BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/01/2005

LAVORO COME PROFESSIONE: I VANTAGGI NEL RICONOSCERE PROFESSIONALITA' IN OGNI RUOLO. RICONOSCERLA, STIMOLARLA E RICHIEDERLA!

di Riccardo Paterni

“Il lavoro è lavoro!” E’ una frase che sento spesso in giro e a tutti i livelli aziendali. E’ una frase detta con un misto di amarezza, rassegnazione e rabbia. “Il lavoro è lavoro!” significa che lavorare vuol dire sacrificio, vuol dire dover accettare il contesto in cui si lavora per quello che è: attriti interpersonali; scarso senso di soddisfazione per quello che si fa; rassegnazione nel doverlo svolgere in un modo che pare contorto e contro natura ma per tante “ragioni” inevitabile. Insomma, il lavoro è “una fatica necessaria per tirare avanti”. Dietro tanti volti spenti (incravattati o meno) attorno ad un tavolo riunioni queste sono riflessioni ricorrenti. Lo so perché io stesso mi sono trovato a farle in passato! Ammettiamo pure che il lavoro sia fondamentalmente tutto questo; una specie di male necessario, un male che in ogni caso dobbiamo essere ben lieti di avere!

Dagli insegnamenti del solito Confucio…
Tenendo presente questa ammissione, facciamo un passo indietro nel tempo di qualche centinaio di anni e riflettiamo su quanto Confucio aveva da dire sul lavoro: “Scegli un lavoro che ami e non dovrai più lavorare nemmeno un giorno nella tua vita”. Sembra la classica perla di saggezza: simpatica, diretta ma estremamente filosofica. In realtà vari studi e ricerche in campo di psicologia e psicologia sociale hanno proprio dimostrato la concreta saggezza di questa affermazione. Fra tanti di questi lavori spicca quello di un professore della facoltà di psicologia dell’Università di Chicago, Mihaly Csikszentmihalyi (più comunemente conosciuto da colleghi ed esperti del settore semplicemente come Mike della Chicago University…) che a coronamento di venti anni di ricerca e analisi ha presentato il concetto di FLOW (libro pubblicato nel 1990: FLOW. The psychology of optimal experience) che descrive uno stato psicologico in cui la persona è così coinvolta in ciò che fa che riesce a vincere ostacoli e barriere senza percepire fatica; la persona agisce apparentemente senza sforzo proprio spinta dal piacere che prova nel compiere quella determinata attività e tutto questo semplicemente per il gusto di svolgerla! Attenzione, queste ricerche (fatte in vari contesti sociali e culturali) non si sono basate su attività di divertimento svolte dalle persone, ma soprattutto su attività di lavoro, lavoro anche faticoso da un punto di vista propriamente fisico! Confucio allora aveva veramente ragione?!


… alla dura realtà aziendale…
A questo punto “la domanda sorge spontanea”: quante persone riescono a percepire questa sensazione di FLOW in azienda e nel proprio lavoro? A giudicare dalla diffusione dei quel: “Il lavoro è lavoro” non molte… Ma perché questo avviene? E tutto questo è veramente inevitabile? in altre parole causato da dinamiche che ne imprenditori, manager ne tantomeno collaboratori possono cambiare? Per tentare di rispondere a questa domanda è utile utilizzare la prospettiva “from the bottom up”, in altre parole calarsi nella realtà prettamente operativa del lavoro aziendale e ascoltare le riflessioni delle persone. Da tempo mi diletto a far questo (dico diletto in quanto lo faccio con piacere e quindi seguendo la logica predominante non sto lavorando…) e ho avuto modo di approfondire la cosa sia qua in Europa che negli Stati Uniti. Una costante che sta balzando alla mia attenzione è il rilevare che nelle percezioni di chi lavora in azienda i ruoli non stimolano lo sviluppo del FLOW sia perché non sono efficacemente definiti (dando spazio e spunto per contrasti interpersonali) o peggio ancora perché sono definiti in modo eccessivo, caratterizzati da azioni ripetitive e limitate nella complessità che portano inevitabilmente la mente ad estraniarsi: “il lavoro è lavoro!” “le otto benedettissime ore non passano mai!”.

Ma deve proprio essere così dura?
Un articolo pubblicato recentemente su SaperePerFare.it da Loriano Bulluomini (titolo: Libertà dalla Depressione) illustra una interessante tesi sul tema “contro la depressione liberarsi dai ruoli” evidenziando quanto i ruoli siano una specie di gabbia esistenziale creata artificiosamente, una gabbia che poiché ci limita e ci costringe finisce per renderci prigionieri soprattutto da un punto di vista psicologico. Seguendo questo filo logico Belluomini, parlando della vita in generale, evidenzia come l’artificiosità dei ruoli rispecchia l’artificiosità di tante altre cose giungendo ad affermare “non esistono per niente ‘cose’ o ‘entità’ di qualsiasi tipo, esistono solo processi”. E’ facile rapportare questa affermazione al mondo aziendale, in fondo la vita organizzativa (quando è degna di questo nome) consiste appunto in un insieme di processi in continuo flusso. Possiamo allora liberarci dalle gabbie dei ruoli e cercare il nostro FLOW naturale in un contesto aziendale? Una domanda del genere suona come anatema anarchico per molti di noi imprenditori o manager! In effetti la definizione efficace dei ruoli costituisce un aspetto essenziale del modo di lavorare odierno che si basa su sistemi integrati e appunto su processi. Ma cosa significa definire i ruoli in modo efficace? Qual' è l’obiettivo che ci poniamo? Quello di creare un sistema di controllo o quello di creare un sistema di gestione? Si, perché se vogliamo principalmente controllare allora le classiche gabbie dei classici ruoli vanno benissimo; ma se miriamo principalmente a creare sistemi di gestione efficaci e capaci di rinnovarsi anche naturalmente, allora dobbiamo rivisitare e il concetto di ruolo… I ruoli sono importanti perché danno forza e forma al sistema organizzativo. Al tempo stesso, una volta che detto sistema si forma e si sviluppa i ruoli devono dar spazio al nascere di professioni caratterizzate da specifiche capacità. A questo punto il lavoro (qualsiasi lavoro, in qualsiasi ruolo) diventa una professione e la professione stimola la presenza di FLOW IN AZIENDA!

