e uno degli elicotteri Black Hawk utilizzati per l'intervento viene abbattuto da un razzo (da qui il titolo del film). Il tentativo di recuperare i superstiti innesca una serie di conseguenze catastrofiche. Le coordinate dell'azione saltano, mentre s' intrecciano le storie di soldati con alle spalle storie ed esperienze diverse.
Black Hawk Down è probabilmente il più bel film sulla guerra degli
ultimi anni, basato su un fatto vero, quasi un documentario cinematografico,
che mostra da vicino cosa sia combattere per le strade, in città, con
vittime civili, avendo paura di tutti quelli che incontri. La guerra è
vista dall'alto, ma non è asettica, perché alla fine gli elicotteri,
per essere efficaci, devono abbassarsi, correndo il rischio di essere abbattuti
da un nemico che non ha niente da perdere e combatte senza curarsi della popolazione
civile. E allora la prospettiva diventa quella rasoterra di Fabrizio del Dongo
alla battaglia di Waterloo, polvere e proiettili, schegge che schizzano da tutte
le parti, esplosioni a pochi passi, sangue e pezzi umani che volano tutt'intorno.
Black Hawk Down è un film di grande attualità, che parla di un
intervento umanitario, quello che gli americani avevano fatto in Somalia insieme
agli italiani e ad altri paesi occidentali, un intervento che evolve in azione
militare, un film su un grande lutto e una grande sconfitta.
B.H.D. è un film epico su una battaglia dei Rangers americani, una notizia
relativamente piccola, di quando in Somalia persero quasi 20 uomini per catturare
Aidid. Tentare di fermare il signore della morte di Mogadiscio, uno che sparava
sulla sua gente e impediva la distribuzione degli aiuti umanitari, diventò
una tragedia e influenzò la politica estera americana degli anni '90.
Poco importa che il film possa sembrare propagandistico, quella che ci mostra
è la guerra dal punto di vista di chi la combatte e deve decidere per
sé e per gli altri in una frazione di secondo. Il timing deve essere
perfetto, ma l'ambiente è troppo caotico perché non si verifichino
imprevisti: niente dura cinque minuti, dice uno dei protagonisti, riferendosi
al tempo previsto per uno spostamento.
B.H.D. è anche
un film sul modo di combattere, sull’organizzazione del
combattimento moderno. Mostra come si reagisce alle condizioni impreviste e
selettive che si fronteggiano. È un film che ci porta al di là
di Sun Tzu, oltre Machiavelli e Von Clausewitz. Francamente, mostra come questi
classici della strategia e del pensiero militare, che spesso vengono ripescati
come feticci dai nuovi guru del management, sono datati e come il mondo dell’organizzazione
militare sia evoluto e cambiato. Dalla teoria della guerra alla guerra
vera, diversa, moderna, in cui non puoi ammazzare tutti quelli che
non sono dalla tua parte, in cui devi essere selettivo di fronte a un nemico
che non lo è, un film che ci libera da tanti stereotipi, anche quelli
pacifisti. In fondo si tratta di un film che ci libera anche da tanti modelli
manageriali teorici, che hanno accomunato la strategia di guerra con la strategia
aziendale e hanno avvicinato il comando militare al comando aziendale. La guerra
vera è cambiata, così come la gente che la combatte, il nemico
è sfumato, tutti ti possono uccidere a Mogadiscio, ma un soldato non
può uccidere tutti.
All'inizio, una delle frasi chiave del film è: devi aspettare che siano
loro a sparare per primi. In un contesto dominato dal potere dell'opinione pubblica,
un'uccisone ingiustificata può vanificare il senso di una missione, oppure
una vittima di troppo tra i propri uomini può rendere inutile la cattura
dei leader nemici. Non è più la guerra dei grandi eserciti di
massa, nei quali a contare era la conquista di un territorio al di là
del numero delle vittime rimaste sul terreno, da una parte o dall'altra. È
sufficiente confrontare la miriade di combattimenti polverizzati di Black Hawk
Down, in cui quello che conta, in fondo, è non essere colpiti e contenere
le perdite, all'attacco quasi suicida che apre lo sbarco di Salvate il soldato
Ryan, in cui contava la conquista della spiaggia, anche a costo di migliaia
di vittime.
Soprattutto, la gerarchia è diversa, si vedono costanti briefing, capitani che ascoltano tenenti, decisioni di gruppo, condivise sotto una pioggia di proiettili, molte informazioni e una responsabilità condivisa a più livelli.
Tipico è questo
briefing tra tre comandanti sotto un pesante fuoco nemico:
1“... Ok, andiamo a recuperare (gli elicotteri) al punto del crash.”
2“...Tu fai il rescue team e noi prendiamo i prigionieri..”
