CAMBIAMENTO DI RUOLO, CAMBIAMENTO DI PERSONA
Tra i vari quesiti
sul tema del cambiamento, viene da domandarsi come un cambiamento di contesto
organizzativo influisca sul modo in cui la persona interpreta se stessa e il
suo ruolo in un differente contesto.
Sarebbe interessante intervistare le persone che cambiano posto di lavoro e
chiedere loro prima di iniziare la nuova attività come si immaginano
nel " Mondo nuovo", quali aspettative hanno nei propri confronti,
quali paure, quali sono gli errori che si ripromettono di non compiere più,
facilitati da un nuovo ambiente.
Io credo che le fantasie che si innescano a fronte di un cambiamento di lavoro
siano notevolissime; per certi versi si potrebbe paragonare a una nuova nascita,
a una rigenerazione, a un riscoprire le proprie possibilità e capacità.
C'è sicuramente una forte parte di sogno in questi transiti verso il
nuovo.
Ma l'aspetto cruciale di questi cambiamenti io credo per lo più non attenga
al saper fare bensì al saper essere, cioè al modo di relazionarsi
con gli altri.
E' qui che si gioca la vera nuova partita: come gli altri ci guardano, come
gli altri si rapportano a noi, i fraintendimenti, i malintesi, l'invidia. Questi
sono i passaggi cruciali che ci aspettano al varco, a volte con presagi e inquietanti
campanelli di allarme.
Intanto sarebbe importante chiarire a noi stessi come desidereremmo essere percepiti,
quale è in fondo la domanda di amore che esprimiamo agli altri. Quale
è il grado di autonomia che desideriamo, ma anche- questione non meno
intrigante- quale è il grado di dipendenza che vogliamo stabilire.
Un'altra domanda da porsi è quanto siamo disposti ad apprendere in un
nuovo contesto, che voglia di apprendimento abbiamo e come è la nostra
ansia rispetto alla paura di non apprendere.
Tra l'altro c'è un altro aspetto da considerare: nei cambiamenti di ruolo,
nei cambiamenti organizzativi, spesso c'è un miglioramento economico,
un miglioramento di inquadramento, maggiori responsabilità.
Ma allora uno si chiede a fronte di questi miglioramenti "esterni",
forse dovrei migliorare anch'io?
E allora ci mettiamo a osservare non senza qualche apprensione cosa succede
anche nel nostro teatro interno.
E cosa succede nel nostro teatro interno?
Succede che se una persona cambia lavoro dal 2 gennaio, non necessariamente
da quella data cambia personalità.
Eppure il cambiamento è richiesto, in qualche modo anche favorito e agevolato.
Ma non sembra essere così facile. C'è una sorta di spinta iniziale
a provare a mettere in moto diversi e "migliori" comportamenti, una
specie di ondata di cambiamento, potremmo chiamarla. Ma altrettanto potente
si presenta ben presto la risacca, un tornare indietro, un tornare sui propri
passi, un ripresentarsi quasi fantasmatico di situazioni note e che speravamo
non si ripresentassero più.
"Ci risiamo" è la considerazione che si fa allora a mezza voce,
prendendosela a questo punto con se stessi, perché diventa crudelmente
evidente che certe cose che non ci piacevano e che addebitavamo all'ambiente
sfavorevole, a capi insensibili, a colleghi opportunisti, a un'organizzazione
assente, forse dipendevano anche in buona misura da noi.
E' un'amara scoperta, non c'è dubbio, però se ci si ferma a riflettere,
questo può voler dire anche che noi contiamo di più di quanto
non siamo portati a pensare, che noi determiniamo il contesto con cui interagiamo
in modo significativo, che molto dipende anche da noi.
E' una grande potenzialità non c'è dubbio, una bella responsabilità
anche nei confronti di se stessi.
Ci conosciamo bene? Viene da domandarsi. E quanto serve poi conoscersi? Quanto
serve aver capito il perché in determinate situazioni reagiamo in un
modo che finisce con il non aiutarci o addirittura nel ritorcersi contro di
noi? Quanto serve se poi al momento buono ci comportiamo sempre in quello stesso
modo?
"Conosci te stesso" dicevano gli antichi Greci, poi arrivò
Freud a rivelarci che non siamo un universo, ma un pluriverso, per cui l'opera
di conoscenza del sé diventa un arduo cimento.
Eppure se vogliamo essere persone intere, che vivono il presente in modo autentico,
dobbiamo pure cimentarci con noi stessi e attrezzarci a diventare - anche facendoci
aiutare - quello che vogliamo essere.
Chi non è disposto a scendere nella profondità di se stesso, perché
ciò fa soffrire, non può risolvere i problemi della vita e deve
allora rimanere in superficie senza la capacità e il coraggio di soffrire;
ma in superficie tutti i problemi rimangono irresolubili, diceva Wittgenstein.
E Gino Pagliarani, psicosocioanalista, formatore e psicologo parlava di anestesia
sentimentale, come di quello stato procurato ad arte per non sentire le proprie
emozioni, per sfuggire dalle proprie ansie primitive e a ciò contrapponeva
il coraggio di Venere, cioè il coraggio di amare e di amarsi. Perché,
diceva, ci vuole più coraggio a fare l'amore che la guerra.
L'organizzazione - qualunque essa sia - è luogo in cui si mettono in
gioco molte passioni, molte emozioni, anche ansie e paure.
L'organizzazione è in qualche modo anche un contenitore, anche se nella
nostra epoca che il sociologo Bauman ha definito "modernità liquida"
è un luogo sempre meno sicuro, sempre meno protettivo, sempre più
sfidante.
Sembra che il soggetto oggi più che mai debba fare appello alle proprie
capacità e alle proprie risorse in uno stato di relativa solitudine che
il cambiamento tende a rendere ancora più evidente.
E' un cammino arduo, un attraversamento difficile quello che attende il soggetto
contemporaneo tra dipendenza e solitudine, confrontato con una complessità
senza precedenti. Conviene dunque attrezzarsi a una nuova educazione sentimentale
e a una riscoperta dell'emozione intelligente.
In questo ci aiutano le parole del poeta Antonio Machado.
Viandante, il cammino
sono le tue impronte, e nient'altro.
Viandante, non esiste un cammino,
il cammino si fa camminando.
Camminando si fa il cammino
e quando lo sguardo volge all'indietro,
si vede il sentiero
che mai più si tornerà a calpestare.
Viandante, non esiste un cammino,
ma scie nel mare.