BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/04/2007

UNA FACCENDA DI DEMOCRAZIA? PRESENTE E FUTURO NELLE (E DELLE) AZIENDE. SCAMBIO DI RIFLESSIONI CON PAUL GINSBORG

di Riccardo Paterni 

Viareggio, 23 marzo 2007, ore 21.30. Nuotata nei concetti e nelle pratiche della democrazia (quella vera). Allenatore: Paul Ginsborg che si ispira a idee e strumenti tratti dal suo libro più recente La democrazia che non c'è, Einaudi. Preparatissime assistenti all'allenatore: la Sig.ra Cristina e la Sig.ra Daniela che rappresentano l’ente organizzatore della nuotata: l’Associazione ‘Laboratorio per la Democrazia - Viareggio Democratica’. La Sala Rappresentanza del Comune è piena di aspiranti nuotatori; appartengono un po’ a tutte le età, un popolo variopinto (molti di loro sono i membri dell’associazione stessa che accoglie indistintamente atleti provenienti dalla più ampia gamma di ‘scuole’ preparatorie) e con una vera passione per questo antichissimo (ma sempre verde e sempre acerbo sport; tristemente ancora poco diffuso); alcuni, come il sottoscritto, si sono messi sul trampolino della prima fila pronti al tuffo.
Una questione di testa e di cuore
Cristina coordina gli esercizi di preriscaldamento; il ritmo é deciso e incalzante con uno stile sereno e determinato. Ecco alcuni strumenti di preriscaldamento: "Cos'è la politica? Per noi la politica é il lavoro per il bene comune e per migliorare le cose”. “Siamo persone che non ci accontentiamo perché sentiamo che è possibile realizzare qualcosa di meglio facendo tesoro dei nostri percorsi e delle nostre identità”. Qua ci sono parecchie persone che il ‘68 lo hanno vissuto in prima persona e, nel bene e nel male, ne hanno fatto tesoro; i loro occhi e il loro linguaggio lo dimostrano. Ecco dichiarato un obiettivo chiaro della nuotata: “stare insieme umanamente”; concetto potentissimo e coinvolgente proprio grazie al modo schietto e diretto con cui è espresso.
Daniela continua a scaldare gli aspiranti nuotatori entrando sempre più specificamente nel programma di riflessione e azione articolato dall'allenatore (programma che invito tutti a consultare; ‘La democrazia che non c’è’ - alla terza ristampa, trentamila copie vendute ad oggi - ha stimolato parecchio interesse e critiche da parte dei media - l’autore commenta orgoglioso di critiche del Corriere e del Sole24Ore “Vuol dire che ho colto nel segno” - facendo di Gisborg un personaggio recentemente richiesto anche dai talk-show della TV: Santoro, Dandini, Lerner) porta effettivamente a flettere i muscoli; soprattutto quelli del cervello. Daniela invita l’allenatore ad approfondire alcuni temi chiave quali: la famiglia come ‘fulcro’ di riflessione e azione; democrazia e genere e il ruolo dei partiti (anzi, è più corretto dire ‘la mancanza di ruolo dei partiti’) in tutto questo.
Paul Ginsborg di persona è veramente ciò che ci si aspetta leggendo i suoi lavori: autorevole e affabile; molto colto e altrettanto capace di sintonizzare il suo messaggio alle caratteristiche dell’audience; elegante e simpatico nello stile; tagliente e deciso nei contenuti. Riesce, con serenità a ‘dare un nome alle cose’ a contesti e situazioni portando la nuotata su piani di concreta espressione e apprendimento. E’ insomma il tipo di allenatore che ti porta rapidamente e, apparentemente senza sforzo, a spingerti avanti nell’agitato mare della ‘democrazia’: stimola in te il ritmo giusto fra poderose bracciate e capienti boccate d’aria che in modo costante e ritmato fanno funzionare bene sia la testa che il cuore.
E’ venerdì sera, tutti siamo stanchi dalla settimana lavorativa appena trascorsa, ma la nuotata ci invigorisce. L’allenatore è bravo ad illustrare con concretezza ed esempi pratici e reali cosa significhi essere veramente a proprio agio nelle acque della ‘democrazia (quella vera)’, contribuendo a renderle sempre più trasparenti e pulite stimolando noi aspiranti nuotatori ad ‘attrezzarci’ per gestire onde e correnti anomale lungo il percorso. Noi aspiranti atleti iniziamo a capire che per rendere questo mare veramente democratico e realmente un luogo nel quale si possa “stare insieme umanamente” è fondamentale assumere un ruolo “attivo e dissenziente”, concetto ripreso dalle riflessioni di Stuart Mills. Si, perché la democrazia, quella vera, è quella in cui c’è reale partecipazione, reale coinvolgimento attivo e non conformista nella sua essenza di critica costruttiva volta al “migliorare le cose”. Ginsborg illustra alcuni esempi concreti di partecipazione diretta delle persone al processo decisionale (ad esempio tutto il procedimento di consultazione popolare - chiamato E-Town meeting che ha portato alla formulazione della legge regionale Toscana sulla partecipazione; legge ancora in fase di approvazione).
