BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 08/11/2004

LA PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA E LA FORMAZIONE COME STRUMENTO DI ECCELLENZA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

di Francesco Naviglio

Inadeguatezza della progettazione organizzativa e della formazione nella PA.

E’ orami diffusa la consapevolezza della centralità della progettazione organizzativa e della gestione delle risorse umane per la definizione di strategie e obiettivi di qualità nell’erogazione dei servizi .
Il cammino per giungere a quest’approccio è stato lungo ma da tempo è ampiamente applicato nel settore privato, che considera le risorse umane una leva strategica per il successo del “business” aziendale.
Oggi solo poche amministrazioni pubbliche, definibili d’eccellenza, inseriscono al centro del processo strategico e produttivo la risorsa umana. Nella maggior parte delle strutture statali il personale è ancora considerato e “amministrato” come un mero fattore di produzione, come variabile indipendente dalle strategie aziendali.
Nella maggioranza delle realtà pubbliche, invece, gli investimenti in formazione e addestramento del personale sono solitamente “strappati” dalle contrattazioni sindacali, sia nazionali che aziendali, come “conquista” e non rappresentano un convinto strumento di miglioramento della cultura aziendale, funzionale ad un aumento complessivo delle professionalità. Nelle strutture di questo tipo la formazione è addirittura considerata un fattore di disturbo all’interno del processo produttivo e non si ritiene che un tale investimento possa determinare un miglioramento delle prestazioni e del clima aziendale.
Perché non si è ancora riusciti a superare questa visione arcaica della gestione della risorsa umana nella Pubblica Amministrazione e perché gli stessi lavoratori, a qualsiasi livello di responsabilità, non esprimono una forte esigenza di formazione ma, anzi, spesso manifestano ostilità e diffidenza nei confronti dei corsi di formazione?
In primo luogo va considerato che ancora oggi l’impiego in una struttura pubblica è “stabile” e raramente si assiste a drastiche riduzioni del personale ed al conseguente innescarsi di processi di mobilità: il dipendente pubblico non si pone in discussione e considera la situazione lavorativa come definitiva.
Generalmente il dipendente pubblico non dedica molta attenzione al proprio “curriculum” e non è sollecitato a migliorare ed integrare il proprio bagaglio professionale. Egli tende a rifiutare le proposte formative perché in queste intravede una possibile modifica della propria situazione lavorativa, un pericolo di mobilità, anche se solo strettamente aziendale.

La formazione è considerata un evento “inutile”e talvolta addirittura “pericoloso”!
In tale contesto s’innesca una successiva riflessione circa i meccanismi standard che nella pubblica amministrazione determinano i percorsi di carriera. Questi, infatti, sono cadenzati e gestiti quasi unicamente attraverso concorsi, che, lungi dal prendere in considerazione la storia professionale e le performances lavorative dei concorrenti, esprimono risultati ancora oggi basati esclusivamente sull’anzianità di servizio e sul risultato di sterili prove scritte od orali.
Un quadro dipinto da tinte così fosche descrive la scarsa considerazione di cui gode la formazione all’interno delle strutture pubbliche, sia da parte dei vertici aziendali che decidono su quale e quanta formazione erogare, sia da parte dei fruitori stessi che sono sottoposti a processi formativi dai quali non ricevono, in ultima analisi, sostanziali benefici.
Ad aggravare la situazione è anche il tipo di organizzazione del lavoro ancora in uso presso molte realtà pubbliche: l’attività lavorativa si svolge “per adempimenti”, incastrata nel vecchio retaggio di un modello “burocratico”di tipo ministeriale. Gli adempimenti tradizionali scaturiscono dalle norme di legge o dai regolamenti, che, in forza di un’immutabile “tradizione”, divengono le uniche fonti valide da cui far discendere i modelli organizzativi e le modalità di gestione delle risorse umane.
La cultura aziendale che sottintende a quest’organizzazione, basata sulla ripetersi dell’attività lavorativa e sulla conformità dell’azione alla norma, tende a scoraggiare qualsiasi tentativo d’innovazione. La paura del cambiamento ostacola l’innovazione organizzativa e lo sviluppo
professionale delle risorse umane, quale che sia il ruolo ricoperto all’interno della scala gerarchica.

La scarsa sensibilizzazione dei vertici delle strutture pubbliche alle tematiche della organizzazione e della formazione.

