BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/02/2008

 

BALBUZIENTI E AUTOMI

di Giorgio Ortu

Linguaggio umano
Osservo il linguaggio umano e subito noto tra le varie lingue una differenza di sostanza. Esistono infatti lingue più evolute di altre. Per evoluzione di una lingua intendo  la sua trasformazione, nel senso che una lingua  diviene più sciolta, più capace di dire con poche parole molte cose. Questa è un’evidenza. Prediamo per esempio la lingua italiana. Essa contiene più sinonimi della lingua inglese, sicché risulta più primitiva rispetto a quest’ultima. Nelle lingue dei primitivi attuali esiste una massa enorme di parole che designano le stesse cose, magari differenziate da piccolissime sfumature. Questo è uno spreco per la lingua, non è economico. Ma qui vado alle origini del linguaggio moderno. Per comprenderlo, bisogna partire da una domanda: come mai l’uomo di Cro-Magnon, che è databile attorno ai 35.000-40.000 anni fa, ha impiegato circa 25.000 anni per arrivare alla decisiva per l’uomo civiltà neolitica? E’ decisamente troppo tempo! La risposta va cercata nel tipo di linguaggio parlato da questo nostro antenato. Se il linguaggio moderno racchiude il reale entro categorie linguistiche rigide, tali che ritorna alla mente un mondo organizzato e coerente, allora il linguaggio moderno  degli uomini, che  chiameremo per comodità linguaggio astratto, si è evoluto da un linguaggio di tipo concreto, nel quale non esistevano parole stabili né struttura linguistica, e il legame tra le componenti linguistiche era tenuto dalle emozioni. Questa è un’ipotesi, ma consente di spiegare anche il fenomeno dei sinonimi nelle lingue astratte moderne, che trova le sue radici  nel linguaggio concreto dell’uomo di Cro-Magnon, dove una singola “cosa” veniva denotata con parole sempre diverse.  L’evoluzione verso il linguaggio moderno ha impiegato così tanto tempo perchè si è trattato di una trasformazione radicale, di struttura proprio ontologica da un linguaggio a un altro.
L’ipotesi sopra detta si rafforza se si connette la differenza tra i due tipi di linguaggio  con l’osservazione di   un fenomeno linguistico-psicologico che  esiste nell’uomo contemporaneo. Questo è un residuo dell’antica parlata concretistica di Cro-Magnon. Si tratta della balbuzie, la quale mostra l’atto del passaggio iniziale verso un linguaggio astratto che alla fine della sua evoluzione risulterà tenuto insieme come struttura solo  dalla logica e non più dalle emozioni. La balbuzie crea problemi psicologici a chi ne è portatore, diventa anzi psicologicamente drammatica perchè esprime un blocco del linguaggio astratto. E tale blocco non è altro che la riproduzione arcaica, presente in un individuo dei nostri giorni, del tentativo, che Cro-Magnon compì, di fermare in modo inconscio il flusso delle parole “concrete” sempre diverse per designare la stessa cosa che è proprio del linguaggio concreto. Cro-Magnon tentava di “fermare” il flusso delle parole concrete mediante una ripetitività di identici suoni linguistici. La ripetitività del balbuziente è quindi un ripercorrere l’evento traumatico che consentì all’umanità di inventarsi un linguaggio nuovo, appunto astratto, capace di racchiudere il mondo in rigide categorie, attraverso il blocco  di un linguaggio in cui le parole  non erano parole ma solo suoni verbali sempre diversi. La balbuzie è insomma una sintesi inconscia di linguaggio concreto, per l’ansia e l’emozione che esprime, e di linguaggio astratto, che si può vedere in un primo abbozzo di nascita di parole stabili allo scopo di fermare il fluire continuo delle parole. Sicchè risulta che in taluni individui particolarmente ansiosi ed emotivi scatti questo meccanismo della balbuzie, perchè il passaggio da un linguaggio a un altro è ancora troppo recente perchè non sia rimasto inscritto nei geni umani.
La Ragione si è formata in parallelo col linguaggio, e la scoperta dell’importanza di questo nuovo strumento linguistico dato dalla capacità di organizzare il reale,  ha talmente esaltato gli uomini che essi hanno trasformato in modo inconscio la Ragione in un simbolo potente.
Niente infatti colpisce alla radice  l’autostima di una persona più dell’accusa di mancanza di ragione, o insomma di stupidità. E questo appunto perchè la ragione e il suo possesso presso tutti gli uomini sono proprio un carattere genetico ereditato, e sono diventate un simbolo.
Si potrebbe però anche dire  che siccome la balbuzie esprime un residuo dell’antico linguaggio concreto,  è presumibile che essa sia scattata per la prima volta nel linguaggio umano quando, a linguaggio astratto appena  formato, è stata messa in discussione l’intelligenza o il possesso di ragione di qualcuno. Qui la ragione divenuta simbolo ha fatto scattare i  “complessi” che hanno dato vita alla balbuzie, vale a dire l’esperienza di frustrazione è stata trasmessa geneticamente, perché come i genetisti sanno le esperienze modificano i geni. Infatti, un attacco sul piano per esempio della moralità dà sempre la possibilità di una “fuga” o di una difesa anche aggressiva. Questo significa anche che esiste un’identificazione da parte degli uomini alla Ragione come simbolo. Distruggete il simbolo e distruggerete anche l’uomo.

