BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 31/07/2006

I "GIOVANI TALENTI": DA TRIBU' AZIENDALE A "RISERVA INDIANA"

di Andrea Negrin (1) e Francesca Voltarel

Il Change Management

Il confronto tra “innovazione” e “rivoluzione”. Supportare la riorganizzazione attraverso la selezione di nuove leve e l’investimento sulle risorse più meritevoli all’interno dell’azienda.

I progetti “Are you ready?” e “Wanna sell” in Benetton

Conclusioni

Bibliografia

Vorremmo provare a trattare il tema della “gestione dei talenti”, portando il contributo di un’esperienza concreta, quella di Benetton Group, in cui la ricerca, lo sviluppo e la gestione delle risorse umane è oggi più che mai un fattore strategico per il globale progetto di change management del gruppo.

Il progetto di change management in atto, in questa fase storica dell’Azienda, ha come scopo principale quello di orientare i principali processi aziendali verso una visione più “pulling” dell’organizzazione, trainata cioè dal cliente finale. Si tratta di un vero e proprio ri-orientamento della “bussola” da azienda spinta sostanzialmente dalla sua potenza manifatturiera ad azienda trainata dalla sua rete commerciale.

E’ partendo da queste premesse che vorremmo portare la nostra attuale visione sul tema “gestione dei talenti”, una visione che potrebbe risultare un po’ fuori del coro, senz’altro una visione molto empirica e pragmatica che, in ogni caso, non vuol avere la presunzione di stabilire un punto di arrivo, una conclusione definitiva sull’argomento, bensì aprire un nuovo dibattito più aperto e disincantato sulla questione che fu addirittura definita come “la guerra dei talenti”.

 

1. Il Change Management

L’unica vera fonte di vantaggio competitivo sostenibile e duraturo, soprattutto nel settore del fashion, è la capacità di modificarsi continuamente per riuscire a differenziarsi.

La reale differenziazione oramai non deve essere ricercata solo nel prodotto ma, sempre di più, nella velocità di risposta al mercato. In particolare, il tempo tende ad assumere un ruolo fondamentale nei settori fortemente competitivi inseriti in mercati saturi e maturi, in cui le innovazioni tecnologiche, il corretto posizionamento del prodotto in termini di qualità e di prezzo e il raggiungimento di bassi livelli di struttura di costo costituiscono le condizioni minime irrinunciabili per la sopravvivenza da parte delle imprese che vi operano.

Per poter essere più veloci nella risposta al mercato è ormai risaputo (Zara docet, vedi articolo) quanto sia fondamentale progettare e rendere viva una cultura di vero orientamento al mercato a tutti i livelli dell’organizzazione in modo condiviso e coeso. E’ indispensabile avere un’organizzazione integrata, flessibile, fluida, reattiva.

Per far sì che l’azienda sia in grado di reagire tempestivamente agli stimoli provenienti dal mercato, adeguandosi ad essi, è necessario che l’azienda non sia l’insieme di tante parti che governano “tayloristicamente” una fase del processo, ma è importantissimo che l’azienda riesca ad essere un unico sistema. Questo significa operare verso la massima integrazione verticale ed orizzontale dei processi aziendali.

Al fine di realizzare una concreta integrazione è ormai diventato scontato il fatto di dover rileggere la struttura organizzativa, non più in termini di funzioni gerarchiche, ma in termini di processi che attraversano la struttura e coinvolgono diverse funzioni. Solo la vera comprensione dei processi fondamentali di un’azienda, infatti, permette di mettere a fuoco le eventuali inefficienze e di rendere tutti più consapevoli sul reale contributo di ogni ruolo verso la creazione di valore per l’azienda.

Oggi, inoltre, vi è un’ulteriore sofisticazione del concetto di organizzazione per processi, portatoci dalla logica del “mix and mach” (Bibliografia: vedi articolo Camuffo): l’azienda, infatti, cerca di diventare modulare e quindi scomponibile in singole parti potenzialmente indipendenti ed autonome e addirittura ricomponibili in strutture diverse o nuove.