Nell’ultimo decennio si è operato molto al fine di adeguare le tecnologie a disposizione della pubblica amministrazione, sopratutto nel campo dell’informatica e della diffusione delle informazioni. Tuttavia si possono ancora oggi riscontrare vaste aree in cui l’innovazione tecnologica e la connessa innovazione organizzativa non riescono a scalfire il “monolitismo burocratico” particolarmente presente in quelle strutture, per lo più statali e parastatali, che sino ad oggi non sono state sfiorate dal vento della privatizzazione e della concorrenza.
Si sono dimostrate più sensibili all’innovazione organizzativa quelle strutture pubbliche che sono state coinvolte in tentativi, a volte riusciti, di privatizzazione (strutture sanitarie, asl, enti pubblici economici, aziende municipalizzate), e quelle strutture sottratte alla sfera monopolistica dello stato ed inserite in logiche di mercato ove la concorrenza e la soddisfazione del “cliente” determinano il destino dell’azienda.
Queste realtà pubbliche hanno necessariamente dovuto intraprendere la strada del cambiamento e dell’innovazione culturale e organizzativa. Progressivamente si sono allontanate dalle logiche “burocratiche”, acquisendo e praticando logiche vicine al settore privato: si sono introdotti concetti quali la “soddisfazione del cliente”, l’“organizzazione per processi”, i percorsi di carriera non più legati unicamente alle procedure di un concorso; si è iniziato a sfruttare la leva della formazione per adeguare il bagaglio culturale e professionale delle risorse umane; si è modificata la cultura organizzativa adeguandola alle esigenze del mercato.
Processi d’innovazione culturale ed organizzativa sono stati possibili anche in realtà pubbliche in cui i vertici hanno saputo analizzare ed interpretare l’andamento degli scenari esterni ed il contesto sociale in cui operavano ed hanno conseguentemente adeguato , essi stessi per primi, la loro cultura e visione strategica avviando un radicale cambiamento nell’assetto organizzativo .
Tale passaggio culturale è fondamentale per assistere ad un mutamento organizzativo che abbia qualche possibilità di successo. In qualsiasi struttura, sia pubblica che privata, la determinazione e consapevolezza del top management costituisce il fattore chiave di successo d’ogni processo di cambiamento.
Molte realtà pubbliche falliscono l’appuntamento con l’innovazione organizzativa e procedurale proprio perché, pur in presenza di massicci investimenti, non dispongono di un top management convinto e determinato che faccia da traino. Ciò, oltre a produrre uno spreco di capitali pubblici, ingenera nel personale un senso di frustrazione e di fatalismo, ed incide inevitabilmente sul clima aziendale sino a deprimere il livello di partecipazione al business della struttura, che progressivamente peggiora la qualità dei servizi erogati.

Conseguenze dei tagli al bilancio della pubblica amministrazione.

E’ divenuto ormai quasi un luogo comune quello di riferirsi alla PA come ad una inesauribile fonte di spese inutili e centro d’inefficienze.
Questa visione è spesso frutto di una costante opera di delegittimazione posta in essere proprio dalla classe politica, che ,al contrario, dovrebbe avere la responsabilità di rendere efficiente e funzionale l’apparato statale, qualunque sia il suo ruolo : di governo o d’opposizione. L’opinione pubblica ne è influenzata ed accoglie con indifferenza e, tal volta, con soddisfazione, qualsiasi taglio delle spese..
Una politica di diffusa denigrazione della pubblica amministrazione e d’indiscriminato taglio delle somme destinate è divenuta causa principale dell’attuale stato delle strutture , ed il ridursi dei fondi a disposizione determina un continuo calo degli standard di qualità dei servizi erogati . Inevitabilmente i vertici, sia politici che amministrativi, tendono a privilegiare le spese correnti e obbligatorie , cancellando o rimandando qualsiasi investimento in tema d’innovazione organizzativa e procedurale nel quale , come si diceva, forse essi stessi credono poco!
Se analizziamo ancor meglio il fenomeno scopriamo che queste scelte da parte dei vertici delle strutture pubbliche appaiono determinate anche dal particolare tipo di rapporto o d’incarico che li lega “contrattualmente”. Per lo più ci stiamo riferendo ad incarichi temporanei, spesso d’origine politica, che non riescono, per loro natura, a determinare rapporti duraturi e solidali e tali da permettere una decisa presa in carico delle problematiche, fino a determinare quel senso d’appartenenza e d’identità aziendale che può fare di un manager un vero leader.
Il prototipo dell’amministratore pubblico tende a portare a termine i compiti che gli vengono di volta in volta assegnati, senza porsi altri obiettivi che non siano quelli di una gestione politicamente corretta , rigida e ripetitiva , priva di slanci personalistici ed innovativi e , soprattutto , tale da non creare elementi di “ disturbo” in grado di pregiudicare possibili avanzamenti di carriera e successivi incarichi.
Questa situazione innesca un circolo vizioso che, confermando la teoria della “profezia che si autoadempie”, induce la pubblica amministrazione a peggiorare i propri servizi, perdendo sempre più credibilità.
Lo stesso circolo vizioso comporta per i dipendenti pubblici una progressiva perdita d’autostima e d’immagine nei confronti della pubblica opinione. Viene meno, anche se in forma latente e per lo più inconscia, una convinta richiesta di formazione e professionalizzazione. Il clima aziendale diviene di scarso attaccamento al posto di lavoro e progressivamente diminuisce la “fidelizzazione” nei confronti dello Stato quale “datore di lavoro”.
Sappiamo quanto sia importante il senso d’appartenenza e lo spirito di gruppo in una azienda ma nella PA questo è spesso affidato ai soli istintivi rapporti d’amicizia e di collaborazione; i gruppi di lavoro si definiscono su base spontanea, la formazione avviene su spinta personale e la struttura assume una configurazione di natura individualistica anziché sistemica.
Forse questo tipo di analisi tanto cruda e vicina alla realtà dei fatti ha indotto lo stesso Dipartimento della Funzione pubblica ad avviare un ‘indagine sul “Benessere Organizzativo” nell’ambito delle strutture pubbliche, finalizzata a conoscere cosa pensa il dipendente del proprio posto di lavoro, quali sono le sue prospettive e come vive il rapporto con la struttura in cui lavora. Evidentemente, anche a livello ministeriale, qualcosa comincia a cambiare e forse sullo screening dei risultati dell’indagine si potrà innescare un ciclo virtuoso di miglioramento organizzativi.

