BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 11/06/2007

RICORDANDO UN MAESTRO. FERDINANDO DI FENIZIO E SULLE SUE ANTICIPAZIONI METODOLOGICHE

di Guido Moretto

 

Il progresso scientifico è come una gran macchia d’olio, su un candido tessuto.  Ogni scienziato, investigando un certo problema, versa sulla macchia un poco di olio.  La “frontiera” della macchia pertanto si allunga; e poiché innumerevoli punti, su quella frontiera, rappresentano i problemi, ne segue che la risoluzione d’un problema ne crea innumerevoli altri.
Ferdinando Di Fenizio

 

Diavolo di un Di Fenizio!
Quando arriva alla Statale di Milano come Docente di Scienza delle Finanze (1965-66) per la Facoltà di Giurisprudenza, inizia una rivoluzione. Parlo dal punto di vista degli studenti.
Questo moto è significativo ed interessante in un ambiente saldamente orientato verso il diritto, che considera gli insegnamenti economici, sociali e statistici come un ornamento culturale ed una specie di “cultura classica” del Giurista.
La mia testimonianza ha un valore individuale, ma il cambiamento innescato ha un senso collettivo.
Proteste, movimento, mugugno. Incomprensione e scandalo.  Compitini e prove scritte non hanno tradizione nel quadro della sapienza giuridica tradizionale, costruita sulle raccolte scritte di leggi, sull’interpretazione man mano più sottile e sistematica, sulla discussione ricercata ma non “scientifica”, sulla memoria e sulle doti interpretative individuali.
La provocazione si fa anche più decisa quando si scopre che la base del metodo scientifico proposta dal Di Fenizio non è la solita parte generale e filosofica da saltare a piè pari.
I primi compitini sono sulla metodologia della scienza.
La storia del “Becco di Bunsen” entra rapidamente nel lessico di noi studenti dubbiosi e confusi, naturalmente con tutte le varianti goliardiche. Il diagramma di Venn per lo studio delle relazioni fra “gruppi” di giudizi di valore rilevanti per l’economista ci piomba addosso senza che alcuno abbia qualche lontana cognizione della sistemica.
Leggendo la commemorazione scritta da Libero Lenti, è facile capire che l’atteggiamento dinamico, mai contento e combattivo costituisce una nota costante di tutta la sua esperienza culturale e di vita, e che le esperienze culturali sue e di un intero gruppo di economisti degli anni ’30 dovevano per forza attrarre l’interesse della polizia e provocare il divieto di pubblicazione.
Il cambiamento introdotto, che precorre quanto poi sarebbe diventato prassi normale, e che i vecchi tradizionalisti come me qualificano “liceizzazione dell’Università”, è veramente notevole, in quanto prima del Di Fenizio nessuno aveva sentito parlare (a Giurisprudenza) in modo serio, al di fuori degli specialisti, di Teoria dei Sistemi, di Omeostasi e di vari altri concetti e parole inconsuete. 
Nei contenuti poi, solo Libero Lenti, per un ristretto gruppetto di affezionati, aveva introdotto il concetto di “Circuito del reddito” e di macroeconomia, aprendoci il cervello e dando un significato globale all’Economia Politica, altrimenti polveroso arnese di curve di indifferenza. 
Le novità stimolano individualmente, ma il cambiamento è un’altra cosa, e va organizzato.
Di Fenizio è stato un notevole esempio di agente di cambiamento. Paradossalmente, era un individualista.
Il libro, dai quali sono tratte le citazioni (Il metodo dell’Economia politica e della Politica economica, L’Industria, Milano), è del 1966, e costituiva la parte metodologica dei testi dei Corsi di Scienza delle Finanze e successivamente di Economia Politica.
A mio modo di vedere, con l’occhio del 2007, esprimono una consapevolezza metodologica ed uno stimolo culturale straordinari.

“Non esiste un metodo della scienza, ma piuttosto un metodo di ricerca degli scienziati che si occupano di un determinato ramo del sapere…  Nessun apporto, anche metodologico, è definitivo…  Anche le trattazioni metodologiche invecchiano, e come!”

 

“Scopo di ogni scienza non è accertare “fatti”; ma individuare “un certo ordine fra fatti”…

“Ogni scienza ha un suo proprio sistema concettuale… un ordine astratto che serve a comprendere certe relazioni fra certi fenomeni …  e che è eternamente in divenire …   ogni classificazione è convenzionale…”

“Il processo interpretativo dei segni (pragmatica) non è indifferente al processo scientifico stesso…”

“…quali siano i criteri di verifica delle leggi … tutti si assommano nella regola della cosiddetta  ”previsione assicurata e verificata”…

“… in definitiva, una legge empirica altro non è che un’ipotesi, la quale ha superato un esame collettivo… e  (temporaneamente) accolta nel tessuto della scienza…”