3“...No, andiamo insieme a facciamo il perimetro”
1 “...Ok, ma dovremmo andare via da qui, ora!”
Oppure c'è uno scambio illuminante tra un ufficiale dei rangers e un sergente della Delta Force in cui la gerarchia tra i due si inverte temporaneamente:
“Ma che cazzo
stai facendo, là fuori.”
“Faccio il mio mestiere, dobbiamo arrivare a quel punto di impatto. Bisogna
levarci da quella strada e bisogna sbrigarsi, e lei deve tenersi al passo, signore!”
Se lo sguardo è necessariamente parziale, la gerachia può anche subire improvvIse inversioni: non esiSte una best way, solo una serie di interventi localizzati che vengono decisi senza pReavviso possibile. Occorre tenere il passo dei cambiamenti che si verificano sul terreno di combattimento. Anche perché la direzione dell'attacco può cambiare improvvisamente, e chi attacca in un attimo diventa un bersaglio esposto al fuoco incrociato del nemico:
“Abbiamo perso l'iniziativa!”, dice un ufficiale.
Ora sono gli altri ad attaccare, a poter sparare contro tutto quello che si muove, mentre gli americani devono pensare a riportare a casa i feriti e i morti. Una delle regole dello scontro urbano potrebbe essere che ogni proiettile ha una traiettoria che continua oltre il primo impatto. Spesso i colpi arrivano di rimbalzo da tutte le direzioni, un razzo può mancare il primo bersaglio ma raggiungere il soldato dietro un muro. Virtualmente, non si può mai essere al sicuro nemmeno per un momento. Anche se si tratta di una guerra cablata e tecnologica, coperta da telecamere di altri elicotteri che filmano e guidano dall'alto l'azione, in realtà la comunicazione può poco di fronte alle esigenze del terreno: le trasmissioni sono troppo lente, il messaggio è sempre in ritardo rispetto agli eventi.
Un elicottero fa da
navigatore a una Jeep:
“Svolta a sinistra...”
“Lo devo sapere prima di arrivarci su quella stramaledetta strada!”
“Dovrete rallentare...C'è un ritardo dal momento in cui giungono
istruzioni dal controllo aereo al centro operativo e poi a me”
“Non possiamo rallentare, siamo sotto il fuoco nemico, non possiamo rallentare!”
NEMICO
Il dialogo chiave del film è quello che si svolge tra un pilota americano
prigioniero e un miliziano.
Offrendogli una sigaretta:
“.. Voi americani non fumate piu’e vivete una vita lunga e non interessante,….
“… Ora puoi negoziare ..”
“...Non io, non comando..”
“…Tu hai il potere di uccidere, ma non di negoziare, in Somalia
uccidere e negoziazione... noi lo sappiamo bene, senza vittoria non ci sarà
pace, ci saranno sempre morti, questo e’ come il mondo funziona.”
Questo pilota, che poi
pare sia stato sostituito e tuttora fa parte dell’esercito, è stato
intervistato dalla CNN varie volte.
Nel frattempo si sente da un elicottero un auto parlante urlare sopra Mogadiscio,
“...Mike we won’t leave you behind!”
TEAM
Il gruppo non molla nessuno indietro, come un branco di lupi, l’organizzazione
sta al passo con il più lento, con quello che è più in
difficoltà. È il tema organizzativo del film: si combatte in gruppo,
si vince e perde in gruppo, il gruppo è tutto quando si è sul
terreno, quando qualcosa di imprevedibile accade, non è come nei freddi
libri di strategia militare mutuati spesso dal management, è la nuova
guerra, in cui chi esegue gli ordini ha anche il potere di decidere, in cui
chi è sul terreno deve essere selettivo.
Un rescue team chiede al generale di potere essere lasciato scendere sul terreno
anche se la situazione è critica, non vogliono lasciare i compagni. All'inizio
il generale in comando si oppone, ma di fronte alla loro insistenza dice:
DECISIONI
“...Rischiate di morire, sono in troppi è una scelta che lascio
a voi”
“ Noi scegliamo di andare”
Una dialettica gerarchica che Sun Tzu non aveva previsto. È la guerra moderna, in cui i soldati sono colti, eruditi, maneggiano armi ad alta tecnologia, infrarossi, non è la guerra della carne da macello, i soldati tornano anche a recuperare i corpi dei morti, la vita di chi combatte ha un grande valore.
“No man left behind,
…. Avremo cento bare piene se non interveniamo, ecc..”
Sono tra le frasi più pronunciate nel film.
Il film si conclude con un pensiero del sergente idealista:
“ A un amico che mi chiedeva, perchè andavamo a combattere una guerra di altri, cosa pensate di essere, eroi?”
“Non sapevo cosa
rispondere...adesso direi, nessuno chiede di essere un eroe, solo alcuni escono
dalle situazioni in questo modo.”