E’ un modo ancor più nuovo di ragionare con l’organizzazione dove, provando ad usare delle metafore come faceva Morgan (Images, Morgan), si passa da un’azienda concepita come il “cubo di Kubrik” ad un’azienda concepita come il “Lego”, dove ogni parte autosufficiente diventa un mattoncino indipendente, utile a dare un senso logico al processo contingente ma potenzialmente utilizzabile anche per altre soluzioni architettoniche dell’azienda.

A parte l’onerosità potenziale di queste evoluzioni metaforiche (articolo, Camuffo) che, come l’accademia sottolinea, non sono ancora state realmente confrontate con i vantaggi prodotti dalla probabile flessibilità e velocità sperata, rendere un’azienda più flessibile e fluida significa, comunque, partecipare il maggior numero di persone alla strategia dell’azienda e riuscire ad innescare i meccanismi organizzativi e la giusta mentalità nelle persone stesse. E’ quindi evidente che il fulcro del cambiamento rimane imperniato nelle risorse umane.

Per rispondere velocemente ad un mercato che diventa sempre più difficile e competitivo, è indispensabile creare continuità di energia positiva che deriva dall’intelligenza umana e dalla passione che solo questa risorsa è in grado di trasferire all’organizzazione, creando integrazione e una prospettiva condivisa da tutta la collettività.

Il desiderio di cambiamento per un migliore orientamento al mercato, è strettamente legato alla coerenza organizzativa di tutta la struttura e di tutti i processi. La coerenza è data dalla consapevolezza, a tutti i livelli, di quelli che sono i problemi, la strategia per risolverli, le modalità per raggiungere gli obiettivi. La consapevolezza passa attraverso la condivisione, la comunicazione.

Il cambiamento, quindi, passa attraverso l’integrazione e questa si realizza attraverso il consolidamento del know-how e attraverso la contestuale capacità di trasferirlo innovandolo e valorizzandolo con nuove idee e competenze. E l’innovazione e valorizzazione del know-how giunge da un’unica fonte: il confronto tra l’insieme consolidato di conoscenza e competenza dell’azienda e le idee e le competenze di persone nuove che entrano nella medesima. Semplificando: il confronto tra “vecchio” e “nuovo”.

Ma proprio perché la persona è il perno del miglioramento, del cambiamento, del valore competitivo dell’azienda, diventa irrinunciabile trattenere le risorse che detengono il know-how, quelle attraverso le quali è possibile attuare e continuare la crescita della realtà aziendale, rendendo possibile la dialettica tra “vecchio” e “nuovo”.

Gli ultimi anni hanno visto un mercato del lavoro fortemente in movimento, mercato in cui le persone – poco valorizzate – entravano e uscivano dalle aziende in modo molto veloce, incidendo inevitabilmente poco, sempre alla ricerca di una nuova realtà dove essere riconosciuti maggiormente. Perché, è risaputo, paga molto di più in termini di carriera e di aumento di stipendio passare da un’azienda ad un’altra rispetto a trascorrere molti anni all’interno della medesima realtà consolidando esperienza e – fondamentalmente – consolidando il know-how dell’azienda.

E’ indispensabile, quindi, prima individuare e poi investire maggiormente sulle persone che creano valore aggiunto, per poterle trattenere e responsabilizzare alla formazione di nuove leve. Solo così la competitività verrà mantenuta, perché ci sarà sempre un filo conduttore che guida il miglioramento: è il solito confronto dialettico tra “tesi” e antitesi”, tra “jin e jan”, tra “vecchio” e “nuovo”, tra “innovazione” e “rivoluzione”. 

2. Il confronto tra “innovazione” e “rivoluzione”. Supportare la riorganizzazione attraverso la selezione di nuove leve e l’investimento sulle risorse più meritevoli all’interno dell’azienda.

