BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 06/12/2004

MÖBIUS ORGANIZATION

IL BENCHMARKING DEL GAMBERO. OVVERO, LE IMPLICAZIONI DELLE MISURE DI PREVENZIONE “GENERALMENTE” UTILIZZATE
di Attilio Pagano

Nella relazione introduttiva alla proposta di Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro elaborata dal Governo, in attuazione della legge 29 luglio 2003, n. 229, sono contenute molte cose condivisibili. Peccato che, in diversi casi, esse vengano contraddette dall’articolato di legge proposto.

Un elemento particolarmente convincente della relazione è il richiamo all’esigenza di legare il tema della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori alla “creazione di vere e proprie linee guidache si traducano in reale aiuto alle imprese, anche sotto il profilo organizzativo – gestionale, il tutto per favorire l’attuazione del management by objectives, al fine di assicurare l’effettivo svolgimento dei compiti assegnati ed il conseguimento dell’obiettivo della massima sicurezza possibile, il mantenimento nel tempo dei livelli di sicurezza raggiunti ed una consequenziale implementazione degli stessi”.

Il superamento, culturale e organizzativo, dell’isolamento della prevenzione rispetto alla generalità delle funzioni manageriali costituisce un fondamentale obiettivo del rapporto tra istituzioni e imprese. Ciò trova una precisa corrispondenza nel passaggio da un modello di prevenzione tutto esclusivamente centrato su prescrizioni di sicurezza intrinseca di ambienti, macchine, attrezzature, sostanze e procedure, (che poteva, forse, essere valido permodelli di impresa e di organizzazione del lavoro oggi del tutto inattuali) a un modello in cui, a fianco della sicurezza intrinseca, si realizzino, negli spazi discrezionali di ogni ruolo organizzativo, crescenti condizioni di sicurezza soggettiva.

Proprio perché nelle imprese di oggi è imprescindibile un riferimento ad ambienti mutevoli e a modelli organizzativi flessibili, anche per la sicurezza sul lavoro, l’orizzonte non può essere più solo quello della prevedibilità nella stabilità (e conseguentemente, di una prevenzione basata solo sulle “regole”), ma quello del continuo adattamento e dell’innovazione (e, dunque, di una prevenzione basata anche su “obiettivi”).

Le imprese, è ovvio, devono cercare di realizzare obiettivi di performances, cercando di sostenere le sfide della competizione con strategie di miglioramento continuo. Nella letteratura manageriale queste azioni vengono chiamate benchmarking. Esse consistono nel traguardare le prestazioni migliori nell’arena competitiva e puntare a eguagliarle, a superarle. Evidentemente, il rispetto delle regole costituisce la base minima per partecipare alla gara competitiva. Ma per vincere la gara, per mantenere alte le prospettive temporali di sviluppo e di soddisfazione dei vari portatori di interessi, è necessario andare oltre i minimi dettati dalle regole. Ecco dunque il senso del benchmarking. Ed ecco che questo concetto viene (finalmente, diciamolo) accostato al tema della prevenzione dei rischi per salute e sicurezza. Il bello, infatti è che non solo il concetto, la filosofia, ma proprio la stessa parola benchmarking appare a più riprese nella relazione introduttiva, lasciando intravedere un orizzonte temporale in cui parleremo non più soltanto di tutela, ma anche di promozione della salute e del benessere lavorativo.

 

Piano, piano con i sogni… Andiamo a leggere la legge, dopo esserci compiaciuti della relazione (o, almeno, di alcune sue parti). Ecco che scorrono i primi articoli, ed ecco l’articolo 6 “Misure generali di tutela”. Vediamo il primo comma e le lettere b) e c) che concorrono a specificarlo:

b) eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico mediante misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili nei diversi settori e nelle diverse lavorazioni in quanto generalmente utilizzate;

c) riduzione dei rischi alla fonte secondo le applicazioni tecnologiche generalmente praticate nel settore di attività dell’azienda o dell’unità produttiva;

 

Avete letto bene, c’è proprio scritto “generalmente utilizzate” (o praticate). Non c’è scritto “in quanto siano utilizzate (o applicate)”, che già pure costituirebbe una limitazione rispetto al concetto di utilizzabili (o applicabili).

Bene, e il benchmarking, che fine fa? Altro che guardare avanti, al miglioramento continuo, alla individuazione di fattori competitivi sempre più avanzati, qui il legislatore ci dice di guardare non ai fattori di competizione, ma a quelli di adeguamento alla generalità delle cose; in altre parole di guardare indietro. Il benchmarking del gambero appunto.

Ovviamente, le implicazioni più gravi di questa lettura un po’ particolare del benchmarking proposta dal Governo non riguarderanno le misure di prevenzione intrinseca. Per quanto ricollocate nella dimensione delle norme di buona tecnica, esse dovrebbero, almeno nelle intenzioni, restare un livello minimo di obblighi. Ma che cosa potrà succedere alle misure di prevenzione meno disciplinabili e meno proceduralizzabili, che, guarda caso, sono quelle che investono più direttamente la componente soggettiva della prevenzione come, a esempio, l’informazione e la formazione?

La generalità delle imprese fa formazione adottando metodi quantomeno discutibili per quanto riguarda le scelte progettuali e attuative. Si torni a vedere il Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del D.Lgs. 626/94 del Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro e della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome: “tra gli strumenti utilizzati nell’attività formativa prevalgono quelli unidirezionali e scarsamente interattivi: la distribuzione di materiale è lo strumento più utilizzato (68% dei casi), seguito da corsi basati solo su lezioni frontali (57%); le esercitazioni (42%), i lavori di gruppo (24%) e le simulazioni (22%) sono molto meno utilizzati”.

 

Ora è ben noto che progettare e attuare esercitazioni, lavori di gruppo, simulazioni è molto più impegnativo e costoso che non progettare e attuare la distribuzione di materiale o le lezioni frontali. Ed è altrettanto noto che, soprattutto per gli scopi di apprendimento nelle aree comportamentali (quelle cruciali per lo sviluppo di una prevenzione anche “soggettiva”), sono proprio le esercitazioni, i lavori di gruppo e le simulazioni ad assicurare la maggiore efficacia formativa.

Ammesso che una strategia di benchmarking avrebbe potuto suggerire a un’impresa di provare a investire nella formazione efficace, che cosa potrà suggerire, con l’entrata in vigore del Testo Unico così come è stato proposto, la strategia del “benchmarking del gambero”? Chi glielo va a dire a un’impresa che si può fare una formazione più efficace, quando la stessa legge dice che è possibile adeguarsi a quello che fa la generalità degli operatori del settore? E chi glielo va a dire a quell’impresa che aveva già investito che è razionale continuare a investire nella formazione efficace, quando si può, ‘guardandosi alle spalle’, fare come la generalità degli altri?

 

Ciò che emerge da questa intromissione delle misure “generalmente” utilizzate (o applicate) è una concezione della prevenzione come costo e non come investimento. Una concezione che renderà sempre più difficile fare emergere i costi della mancata prevenzione e che maschererà come ‘razionali’ scelte che danno per acquisito il fatto che occuparsi della salute, della sicurezza, del benessere dei lavoratori è una cosa accessoria nel campo delle scelte manageriali. Una concezione che renderà definitivamente vani e ‘utopici’ (nel senso ridicolo del termine) gli sforzi di esplicitare e internalizzare i costi della mancata prevenzione e che svuoterà di senso i discorsi sulla responsabilità sociale delle imprese.

Non c’è che dire, un bel passo da gamberi.

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