Avviare cicli virtuosi di progettazione organizzativa che producano una riduzione della spesa pubblica.

E’ però ora necessario soffermarsi a riflettere su quello che ci si aspetta in futuro dalla pubblica amministrazione e quanto spazio nell’ambito della società le si vuole riservare.
In questi anni ho maturato il triste convincimento che il cammino politico intrapreso dal Paese sia indirizzato alla demolizione della struttura pubblica, nonostante questa sia certamente nata per essere la spina dorsale dello stato italiano e abbia da sempre formato tante personalità di spicco ed autorevoli studiosi, riconosciuti anche in ambito internazionale.
Da sempre la forza delle grandi democrazie europee è stata una pubblica amministrazione autorevole ed autonoma, posta a garanzia della funzionalità dello stato e delle istituzioni democratiche. La tradizione della classe burocratica italiana, di là dalle facili ironie, ha garantito uno sviluppo armonico dello stato ed è riuscita ad accompagnare il progresso della società civile, portando l’Italia al pari delle grandi potenze .
La tanto bistrattata burocrazia pubblica ha, nel corso degli anni, formato eccellenti e validi funzionari che hanno supportato, spesso nell’ombra, il lavoro degli esponenti di governo nell’opera di consolidamento dello stato italiano. Tale opera è stata particolarmente apprezzata nell’ambito delle attività legislative che hanno permesso l’emanazione di norme all’avanguardia nello scenario del diritto internazionale.
Il riconoscimento della validità della burocrazia italiana è cominciato a venir meno verso la fine degli anni ottanta, sino a toccare il livello più basso durante il periodo dell’inchiesta “Mani Pulite”, che ha determinato il punto di minore credibilità della nostra pubblica amministrazione, vista come luogo prediletto dell’intreccio di loschi affari tra politici, burocrati e imprenditori!
Oggi ci troviamo in una tipica situazione di contadditorietà e di stallo da cui è difficile uscire; da una parte è ormai unanime il coro di chi chiede alla pubblica amministrazione una sempre maggiore efficienza nell’essere di sostegno ai cittadini , nell’ambito di un welfare fonte di sviluppo e sostegno dell’economia e delle imprese italiane, dall’‘altra parte ogni manovra finanziaria riduce costantemente le quote di risorse economiche destinate alla pubblica amministrazione
Si chiede alla Pubblica Amministrazione d’essere moderna e contemporaneamente si tagliano i fondi, le si chiede di essere efficiente e le si riducono le possibilità di sviluppo e gli spazi di intervento!
Così, in assenza di una visione sistemica e di un disegno complessivo di riforma, vengono avviati progetti di ristrutturazioni e reingegnerizzazioni procedurali a macchia di leopardo , che non producono effetti significativi e che, spesso, causano addirittura danni dal punto di vista organizzativo, gestionale, motivazionale ed economico.
Sotto il profilo organizzativo si introducono innovazioni prive di pianificazione e di verifiche sulle loro ricadute nell’ambito delle altre realtà pubbliche. Dal punto di vista gestionale una innovazione mal pianificata crea atteggiamenti ostruzionistici e determina criticità, sia tecnologiche che di flussi procedurali. Il danno motivazionale è dato dal fatto che le risorse umane sono chiamate ad operarare senza coinvolgimento all’interno di un processo innovativo subito come imposizione. E’ poi evidente il danno economico legato alla sempre più frequente disattivazione di processi innovativi intrapresi e mai portati a termine, di cammini iniziati e abbandonati di fronte alle prime difficoltà, di correttivi mai individuati e monitoraggi mai criticamente analizzati.
E’ per evitare il perpetuarsi di questa situazione che ritengo sia ormai urgente e improcrastinabile il progettare un piano d’intervento “realistico” che permetta alla Pubblica Amministrazione di attuare realmente una modernizzazione delle proprie strutture, un investimento nel futuro che non sia solo di facciata ma che implichi in primo luogo un adeguamento culturale delle risorse umane che operano all’interno della stessa.
Come per qualsiasi azienda privata che voglia adeguarsi ad un mercato in evoluzione, sarà necessario prevedere investimenti specifici con la convinzione che investire in efficienza è l’unico modo che, nel tempo, permetterà un ritorno in termini di economie gestionali e servizi di qualità.
E’ necessario innescare un ciclo virtuoso nell’ambito di tutte le strutture pubbliche, non solo in poche realtà marginali, che preveda significativi investimenti, prevalentemente in materia di organizzazione e formazione delle risorse umane, governato da una Authority centrale, costituita sulla falsariga di quella per l’informatica.