Come abbiamo detto sino a questo punto, per avere un orientamento al cambiamento organizzativo,l’ingrediente indispensabile è l’integrazione. Integrazione come comprensione dei processi aziendali, elemento che permette di rendere tutti consapevoli del proprio ruolo. Questa si realizza attraverso il consolidamento del know-how e attraverso la contestuale capacità di trasferirlo innovandolo e valorizzandolo con nuove idee e competenze.

Tutto questo enfatizza l’esigenza di gestire i migliori.

Il rinnovo generazionale, il cambiamento e lo sviluppo si ottengono, in ogni caso, non solo con la motivazione delle persone presenti a tutti i livelli dell’organizzazione a dare il meglio per innovare i processi esistenti ma anche attraverso la selezione di nuove leve provenienti dal mercato esterno che spesso modificano radicalmente gli equilibri esistenti creando quindi dei cambiamenti più radicali: delle rivoluzioni.

Tuttavia investire sul “nuovo” senza capire, valutare, motivare il “vecchio” spacca l’organizzazione chea volte rischia di dividersi in tante parrocchie che si chiudono quasi in difesa della propria esistenza e come tecnica per non farsi intaccare dal “nuovo”. Se il “vecchio” non è informato, coinvolto e motivato alla scelta di avere nuova linfa, nuove leve su cui investire e a cui trasferire know-how, il sistema si frantuma in tanti pezzi perdendo l’integrazione, primo ingrediente per il cambiamento e l’innovazione.

Non ci può essere, secondo noi, uno scollamento tra le persone brillanti e performanti dell’organizzazione e le nuove leve in ingresso. Se così fosse, non sarebbe possibile attuare interventi organizzativi sostanziali e lavorare in ottica di cambiamento organizzativo. Potremo parlare anche in questo caso di una sorta di “effetto clessidra”: i livelli più alti non comunicano e non coinvolgono i livelli medio-bassi e – per contro – i livelli medio-bassi lavorano con scarsa motivazione, fino ad arrivare all’indifferenza. Questo complica il lavoro di tutti creando un ambiente di scarsa collaborazione. A tutti i livelli si ostacola la possibilità al cambiamento organizzativo. Il risultato è un’organizzazione passiva che si siede e si adagia sull’indifferenza, rallentando i processi decisionali e facendo perdere all’azienda- e alle persone che la costituiscono - delle opportunità.

E’ senz’altro importante, quindi, portare nuove persone in azienda che apportino nuovo entusiasmo e nuove idee. Persone su cui investire, affidandole a manager con un know-how consolidato.Ma è bene, però, tenere presente che: “il talento non ha età” non sempre giovane è sinonimo di innovazione o di rivoluzione positiva (vedi articolo di Costa “sole 24 ore dl 20.07.05). Non si deve scindere il processo di inserimento del “nuovo” dall’importanza che ha la motivazione del “vecchio” ad accogliere questi giovani per trasferire loro le conoscenze e le competenze e per iniziare la dialettica e il confronto in un’ottica di cambiamento evolutivo.

Come è importante che il “vecchio” sia preparato al “nuovo” – e questo è strettamente legato alla comunicazione e condivisione di valori e strategia a tuttii livelli dell’organizzazione – così è imprescindibile che il “nuovo” sia all’altezza della situazione e sia preparato e disponibile al confronto.

Mentre il primo elemento – la comunicazione/condivisione di valori – è compito del Top Management, il secondo componente è responsabilità di chi sceglie e inserisce il “nuovo”.

Se i giovani in ingresso sono presuntuosi, inaffidabili, poco disponibili al rispetto di quanto fino a quel momento l’azienda ha costruito e delle persone che la rappresentano, è inevitabile che il “nuovo” viene rigettato, anche se l’operazione di condivisione e motivazione del “vecchio” è stata curata attentamente.