1977 e dintorni
L’allenatore allarga ora la discussione anche agli aspiranti atleti. Come sempre avviene in queste occasioni, c’è silenzio in sala “Chi sarà il primo ad alzare la mano?” “Chi sarà il primo a tuffarsi?”. Alzo la mano, Ginsborg mi fa cenno di avvicinarmi al tavolo dei relatori. Il filo del microfono è cortissimo e non ne vuole sapere di collaborare. Va a finire che per non dare le spalle all’audience quasi mi siedo sul tavolo. Guardo negli occhi Ginsborg, mi presento con due parole e faccio riferimento al concetto di partecipazione e democrazia industriale che lui ha evidenziato nel libro (pag.112):
“Nel 1977 a Milano fu pubblicato un saggio sulla partecipazione e democrazia industriale. Esortava a realizzare la ‘democrazia industriale’ in tre settori: nella struttura sociale circostante il posto di lavoro, nella struttura delle imprese stesse e nel processo produttivo. In queste proposte non vi era nulla di straordinario, se non che gli autori non erano ne sindacalisti né politici di sinistra, ma il comitato centrale dei giovani imprenditori dell’industria (*). Da allora abbiamo fatto molti passi indietro”.
Faccio presente che concordo con questa sua riflessione ma al tempo stesso metto in evidenza che a distanza di trenta anni alcune cose sono cambiate nelle dinamiche che riguardano i mercati e conseguentemente la gestione delle aziende: di fronte alla globalizzazione le aziende hanno sempre più bisogno di innovare, di idee e soluzioni fresche e dinamiche per mercati in continua evoluzione. Questa a mio parere rappresenta la forza dall’esterno che stimola l’implementazione di processi di democrazia partecipativa in azienda. Le mie non sono semplici e speranzose teorie, di fatto collaboro con aziende che sentono la necessità di far esprimere al meglio tutto il sapere che hanno: aiuto aziende a sviluppare ‘modelli di leadership’ che consistono nel far emergere principi guida di gestione condivisi dal gruppo, principi volti a far esprimere alle persone i loro talenti, punti di forza e conoscenze (intese come il sapere, é chiaro! non cadiamo subito nelle ‘gabbie delle parole’ all’italiana!).
‘Capitalismo Illuminato’ e ‘Capitalismo Tiranno’
La cosa interessante è che quando mi trovo in contesti in cui l’imprenditore o il management sono particolarmente aperti a questi nuovi approcci gestionali, si creano di fatto strumenti di decisionali e operativi di vera partecipazione in cui tutti i livelli aziendali hanno modo di esprimersi; ed è bellissimo osservare che questi strumenti stimolano rapidamente un senso di costruttivo ‘attivismo dissenziente’ che porta ad identificare soluzioni concrete a problemi e sviluppare opportunità di crescita. Nel mondo d’oggi le idee, il sapere necessario al successo aziendale, non possono essere (e non sono) nella testa di pochi; attivare processi di partecipazione vera in azienda non è solo eticamente e moralmente corretto è anche pragmaticamente vantaggioso da un punto di vista gestionale. Fra l’altro da un punto di vista sociologico è interessantissimo riscontrare il forte parallelo operativo e di risultato (in termini di idee ed energie generate) presente fra gli strumenti della democrazia partecipativa da un punto di vista sociale ed aziendale. A mio parere sono due laboratori che possono integrare gli apprendimenti che sviluppano, anzi laboratori che possono imparare parecchio l’uno dall’altro.
Ginsborg è attento, con il suo sguardo mi da l’impressione che mi stia ascoltando con interesse; do un’occhiata all’audience e vedo parecchi sguardi accigliati nei quali leggo “Ma di cosa sta parlando questo?”. Siamo a Viareggio, il settore cantieristico tira moltissimo alimentato dalle forze del... precariato... Ginsborg mi ringrazia ed è svelto a commentare che quello di cui io parlo è un tipo di ‘capitalismo illuminato’ che è presente ed emergente, indubbiamente da incoraggiare ma che si contrappone ad un diffuso ‘capitalismo tiranno’. Daniela commenta che è difficile parlare di democrazia partecipativa in azienda quando è il sistema del precariato a farla da padrone. L’idea è che mentre il ‘capitalismo illuminato’ è quello appunto visionario, che guarda avanti, che costruisce saldamente il presente per proiettarsi altrettanto saldamente nel futuro; il ‘capitalismo tiranno’ è cieco da un punto di vista di visione, mira a ‘spremere’ tutto e subito oggi, al domani si vedrà. Riflettiamo che anche il sistema stesso del precariato contribuisce appieno allo scopo...
