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Pubblicato in data: 08/01/2007
NODI GRECI PER UN'ETIMOLOGIA CAOTICA

di Simone Mattoli

“In principio era il Caos”, scrive Esiodo all'inizio della sua Teogonia; e “All'inizio c'era il vuoto”, recita la Genesi. In realtà queste due frasi sono eguali: 'caos' infatti (che in realtà andrebbe scritto 'chaos', perché la 'c' è aspirata, proprio come nel greco moderno, e l'accento cadrebbe sulla 'o', 'chaòs') è una parola greca che vuol dire 'vuoto'.

Dico 'parola greca', ma è in realtà molto più antica del greco, e la sua origine si perde nella notte dei tempi. La sua forma più antica era 'cavos'; furono i greci, che a un certo punto della loro storia smisero totalmente di pronunciare la lettera 'v', tanto da abolirla come segno grafico, a trasformare l'antica voce indoeuropea 'cavos' in 'caos'. La radice originaria è quindi 'cav'; nel latino, che a differenza del greco ha continuato a pronunciare il suono 'v', la ritroviamo con 'cavus', che vuol dire appunto 'vuoto', 'cosa che ha il vuoto dentro'.

Il 'vuoto' è ciò che atterrisce, forse ciò di cui l'uomo ha più paura: è l'immane, insondabile, inesplicabile vastità dell'abisso cosmico che circonda la terra. È l'entità abnorme davanti alla quale la ragione umana è costretta a fermarsi, impotente e inorridita, e con l'angoscioso terrore di venirne risucchiata da un momento all'altro, in un eterno vortice o peggio ancora, in un eterno annullamento.

Qui finisce il limite di competenza dell'uomo, qui l'uomo non può resistere, pensare, agire, non può nemmeno esistere: è il celebre 'horror vacui', il 'terrore del vuoto' (perché 'vacuus', in latino, ha lo stesso significato di 'cavus', appunto 'vuoto'; ma se guardiamo le radici di queste due parole, 'vac' e 'cav', scopriamo che... sono la stessa, con le consonant invertite, forse una variante nata in qualche dialetto antico latino; nel gergo dei letterati, questa inversione viene chiamata 'metatesi').

Così il 'caos', dal primario significato di 'vuoto', ha via via assunto il ben più inquietante valore di entità (divina?) instabile, informe, irrazionale, totalmente incontrollabile e imprevedibile, di dimensioni cosmogoniche e non appartenente alla sfera d'influenza dell''animale razionale' uomo. A un certo punto si è voluto unire la radice di 'ca(v)-os' con un'altra radice, la radice 'ar'; insieme hanno formato la parola 'ar-cav-e' che, poiché i greci non sanno pronunciare più la 'v', diventa presto 'arcae' e infine, poiché 'ae' si contrae in 'e', 'archè'.

'Ar' e 'cav' sono tra le radici più preziose di tutta la lingua greca, quasi divinizzate; 'ar' significa 'nodo'; il nodo che lega, che aggiusta, che sistema, che rende saldo ciò che era instabile, che adatta ciò che era inadatto, che organizza la confusione, che razionalizza ciò che era irrazionale, che ordina il disordine: si pensi ad 'ar-monia', il 'pensiero (monìa) leggiadramente ordinato'. Invece 'Archè' significa 'inizio', 'punto di partenza'. Esiodo e la Genesi, dicendo che “in principio era il Caos”, in realtà intendevano prima del principio. Il principio infatti (almeno per quanto possa riguardare l'uomo) non può che essere l''Archè'.

L''Archè' è il 'nodo che ci tiene aggrappati all'abisso', un punto fermo di appoggio, una piccola oasi di raziocinio circondata da un universo assurdo e inspiegabile. L'uomo non può concepire l'universo, può concepire solo quello che, come lui, è aggrappato all''Archè'.

Solo grazie a questo 'nodo' che si allaccia al nulla l'uomo può iniziare a essere 'homo sapiens', a indagare, apprendere, calcolare, agire; il Dio della Genesi, l'Archè dei presocratici, il Demiurgo di Platone, il Motore Immobile di Aristotele, il Big Bang... innumerevoli i nomi dati dall'uomo al 'nodo (ormai divinizzato) del conoscibile', e tutto per la paura del caos!

'Archè' è anche alla base della parola 'archàios', che indica l''arcaico', l''antico', l'antenato che è all'origine della stirpe, e di tutto (non centra con l'arca di Noè). Ma 'Archè' ha anche un secondo significato: oltre a 'inizio', vuol dire anche 'comando', 'dirigenza', intesi proprio nel senso politico, ossia la facoltà di disporre e dare ordini. Il comandante (in greco 'arconte') era allora ritenuto la pesonificazione stessa dell''Archè', da cui tutti si aspettano una decisione che faccia da punto di partenza e di riferimento al loro operato, che indichi loro una strada, che organizzi la loro 'caotica' pluralità in una cooperazione ordinata (potrei dire 'ar-monica') e razionale.

Da questa accezione di 'Archè' sono nate le parole 'mon-archia' (uno solo comanda), 'tri-archia' (in tre comandano), 'ger-archia' (i più anziani comandano), 'poli-archia' (più persone comandano), 'an-archia' (nessuno comanda).

Tralasciamo la questione se il dirigente abbia o non abbia le stimmate dell'Archè: sia esso una mamma che diriga le pulizie in casa, sia un comandante ateniese che diriga il suo esercito, sia un politico che diriga un ministero, sia un manager che diriga un'azienda, non è forse proprio il Dirigente quella creatura che lancia una sfida al Caos?

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