Alla luce di quanto detto la nostra esperienza ci porta a ritenere che diventi sempre più determinante per chi opera nelle HR e nell’organizzazione riuscire a creare un circolo virtuoso di coerenza che possa agire sulla creazione di una cultura “osmotica” tra l’azienda ed il mercato del lavoro, evidentemente il punto di partenza sono sempre le performance economiche ma da esse si deve cercare di mettere in moto un sistema dinamico di sviluppo:

3. I progetti “Are you ready?” e “Wanna sell” in Benetton

In modo pragmatico ed empirico, con l’obiettivo di costruire il sistema di coerenze suddette e al fine di generare un vero processo di “osmosi” e di contemporaneo sviluppo del valore (performance economiche), lo scorso anno Benetton ha intrapreso due progetti per seguire con maggiore attenzione e indirizzare alcuni giovani promettenti verso un percorso di crescita funzionale allo sviluppo dell’azienda.

E’ nostra convinzione radicata, infatti, che il periodo d’inserimento aziendale sia un periodo fondamentale e particolarmente delicato al fine di un corretto sviluppo del rapporto tra neoassunto ed azienda. Non è senz’altro il caso di scomodare al riguardo Konrad Lorenz ma siamo fermamente convinti che “l’ imprinting” anche in un contesto meno ecologico quale quellodi un’organizzazione complessa, influisca in modo determinante sulla comprensione dell’azienda e sull’interiorizzazione dei suoi valori da parte del neo-inserito. Ecco perché abbiamo ritenuto fondamentale partire da progetti che permettessero ad alcuni neoassunti un inserimento nuovo, molto più strutturato e monitorato.

Abbiamo chiamato i progetti “Are you ready?” e “Wanna sell?” con una chiara lettura provocatoria indirizzata a giovani che avessero prima di tutto la voglia di cominciare in modo aperto ed in qualche modo rischioso.

Prima di entrare nello specifico di ogni progetto, ci preme soffermarci sulla logica che ci ha spinto a intraprenderli. Una logica per niente legata al desiderio di competere nel mercato della spartizione dei talenti. Anzi, chiariamo subito: nella nostra realtà non parliamo di talenti, non ci piace. Ci fa pensare a qualcosa di geniale e il genio non sempre serve all’organizzazione. Non ci servono persone che, solo con una bella intuizione pensano di stravolgere il sistema e prendere applausi, ma persone che sanno anche interpretare il valore dell’azienda e contribuiscono a farlo crescere, rispettandolo e lavorando in squadra con chi in azienda c’è già.

I due progetti “Are you ready?” e “Wanna sell?” hanno un “minimo comun denominatore”: non essere un premio per talenti, ma un attento percorso di selezione e sviluppo per chi si “fa in quattro” e, pur essendo brillante, ha l’umiltà e la pazienza di collaborare e la tenacia per aiutare l’azienda ad evolvere.

Non sempre i giovani si dimostrano in questo senso “pronti” e, se possiamo aggiungerlo, sono proprio quelli etichettabili come “talenti” ad esserlo meno.

E’ indispensabile a questo punto, rendere più esplicito cosa significa per noi essere “pronti”?

Perché è proprio qui la questione. Pronto per noi significa veloce, preparato, deciso, spigliato, disposto alla “gavetta”, dotato di una visione internazionale, almeno potenzialmente in grado di “leggere i numeri” e di comprendere i processi. Un giovane “pronto” sa mettersi in gioco, è capace di rompere gli schemi, è propositivo. Probabilmente potremo sintetizzare quello che cerchiamo con un termine ormai consueto l’intraimprenditorialità: il giusto mix tra intraprendenza e imprenditorialità.