Una Authority per l’organizzazione e la formazione nella PA

I provvedimenti fin ora adottati hanno dimostrato l’inutilità di interventi organizzativi isolati, sporadici e disallineati che a volte aggravano addirittura il funzionamento di alcune strutture determinando, pur senza volerlo, uno spreco di risorse ed un peggioramento della qualità del servizio.
Gran parte delle azioni intraprese sono state individuate e sviluppate nell’ambito degli uffici legislativi o delle segreterie dei vertici delle diverse amministrazioni pubbliche che hanno emanato direttive, circolari, decreti, leggi su tematiche organizzative, procedurali e gestionali prive di una propedeutica fase di approfondimento delle problematiche organizzative e soprattutto prive di un preventivo sondaggio e coinvolgimento delle risorse umane destinatarie degli interventi.
La continua e affannosa ricerca di una generalizzata riduzione delle spese ha determinato una situazione fatta di tentativi e di azioni condotte alla cieca, senza una programmazione e senza una chiara definizione dei risultati che si intende raggiungere. Vengono create e cancellate strutture che divengono funzionali soltanto a temporanee esigenze, vengono generate e abolite procedure senza una visione organica del funzionamento degli apparati, tutto in modo avulso dalla realtà lavorativa delle strutture operative e mediante strumenti lontani da qualsiasi logica organizzativa e gestionale.
Per un reale contenimento dei costi e per ottenere servizi di qualità si deve invece definire una visione sistemica della pubblica amministrazione in grado di individuare esattamente le modalità ed i tempi di un intervento teso a riorganizzare le strutture pubbliche centrali e periferiche consentendo l’elaborazione di una offerta di servizi a costi e prezzi compatibili con le esigenze del bilancio dello stato e alla portata dei cittadini.
Per ottenere qualità e concorrenzialità nell’erogazione dei servizi alla collettività è necessario ed impellente che i responsabili politici ed amministrativi comprendano che solo investendo in una reale riorganizzazione delle strutture e in una sistemica opera di formazione delle risorse umane si possono ottenere dei risultati concreti e duraturi.
A tale scopo sarà necessario istituire una Authority cui affidare il compito, certamente non facile, di creare una “Scuola” che detti, nell’ambito della scienza dell’organizzazione, canoni e criteri specifici per la pubblica amministrazione. Questi ultimi dovranno guidare l’attività di progettazione di un team di analisti di organizzazione formati e specializzati nella progettazione e gestione di strutture pubbliche.
Sarà, inoltre, necessaria la realizzazione di un moderno progetto di “gestione” delle risorse umane che, partendo dalla concreta individuazione dei fabbisogni e delle professionalità necessarie per il funzionamento delle singole amministrazioni pubbliche, individui nuove forme di reclutamento del personale cui offrire sviluppi e percorsi di carriera simili a quelli in uso nel settore privato.
E’ evidente che per centrare l’obiettivo di un reale e diffuso miglioramento della qualità dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione e contemporaneamente ridurre i costi complessivi, una Authority specializzata e dotata di adeguata autorevolezza dovrà delineare attentamente il percorso da seguire e gli obiettivi da raggiungere.
Solo così vedremo restituita dignità e affidabilità alla Pubblica Amministrazione e al suo personale, pilastro insostituibile e unitario dello stato e solo così la certamente insostituibile funzione pubblica potrà essere organizzata in processi lavorativi attuativi delle più moderne tecniche di gestione!

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