Insomma, la nuotata democratica nei mari aziendali è impervia: si, da un lato certi mari mossi portano a fare della democrazia partecipativa (e Ginsborg chiarisce “non solo della democrazia consultativa” - non basta sentire l’opinione dei lavoratori, bisogna coinvolgerli direttamente nella fase deliberativa) una soluzione pragmaticamente vantaggiosa; dall’altro è il potere in mano ai pochi che continua a farla da padrone e a rafforzarsi ancora di più. Mi vengono in mente vari spunti per approfondire ma non c’è tempo, non voglio che l’audience mi consideri un incurabile caso clinico in perenne stato di allucinazioni (magari lo sono anche, non è questo il problema); lo farò direttamente con Gisborg con il quale siamo rimasti d’accordo di restare in contatto. In ogni caso quando torno al mio posto un signore mi segnala un’organizzazione di Incisa Valdarno che mette in pratica alcune di queste idee. Grazie. Approfondirò.
Democrazia partecipativa in azienda. L’esperienza di Ricardo Semler e della SEMCO
Queste sono le riflessioni che avrei voluto fare: una democrazia di ‘soggetti attivi e dissenzienti’ per dirla alla Mills, è ciò di cui aziende che veramente vogliono essere protagoniste del presente e del futuro devono adottare. E’ finita l’epoca dei ‘grandi capitani d’impresa’ che accentravano tutto e tutti (e magari quest’epoca non c’è neanche mai stata, andiamo a vedere come funzionavano veramente le loro aziende e probabilmente ci renderemo conto che il successo era anche, se non soprattutto, legato ad ottimi, sapienti e attivi marinai) siamo nell’era delle conoscenza (o meglio del sapere - altrimenti continuiamo ad ingarbugliarci con i nostri schemi fissi all’italiana) siamo nell’era in cui le aziende riescono a crescere e svilupparsi se ‘producono concreto valore aggiunto nelle percezioni del cliente’ e questo è un principio chiave che tutti in azienda dovrebbero condividere. Attenzione: la democrazia partecipativa porta maggiore coinvolgimento, potenzialmente rende il lavoro meno alienante ma richiede un forte e costante senso di impegno, responsabilità e azione da parte di tutti. Tutti dovrebbero conoscere i propri punti di forza e punti di debolezza e si dovrebbe costantemente cercare di fare si che le persone siano in ruoli in cui possano fare leva sui punti di forza e ridurre al massimo l’impiego dei propri punti di debolezza.
Ci sarebbe molto da dire per articolare meglio questi concetti. Già ne abbiamo parlato facendo riferimento al lavoro svolto da venti anni a questa parte da un ‘capitalista illuminato’ brasiliano, Ricardo Semler. Un tipo che a suon di stranezze gestionali è riuscito a catturare l’attenzione della Harvard Business School che lo ha assunto come ‘visiting scolar’ per capire veramente cosa gli giri in testa visto il successo della sua azienda, la SEMCO. Vi invito a leggere, o rileggere, alcune cose che abbiamo già pubblicato in merito a Semler: una recensione del suo libro più recente The Seven Day Weekend - Changing the Way Work Works e un articolo dal titolo “Trattiamoci da adulti informati e responsabili. Una prospettiva interculturale”. Riguardo a Semler ho anche notato che in questi giorni circola in libreria un suo libro tradotto in Italiano dal titolo “Senza gerarchie al lavoro, Bompiani. Vi invito a leggerlo per farvi un’idea concreta di democrazia partecipativa in azienda; al tempo stesso faccio anche notare che questa è la traduzione del primo libro di Semler (scritto quasi quindici anni fa) e non quella del suo libro più recente sopra menzionato che è anche arricchito dalle illuminanti esperienze della SEMCO negli ultimi quindici anni. Perché pubblicare di nuovo un libro già tradotto in Italiano parecchi anni fa e non tradurre il lavoro più recente dell’autore sugli stessi temi? Mah, spero che ci sia sotto una strategia di marketing volta ad invogliare i lettori con il primo libro per poi subito dopo pubblicare anche il secondo, in ogni caso vi invito a consultare la recensione che ho indicato sopra per farvi un’idea delle idee fresche di Semler. E, per favore, non etichettiamole subito con ‘ma sono cose che funzionano solo in Brasile’ in Italia non funzionerebbero mai; ho riscontri personali che questo non è assolutamente vero. Sono pronto a fornire prove concrete e discuterne quando volete.