Nella maggior parte dei casi, però, durante i nostri numerosi colloqui di selezione i giovani si dimostrano lontani da questa definizione: molti ritengono, con la laurea e con un master dal nome altisonante, di essere giunti ad un punto di arrivo e non ad un punto di partenza, hanno la pretesa che le aziende gli creino dei percorsi di carriera senza nemmeno porsi il dubbio di riuscire a dare un contributo. Sono più interessati allo stipendio e al livello di inquadramento, che serve loro per potersi misurare nel confronto con colleghi o amici, che non al contenuto della professione che andranno a svolgere.

Non da molto ci è capitato di ricevere una telefonata in cui un neo laureato di 26 anni, che non aveva ancora scritto alcun Curriculum Vitae, ci chiedeva con quale master avrebbe fatto meno fatica ad entrare in azienda, presupponendo che senza master sarebbe stato impossibile accedere ad un lavoro. Alla fine della telefonata, non siamo riusciti a convincerlo che poteva scrivere un c.v. e chiedere la possibilità di iniziare con uno stage: lo stage per lui era una perdita di tempo. Nella testa dei giovani oggi il teorema del buon candidato all’assunzione è: studio-viaggio premio all’estero-master. Solo dopo queste prove imprescindibili che servono secondo loro ad attestare che si è brillanti e talentuosi, si inizia finalmente a lavorare, con la pretesa, però, visto che si è dei talenti, di avere dei vantaggi rispetto agli altri.

Questo è il nostro grosso problema nella fase di selezione: troviamo pochi giovani “pronti”. Quindi, i nostri progetti sono stati orientati proprio alla selezione e allo sviluppo di questi giovani.

Con il progetto “Are you ready?” ci siamo focalizzati sul reclutamento di giovani di culturale internazionale, sia all’interno che all’esterno dell’azienda, che avessero una forte motivazione verso una carriera indirizzata in una delle tre funzioni di line di Benetton: commerciale, operation, stile.

Per trovare il giovane “pronto” non abbiamo cercato tecnicismi, ma forma mentis e grande entusiasmo nel lavoro e nel collaborare per dare nuove idee e sviluppo all’azienda. Non siamo stati attratti da persone costruite con il forte contributo dei genitori e che subiscono un percorso di formazione senza però crederci veramente. Non ci interessava il master super specialistico o il viaggio all’estero che non fosse stato anche vera esperienza di vita.

Visto che il valore per noi è l’intraimprenditorialità, abbiamo privilegiato persone che hanno dovuto iniziare presto ad essere indipendenti, ai quali la vita ha impresso la necessità di essere perspicaci, veloci, intuitivi e incisivi.

Abbiamo quindi lanciato contemporaneamente alcune iniziative interne all’azienda che ci hanno permesso di far emergere tra i giovani già presenti, quelli più intraprendenti, preparati e con forte orientamento allo sviluppo personale, e parallelamente una selezione all’esterno che ci ha portato ad individuare 13 giovani.

Con il progetto “Wanna sell?” abbiamo invece cercato dei giovani da inserire solo nella direzione commerciale, giovani che evidenziassero di avere un cromosoma ben definito all’interno del loro DNA: la capacità e la voglia di vendere. Cercavamo giovani “pronti” a vendere.

Per i 6 giovani selezionati, abbiamo costruito un percorso di “selezione on the job”: 3 mesi di lavoro e formazione in uno dei nostri negozi e 3 mesi di lavoro e formazione all’interno i una delle nostre Agenzie di rappresentanza. Soltanto chi dimostra di essere “pronto” a vendere, viene inserito all’interno della nostra Direzione Commerciale per concorrere al ruolo di Area Manager o di Product Manager.

Per questo piccolo “vivaio”, creato attraverso i due progetti, abbiamo costruito un percorso lavorativoche permette loro di operare a stretto contatto di un manager Benetton che è il loro “mentore”, entrando così direttamente a contatto sia con la complessità organizzativa e che con la dimensione più strategica dell’azienda. Il collegamento diretto tra le responsabilità del neo-inserito e del loro “mentore aziendale” ci ha permesso di far nascere un nuovo livello di attenzione e sensibilità verso questi processi d’inserimento in tutta l’azienda.