Lavoro come professione e come portfolio di professioni; anche San Precario benedice?!
Lo ammetto, tutto questo può sembrare filosofico e senza nemmeno azzardarci a scomodare Confucio!… . In realtà spesso è proprio dai ragionamenti apparentemente troppo semplici che si riesce ad arrivare al nocciolo delle questioni ed imparare qualcosa di utile! Possiamo anche accettare il fatto che la strada al FLOW sul posto di lavoro passi attraverso il riconoscere professionalità in qualsiasi ruolo; ma poi all’atto pratico come si fa a considerare professione proprio tutti i ruoli? Bene, cominciamo con l’evidenziare che creare professionalità in ogni ruolo inizia dal comprendere (e manifestare chiaramente di aver compreso) che dietro ogni ruolo c’è una persona che merita il nostro rispetto (almeno fino a manifesta prova contraria) altrimenti non l’avremmo assunta e se l’abbiamo assunta senza conoscerla e rispettarla dobbiamo essere consapevoli che siamo in cerca di guai (o che comunque abbiamo una passione per il gioco d'azzardo). Partendo da questa considerazione, è nostro dovere, in qualità di imprenditori e manager, creare le condizioni di contesto che permettano al collaboratore di apprezzare la valenza del proprio lavoro all’interno dei processi organizzativi. A pensarci bene c’è una valenza operativa e strategica anche nei ruoli che si occupano, ad esempio, delle pulizie: avete mai pensato all’impatto che questi ruoli hanno sull’immagine dell’azienda? e sul grado di discrezionalità e confidenzialità che richiediamo a chi li ricopre? Seguendo questa logica, tutti i ruoli acquisiscono significato e spessore e tutti i ruoli rappresentano stimoli concreti ad un senso di identificazione e cura rispetto a ciò che si fa. ATTENZIONE: questi non sono ragionamenti volti semplicemente a tutelare e proteggere i collaboratori! Qua siamo nel mondo reale in cui il riconoscere professionalità ad un ruolo comporta anche la contropartita di richiedere l’espressione costante e fluida di detta professionalità nel quotidiano. Questo modo di pensare e di agire da parte di datori di lavoro e di collaboratori può contribuire a dare significato anche ai tristemente diffusi ruoli precari: se come collaboratori abbiamo l’opportunità di vivere la precarietà di un ruolo come base di partenza per formare la propria professionalità arricchendola di varie capacità, anche “San Precario” potrebbe benedire il concetto di riconoscere, stimolare e richiedere professionalità in qualsiasi ruolo. E’ dall’inizio degli anni novanta che il filosofo sociale Charles Handy (lui stesso si è creato questo ruolo dopo un percorso di vita insolito…) parla del concetto di portfolio professionale che uno sviluppa e porta con se: possiamo anche passare da un ruolo ad un altro, ma se ogni volta che lo facciamo ci impegniamo a difendere e mostrare la professionalità richiesta da quel ruolo, il percorso lavorativo che seguiamo è sempre e comunque quello di arricchimento professionale bene o male che vadano le cose. Arricchimento che poi possiamo sempre reinvestire in progetti o lavori più “solidi” e stimolanti. Anche su questo tema della precarietà credo di parlare con una certa cognizione di causa in quanto proprio da precario “mi sono fatto le ossa” per molti anni negli Stati Uniti. Ebbene, tante cose che ho imparato cercando di esprimere professionalità in qualsiasi cosa che facevo (e di ruoli ne ho avuti parecchi…) si sono in seguito rivelate utilissime ad identificare e rafforzare il percorso di vita e professionale che ho scelto.

La morale della favola…
Anche se proprio non si tratta di una favola, la morale e che quando si tratta di lavoro ci può essere sempre un lieto fine. Molto dipende dalla concretezza dei datori di lavoro (concretezza a significare in questo caso lungimiranza) e altrettanto dal modo di interpretare, comprendere, vivere e arricchire la propria esperienza lavorativa da parte dei collaboratori. La professionalità non appartiene soltanto a professioni artistiche come quella dello chef; bensì appartiene ad ogni ruolo ed è una chiara e sensata responsabilità dei datori di lavoro di riconoscerla e stimolarla e altrettanto chiara e sensata responsabilità dei collaboratori di mostrarla e difenderla nel proprio comportamento. Cosi facendo ben presto la famosa frase “il lavoro è lavoro” suonerà così antiquata e fuori luogo da far sentire fuori luogo chiunque la pronunci. Provare per credere…!


 

Vedi http://www.sapereperfare.it/

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