Il vero tema da discutere in merito al precariato
Riguardo alle giustissime considerazioni emerse nel corso della nuotata sul tema del precariato propongo un paio di riflessioni frutto di letture e approfondimenti ‘attivi e dissenzienti’ (Semler e altri del genere) e frutto anche di esperienze dirette con aziende che si stanno aprendo al concetto di democrazia partecipativa. Innanzi tutto chiariamo che un ‘lavoro a tempo indeterminato’ non vuol dire assolutamente ‘per sempre’ (anche qua la pratica di ‘dare un nome alle cose’ è utilissima a chiarire le idee) in quanto nessuno garantisce che l’azienda sarà ‘in vita per sempre’; quante aziende piccole, medie o grandi conosciamo che non ce l’hanno fatta in questi ultimi anni? E perché non ce l’hanno fatta? Le cause sono indubbiamente molteplici ma spesso possono essere ricondotte a quell’idea del ‘capitano di industria’ geniale e accentratore di cui sopra. Cosa c’entra tutto questo con il precariato? C’entra per il semplice fatto che tutti noi, siamo di fatto in una condizione di precariato. Se siamo particolarmente fortunati (o affermati) magari non ce ne rendiamo conto; ma il concetto di non avere sicurezze lavorative per domani o dopo domani riguarda tutti noi.
In altre parole il precariato è qui per restare, prima ci rendiamo conto di questo e prima possiamo far evolvere il dibattito su un tema chiave: la qualità del precariato. Ed è proprio approfondendo i temi di democrazia partecipativa in azienda che arriviamo ad apprezzare il significato di questo concetto; l’ho riscontrato personalmente con tutte le aziende con le quali collaboro e che prendono veramente sul serio la cosa. In un’azienda che funziona con sistemi di democrazia partecipativa, ogni persona è portata in modo attivo e continuativo a scoprire utilizzare e coltivare con un apprendimento mirato, i propri punti di forza, i propri talenti (e tutti noi ne abbiamo qualcuno!) questo contribuisce a rafforzare la specifica professionalità di ogni singola persona. Una delle mie esperienze professionali più gratificanti è lo stimolare le persone a riconoscere ed esprimere la loro professionalità; non importa quale sia il loro background formativo o il loro grado di esperienza; se c’è voglia di fare, il ‘mestiere’ passo passo si acquisisce con metodo e si continuano a scoprire, dal fare, non tanto dal teorizzare, capacità e interessi che nemmeno pensavamo di avere.
Ecco così che la nostra identità non è quella del precario (abbiamo detto che in fondo lo siamo tutti) ma bensì di un professionista (poco importa se operatore ecologico o direttore di produzione) che crea valore aggiunto con il suo lavoro. I contesti del precariato dovrebbero essere strutturati e vissuti in questo modo; come percorsi professionali di crescita, percorsi nei quali non c’è mai un punto di arrivo. Questo ad oggi non è possibile, ne sono consapevole, proprio perché il sistema produttivo non si basa su concetti di democrazia partecipativa che rendono l’azienda più dinamica (ho scritto dinamica, non flessibile...) e aperta a confrontarsi costruttivamente con i cambiamenti interni ed esterni che la coinvolgono. Ancora una volta vi invito ad approfondire il lavoro di Ricardo Semler per apprezzare queste riflessioni.
La nuotata è stata veramente invigorente! La concludo sottolineando una considerazione di Ginsborg. In Italia il ‘capitalismo illuminato’ è ancora largamente minoritario rispetto al ‘capitalismo tiranno’ ma è il ‘capitalismo illuminato’ basato sulla democrazia partecipativa in azienda che deve avere sempre più spazio e, io aggiungo, deve essere il futuro del fare impresa in Italia. Magari ci vorranno centro anni, sarà senza dubbio un percorso impervio, ricco di imprevisti e barriere, ma è sostanzialmente l’unico percorso possibile per diffondere realmente un ‘vivere insieme civilmente’ in azienda.
Un appello: ‘capitalisti illuminati’ fatevi sentire (già conosco alcuni di voi ed è sempre un piacere ‘energizzarci’, confrontarci e sviluppare assieme i percorsi e gli strumenti di valore aggiunto della democrazia partecipativa), rendiamo sempre più visibile e di esempio il vostro lavoro! Non è solo una questione di civiltà, ma anche una questione di gestione aziendale volta a creare concreto valore aggiunto (e quindi essere premiata) nel presente e nel futuro. Buon lavoro! e buona nuotata nel mare della democrazia possibile!

(*) CONFINDUSTRIA, Partecipazione e democrazia industriale. Ricerca del comitato giovani imprenditori dell’industria, Etas Libri, Milano, 1977.

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