Il fatto di aver selezionato tra i manager coloro che erano più coerenti con il ruolo di “mentore” edi verificarne in itinere la loro disponibilità e capacità, è stato sicuramente uno dei primi tasselli che abbiamo deciso di costruire per realizzare il sistema di coerenze tra ambiente interno e nuovi-inseriti.

I giovani inseriti, durante il corso dei progetti, hanno l’opportunità parallelamente alla loro normale attività lavorativa di partecipare sia a dei project-work interfunzionali che ad attività d’aula che investono sia sulle loro competenze professionali che personali. Tutti i partecipanti al progetto sono sottoposti ad un continuo monitoraggio e ad un sistema di valutazione a 360° che contribuisce ad evidenziarne punti di forza e debolezza.

Entrambi i progetti, infine, sono caratterizzati da verifiche periodiche che portano in alcuni casi i giovani neo-inseriti alla presentazione dei project work o al “collegio dei mentori” o alla fine del primo anno, nel caso del progetto Are You Ready, direttamente al Ceo di Benetton Group. Il senso di questeverifiche è di far capire ai neo-inseriti che questi progetti non sono degli investimenti a “fondo perduto” che già dal loro ingresso in azienda devono imparare a mettersi alla prova a verificare concretamente le loro potenzialità, così facendo noi crediamo da una parte di dare agli sforzi e alla dedizione dei neo-inseriti la possibilità di essere riconosciuti concretamente e dall’altra di dare all’azienda un’ulteriore step di verifica di chi tra questi giovani, alla prova dei fatti, merita di proseguire nel progetto e quindi presumibilmente possa essere ritenuto una risorsa su cui puntare nel futuro.

4. Conclusioni

Il consolidarsi di una sempre maggiore consapevolezza verso i fattori “intangibles” dell’organizzazione e tra questi il valore e la criticità del fattore umano, hanno creato già da qualche decennio un’attenzione e una dedizione sempre più sentita verso la ricerca e lo sviluppo di “giovani brillanti”, chiamati anche risorse critiche o per amor di sintesi“talenti”.

Tutto risale all’inizio degli anni Ottanta. L’analisi della McKinsey (1998), dal titolo emblematico “War for talent”, aveva evidenziato come l’origine della ricerca dei talenti sia legata alla nascita della società dell’informazione: il valore globale di un’impresa inizia a non essere più misurato soltanto dagli asset tangibili, quali capitali, fabbriche, macchine, ma soprattutto, dagli asset intangibili, come il brand, il capitale intellettuale, il talento. Il successo del business aziendale diventa strettamente correlato al knowhow delle persone. Negli anni Novanta, l’esplosione della net-economy e della globalizzazione, ha accentuato l’importanza della “Guerra dei Talenti”.

A parte la poco azzeccata metafora bellica – utilizzata forse perché l’arte della guerra sta nello scegliere gli uomini migliori – sul concetto di “talento”, comunque, sono stati versati fiumi d’inchiostro per riuscire a riempire questa parola di contenuto oggettivo ed il più possibile omogeneo, ci sembra di poter dire però che le conclusioni portano tutte verso la relativa possibilità di rendere il concetto omogeneo ed esportabile da azienda ad azienda. Il significato di “talento”, infatti, muta al variare del mercato, dell’azienda e probabilmente anche del momento storico congiunturale in cui si analizza. E’ evidente che, metodologicamente, il fatto di non poter condividere in modo preciso lo stesso modo sintetico di interpretare il “talento” non agevola sicuramente il dibattito.

Rimane il fatto, in ogni caso, che ogni azienda oggi è fortemente ingaggiata a cercare, attrarre e successivamente gestire e sviluppare e i migliori giovani presenti nel mercato del lavoro e i giovani più performanti all’interno delle organizzazioni.