Cognitivismo e cibernetica
Tutta la baluginante complessità dei simboli umani, che la psicoanalisi ha solo sfiorato, è comunque incomprensibile se si adotta un approccio cognitivista allo studio della mente umana. Perchè non si può ricondurre a razionalità apprensibile quel che invece è un magma incoerente e irrazionale, come sono i simboli umani. Sia che i simboli li si intenda in senso freudiano come determinati, sia che li si intenda junghianamente come indeterminati, è un fatto che essi sono capaci di orientare e anche guidare il comportamento umano. Si prendano due simboli molto potenti come quelli della “guerra” e della “pace”. Sembra evidente che essi sono capaci di mobilitare masse intere di popolo, diventando dei veri e propri criteri guida comportamentali. Si prenda un altro simbolo, quello del “denaro”. Anche qui ben si vede come ci sia un intreccio molto complesso di contenuti psichici e “oggettività”, tale che il simbolo del denaro è costituito anche di irrazionalita caotica.
Per i cognitivisti vale invece l’importanza del pensiero e della razionalità, che sarebbero capaci per esempio di produrre guarigione in una mente malata (con l’integrazione ovviamente dei farmaci), attraverso l’analisi che la ragione è in grado di fare di pensieri ed emozioni. Insomma, la mente è studiata dal punto di vista dei processi della conoscenza. Certamente in tali processi ci sono implicate anche le emozioni, e come tali vengono anch’esse studiate. Certo la mente ha una capacità computazionale, ma non è soltanto questo. La mente cerca per esempio anche il benessere del soggetto, può produrre anche malessere al soggetto portatore, nei casi in cui esistano per esempio sensi di colpa, mediante un complesso intreccio difficile da districare secondo una prospettiva puramente computazionale.
Pensieri quindi (la capacità computazionale della mente) ed emozioni sono le due componenti fondamentali della psiche umana, secondo la teoria cognitivista.  La teoria quindi oggi molto in voga del cognitivismo, connessa  alla teoria dei sistemi complessi e quindi anche alla teoria degli automi, crede di cavarsela riconoscendo l’importanza nell’uomo dell’emozionalità. Le emozioni appaiono all’esterno, e appare qualcosa tramite il linguaggio che può richiamare alla mente anche i pensieri. Tutto quel che vi è di inconscio nella psiche umana, i complessi, le fobie, le paranoie immotivate, e tutto il marciume che gli uomini si portano appresso, tutto questo semplicemente non esiste. E non esiste neppure la potente e baluginante intuizione, perchè la mente è vista in termini computazionali, di processi “discorsivi” o “procedurali”. L’intuizione invece consente  spesso di risolvere un problema difficile, sia esso di matematica o di mera esistenza.
Ma l’inconscio non potrà mai neppure essere scardinato o controllato dalla razionalità,  se si continua a restare ancorati al mito degli automi. Agire sul pensiero o sulle emozioni, behavioristicamente o “cognitivisticamente” non è sufficiente. Serve una teoria nuova  che inglobi la psicoanalisi e che sia capace di afferrare l’insieme dei simboli umani. Questa teoria
dovrà sfruttare anche la conoscenza del cervello e della mente come formanti un campo elettromagnetico. Perchè fisicamente i simboli sono di natura elettromagnetica. Solo sulla base del pensieri e delle emozioni è impossibile spiegare la storia umana, non si può rendere conto delle violenze e delle brutture della storia, né delle sue altezze. Se è vero che le emozioni sono irrazionali, è anche vero che i grandi movimenti della storia, la Storia insomma, ha un percorso inconscio-simbolico, non è pre-determinata dalla consapevolezza e dalla volontà degli uomini. Non si può comprendere il suo girovagare verso strade che conducono anche al nulla di un labirinto, che conducono alla fatica estrema di essere uomini. E non si può spiegare neppure la psiche di un singolo individuo.
Ma tutto ciò è storicamente comprensibile. Il cognitivismo è una teoria del Novecento. E nel ‘900 la Ragione stava per essere sepolta dal disordine del mondo e delle menti: guerra e devastazione era il mondo. La psicoanalisi dava ragione di questo. E se il cognitivismo si è contrapposto al behaviorismo lo deve anche all’influsso esercitato sulla cultura dalla psicoanalisi. Ma gli uomini di scienza, i matematici e i neurobiologi,  i cibernetici sono stati terrorizzati dalla psicoanalisi, cui hanno risposto con un orgoglio smisurato cercando risposte ai quesiti ultimi della mente umana nelle macchine  e nella teoria dell’uomo-macchina. Il balbuziente e gli automi, dunque. Il primo sembrerebbe una macchina inceppata da qualche meccanismo fuori posto. Ma così certamente non è. Perchè se è possibile fare l’ipotesi che si possa costruire un automa dotato di emozioni oltre che di pensiero, resta sempre l’involontarietà del meccanismo della balbuzie che induce a collocarlo dal punto di vista psichico nella sfera dell’inconscio. E i “processi” che sottostanno all’inconscio non sono computabili né razionali, ma potrebbero essere invece di natura quantistica, tali che procedono “a salti” e in modo casuale. Certo, l’inconscio è energetico, ma questa energia è un magma ribollente che non ha leggi, o ha soltanto le leggi della probabilità statistica.

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