La cultura filosofica della nostra generazione faceva riferimento alla storia della filosofia, all’evoluzione del pensiero di alcuni grandi (ed anche piccoli) pensatori, greci antichi, medioevali, moderni, con grande attenzione alle diverse argomentazioni relative all’essere, alla percezione, alla logica, all’etica.  In più, era dominante la visione del mondo kantiana e la dialettica hegeliana, in funzione principalmente di uno sviluppo interpretativo ed ideologico marxista.  Chi aveva frequentato lo Scientifico aveva timidamente intravisto una prospettiva epistemologica, che era però accuratamente incastonata nella storia e nell’evoluzione della filosofia tradizionale.  Non avevamo alcuna preparazione per affrontare il mare della disputa filosofica vera, e men che mai l’orientamento culturale a far fronte a discussioni metodologiche sulla scienza e sulle scienze. 
Morale: ignoranza, scarsa comprensione, rifiuto generalizzato, memorizzazione forzata di concetti oscuri per rispondere a n° X domande dei compitini per avere la sufficienza.
Invece, si stava compiendo proprio in quel momento il grande rinnovamento rivoluzionario della Teoria dei Sistemi. In metodologia e nell’applicazione psicologica.  Il Milan Approach  veniva a maturazione nell’ambito della Psicologia, della terapia della famiglia e dei disturbi alimentari, ad opera di Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata, i quali avrebbero pubblicato nel 1975 “Paradosso e controparadosso”, (partendo dall’impostazione generale del Gruppo di Palo Alto del 1967) introducendo innovazione ed un vero salto logico e superando le rigidità imposte dalla teoria psicoanalitica, non a caso collegata alla visione filosofica del mondo ottocentesca. 
Il mondo cominciava ad aprirsi.  Anche se il collegamento fra le discipline diverse era tutto da inventare.  Non è così tanto semplice neppure adesso, in una Società più aperta.

Torniamo al libro del Di Fenizio:

“Si deve poi al von Bertalanffy una ”nuova teoria generale dei sistemi”, disciplina la quale – mediante l’individuazione e lo studio dei principi comuni ad alcuni sistemi teorici – mira a spronare un processo di integrazione fra varie scienze, presa a fondamento la biologia…”

“vi sono tre specie di problemi…I problemi di “semplicità”, cioè quelli che si risolvono con leggi causali del tipo a noi note: se succede A, succede B… Poi i problemi della “complessità disorganizzata”, dominati dalla statistica …  Infine i problemi della cosiddetta  “complessità organizzata” .  Questi sono caratterizzati dall’esistenza non di due, né di moltissime variabili: bensì di poche variabili, le quali presentano la caratteristica dell’”organizzazione”; cioè del fatto che esse costituiscono un “tutto”, meglio un “sistema” ordinato in un certo modo.”

“Non si può in biologia studiare l’”insieme” nelle sue parti… si deve per contro adottare un altro punto di vista: partire da una visione sintetica e scendere al particolare.  Le particolarità possono essere studiate solo dopo di aver conosciuto il “tutto”.  In esso si possono distinguere, non separare….”

“…è indispensabile che sia avanzata l’ipotesi della ”invarianza della realtà”, anche per il futuro, affinché le generalizzazioni conservino la loro validità interpretativa.   Ma, in “biologia” l’ipotesi dell’invarianza della realtà non può essere avanzata, se non in via provvisoria e con cautela…. 
L’ipotesi dell’invarianza della realtà (economica) non regge se non a breve periodo…”

Tutti noi nel corso di una vita di lavoro nelle Aziende, nelle Organizzazioni complesse, nei Sistemi caratterizzati da “complessità organizzata”, nel Pubblico e nel Privato, abbiamo avuto modo, da operatori pratici, di verificare sul campo la correttezza delle impostazioni metodologiche del Di Fenizio e degli Autori citati nel libro.  Alcuni di noi si sono spinti ad approfondire la Sistemica anche dal punto di vista teorico (nel senso epistemologico del termine) oppure ad applicarla professionalmente in campo psicologico o nella comunicazione, od altro.

E’ da dire che l’insegnamento del Di Fenizio ha operato nei nostri confronti come un potente “rumore di fondo” metodologico, tenuto conto che un utilizzatore più facilmente è portato a riscoprire nella pratica determinate cognizioni, attingendo spunti volta per volta, piuttosto che esercitare processi di estrazione deduttiva da principi generalissimi.  Fatto sta che chi ha operato professionalmente con efficacia nelle Organizzazioni o era un sistemico o si è velocemente convertito alla Teoria dei Sistemi.
Alla lunga, siamo diventati sistemici nonostante la visione sistemica del Di Fenizio.  Qui spunta un altro paradosso che appare da una considerazione storica che visualizza i cambiamenti culturali, ideologici e di visione del mondo che hanno fatto seguito al crollo delle Grandi Ideologie e delle Grandi Idee. Abbiamo perso un’occasione. Avevamo a portata di mano un grande maestro, aggiornato, attivo e combattivo, e ce lo siamo lasciato perdere, mugugnando concetti confusi e cercando la sufficienza all’esame, senza guardarci attorno.

A proposito del senso culturale della riscoperta del valore di un maestro è simpatico un appunto tratto da un articolo di  Renata Targetti Lenti, con la quale sono completamente d’accordo:

“Se si leggono gli scritti keynesiani di Ferdinando di Fenizio sullo sfondo uniforme della manualistica d'importazione, risalta l'intelligenza dell'autore e la ricchezza intellettuale di quei tempi. Rileggere da vecchi gli scritti dei propri maestri, d'altra parte, ha una funzione terapeutica.  L'aria di sufficienza che i giovani hanno spesso verso il maestro nasconde il complesso di Edipo. Può servire a emanciparsi, ma almeno a una certa età è bene liberarsene.”

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