Oggi le società di ricerca e selezione si sono addirittura specializzate in questo segmento di mercato, fornendo supporto alle aziende e mettendo a loro disposizione strumenti e tecniche per accaparrarsi i “talenti” migliori, prima che in questo riescano i competitors.

Dopo iter spesso complessi ed onerosi di selezione, alcune aziende cercano di trasferire il più velocemente possibilele loro conoscenze “forti”, il loro know-how distintivo a questi giovani, i quali però spesso si dimostrano molto difficili da gestire perché sempre tendenzialmente insoddisfatti delle attività che stanno svolgendo e con l’ansia continua di voler fare qualcos’altro.

Un’azienda deve invece avere il tempo di consolidare le proprie conoscenze permettendo al proprio team interno di amalgamarsi e di sedimentare il frutto delle esperienze acquisite, all’interno di questo processo di sedimentazione di esperienze vi è anche l’inserimento di nuovi manager o di nuovi giovani che possono creare anche situazioni o presupposti per importanti innovazioni. Se l’innovazione nasce molto spesso da un’idea brillante, che scaturisce da una mente talentuosa, è anche vero che nulla si consolida se, ad affiancare la persona di talento, non ci sono persone operative che innestano la nuova idea nel sistema organizzativo di cui fanno parte e la mettono in pratica con pazienza e laboriosità. Lo stesso Isaac Newton affermava: “se ho fatto qualche scoperta di valore, ciò è dovuto più ad un’attenzione paziente che a qualsiasi altro talento”.

Bisogna, quindi, secondo noi evitare di creare misunderstanding: non è assolutamente vero che il “nuovo” è il “talento” portatore di cambiamento ed il “vecchio” è il follower che consolida e rende sicura e consolidata l’evoluzione. L’agente di cambiamento positivo, quello che genera valore aggiuntivo per l’azienda può essere “giovane” o “vecchio” non è una questione di anagrafica o di anzianità aziendale è questione di energia, motivazione, competenza e spesso anche di abilità politica organizzativa.

Secondo noi questa è la vera sfida delle moderne organizzazioni cercare di generare un sistemaosmotico tra azienda e mercato del lavoro che crei un ciclo virtuoso di coerenza tra performance economiche-nuovi inserimenti-valori dell’azienda-competenze consolidate-senso di appartenenza.

Riteniamo, quindi, non si debba più parlare di “guerra dei talenti” perché spesso questo ha generato nelle aziende, in perfetta buona fede, il costituirsi di piccole “tribù di nei-inseriti” che lentamente ma inesorabilmente sono state emarginate e trasformate in vere e proprie “riserve indiane”.

La centralità dello sviluppo del patrimonio umano come asset fondamentale di capitalizzazione del valore anche economico di un’azienda, rimane veramente una questione centrale della vita di qualunque realtà organizzativa. Conseguentemente il tema di come attrarre e poi gestire al meglio persone di valore dal mercato del lavoro è senz’altro una costante sfida di ogni azienda in qualunque mercato. Noi crediamo che su questo dibattito,però, si debba togliere un po’ di enfasi alla questione dei “talenti” e si debba invece approfondire più analiticamente il modo di come rendere “osmotico” l’ambiente aziendale rispetto al mercato del lavoro. Siamo convinti, infatti, che in qualunque contesto organizzativo anche quello più attrattivo per motivi legati alla visibilità del brand o alla forza evocativa del mercato in cui un’azienda opera, come il fashion ad esempio, l’aspetto più delicato rimane la capacità di creare coerenza tra le risorse che entrano e l’ambiente che le riceve.

 

Bibliografia

Andrea Negrin – Francesca Voltarel

A.Cabigiosu, A.Camuffo, R.Cappellari - Mix & Match?- in Sviluppo & Organizzazione n.210, 2005.

A.Camuffo – Management delle risorse umane: casi e materiali didattici – Giappichelli, Torino 1993.

A.Camuffo, G.Costa – Strategia d’impresa e gestione delle risorse umane – CEDAM, Padova 1990.

A.Canonici – La gestione delle risorse umane come chiave del successo aziendale – F.Angeli Ed., Milano 2004.

Abstract da “Change Management Professional” : Newsletter dei professionisti della gestione del cambiamento nelle imprese, Giugno 2004.

B.Bolognini – Comportamento organizzativo e gestione delle risorse umane – Carocci, Roma 2001.

B.Bolognini – Il governo delle risorse umane: diagnosi e gestione – Carocci, Roma 2003.

D.Boldizzoni (a cura di) – Management delle risorse umane: dalla gestione del lavoratore dipendente alla valorizzazione del capitale umano – in “Il sole 24 ore” , Milano 2003.

D.Boldizzoni, L.Manzolini (a cura di) - Creare valore con le risorse umane: la forza dei nuovi paradigmi nella direzione del personale – Guerini, Milano 2000.

E.Oggioni, A.Rolandi (a cura di) – Performance improvement: il miglioramento delle prestazioni organizzative attraverso lo sviluppo delle competenze – ETAS libri, Milano 1998.

Ed Michaels, Helen Handfield-Jones, Beth Axelrod - The War For Talent – Harvard Business School Press, 2001.

Elizabeth G. Chambers, Mark Foulon, Helen Handfield-Jones, Steven M. Hankin, Edward G. Michaels III- The War for Talent - The McKinsey Quaterly, Number 3, 1998.

F.Ratti - Competenze e talenti: lavoro, persone, organizzazione – Guerini, Milano 2001.

G.Cocco – Sviluppo delle risorse umane negli ambienti competitivi – ISEDI, Torino 1991.

G.Costa - Gestione delle risorse umane anche per le piccole aziende - in “Il sole 24 ore” del 20.07.05, Milano 2005.

G.Costa, M.Gianecchini – Risorse umane: persone, relazioni e valore – McGraw-Hill, Milano 2005.

G.Fatali, G.Nardini, F.Sprega – Il coaching organizzativo: come allenare le risorse umaneall’apprendimento, al cambiamento ed all’innovazione – F.Angeli Ed., Milano 2002.

H.C.Weizmann, J.K.Weizmann – Gestionedelle risorse umane e valore dell’impresa: un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori – F.Angeli Ed., Milano 2001.

Il modello Jump System

Intervista a Roger Abravanel, direttore della società di consulenza strategica McKinsey in Italia, pubblicata su ArcVision n° 5, Rivista semestrale di Italcementi Group. Accoglie i contributi di personaggi di grande rilievo del mondo dell'industria, dell'economia e dell'architettura.

Jonathan Winter, Francesco Pimpinelli - La guerra dei talenti - Espansione, n°6, 2001.

L.Simeon (a cura di) - La scuola dei talenti: affrontare le difficoltà di apprendimento nell’era globale – F.Angeli Ed., Milano 2002.

L.Solari – La gestione delle risorse umane: dalle teorie alle persone – Carocci, Roma 2004.

Le tre rivoluzioni

M.Colasanto – I laureati e l’impresa: la gestione delle risorseumane tra aspirazioni individuali e contesti organizzativi – F.Angeli Ed., Milano 1988.

Morgan G. - Images. Le metafore dell’organizzazione - Franco Angeli Editore, Milano 1989.

P.Seemann, N.Smallwood - Why Intangibles Matter – in Directorship del nov.2004.

Pierfranco Pellizzetti - La meritocrazia, un frutto fuori stagione - Hamlet n° 36, 2003.

P.Garibaldi – Economia delle risorse umane – Il Mulino, Bologna 2005.

S.Connock – La visione delle risorse umane: la visione d’una forza lavoro di qualità – F.Angeli Ed., Milano 1994.


1 - Direttore Risorse Umane & Organizzazione Benetton Group.

Pagina precedente

Indice dei contributi