I BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/01/2008

GLI STRUMENTI DELLA "TRIPLE BOTTOM LINE". TRIPLICE RESOCONTO: FINANZIARIO, SOCIALE, AMBIENTALE, CARDINE DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

di Riccardo Paterni

Nell’America di George W. le aziende hanno ricevuto tagli fiscali e stimoli agli investimenti ma di certo non hanno avuto stimoli all’impegno sociale e ambientale. In assenza di detti stimoli legislativi (sia a livello federale che statale) le aziende che si pongono problematiche di natura sociale e ambientale lo fanno con metodo, pragmatismo e determinazione: aldilà dei buoni propositi ne va della sopravvivenza e dello sviluppo delle aziende stesse. Il competere basato sul prezzo, sull’aspetto finanziario è in troppi settori ormai privo di significato (le forze economiche emergenti, Cina & Co.) non hanno rivali; è necessario aguzzare l’ingegno e concentrarsi sugli aspetti che restano ancora molto problematici soprattutto in quelle aree così competitive sul fattore prezzo: gli aspetti sociali e ambientali (come cronache recenti continuano a mettere tristemente in risalto contribuendo a sensibilizzare l’opinione pubblica globale su detti argomenti).L’aspetto strategico
Detto fatto: in tempi recenti è sviluppato negli USA un movimento di aziende piccole medie e grandi che dal basso (aldilà delle spinte legislative) sta mettendo a punto sistemi di gestione nello spirito di un concetto introdotto nel lontano 1997 dall’inglese John Elkington: la “triple bottom line” ovvero il resoconto aziendale integrativo di tre aspetti: quello tradizionale finanziario, quello sociale e quello ambientale. Si tratta di un tema già abbastanza sviluppato in nord Europa, Australia e Nuova Zelanda (sia a livello aziendale che di enti statali) e che anche da noi in Italia è stato introdotto da alcuni anni in alcune aziende come l’Enel o l’Italcementi.
Mentre in Europa la spinta a questa prospettiva è spesso legislativa, o comunque proviene da stakeholders di grandi aziende che cercano di stimolarne la trasparenza; negli USA la spinta è ad oggi pressoché totalmente imprenditoriale o manageriale: l’esporre le proprie aziende ad una rendicontazione non solo finanziaria ma anche sociale e ambientale è percepita come una vera e propria leva strategica. Una strategia che fa fulcro su tre fattori chiave: trasparenza, concretezza e coerenza. Senza assicurarsi che questi fattori siano presenti qualsiasi tipo di resoconto ispirato dalla “triple bottom line” non ha alcun senso perché privo di una reale valenza strategica rispetto a tutte le parti interessate che si vogliono rendere sempre più coinvolte e partecipi della vita e dei progetti dell’azienda(collaboratori, clienti, fornitori, organi governativi e non governativi, opinione pubblica e così via).Trasparenza, concretezza e coerenza
E’ un modo di pensare che a noi italiani, da secoli evolutissimi nell’arte della scaltrezza, può sembrare ingenuo o quantomeno puramente teorico. Ebbene, mettiamo alla prova questa tesi rapportando i tre fattori di trasparenza, concretezza e coerenza ad alcuni strumenti di ispirazione sociale che da tempo parecchie aziende italiane mettono in evidenza di utilizzare: ad esempio il codice etico e anche il bilancio sociale. Come vengono utilizzati questi strumenti? Sono veramente trasparenti? (nel senso: sono veramente accessibili e soprattutto comprensibili da tutti i soggetti interessati?); sono concreti? (la concretezza manca se si tracciano i contorni di una realtà che è ben distante rispetto a quella percepita realmente nel quotidiano, ed in particolar modo si fa questo senza evidenziare un vero e proprio programma per raggiungere lo stato desiderato rispetto al contesto attuale); sono coerenti? (è presente ipocrisia negli stessi contenuti esposti, o comunque ipocrisia rispetto ad una reale quotidianità e non ci si cura di evidenziare la cosa presentando concretamente delle misure correttive che si prestano ad una implementazione metodica).
Ancora una volta, se questi aspetti di trasparenza, concretezza e coerenza sono assenti, magari abbiamo svolto bene il compito da un punto di vista burocratico/formale ma possiamo scordarci della sua reale valenza strategica. Formulare e distribuire un dettagliato “codice etico” è una pratica sicuramente da lodare ma strategicamente che senso ha farlo se poi non ci adoperiamo concretamente per farne rispettare i principi e soprattutto se, una volta definito lo standard di comportamento, attestiamo pubblicamente quali siano i comportamenti attualmente manifestati e cosa ci proponiamo di fare per condurli realmente allo standard desiderato? Oppure, parlare di ridurre il consumo energetico della produzione è altrettanto lodevole, ma è importante farlo in modo che le persone coinvolte siano realmente rese partecipi della scelta tenendo sempre ben presente la “cartina al tornasole”: trasparenza, concretezza e coerenza.In cerca di innovazione e progresso
Ma cosa significa nel pratico implementare questo tipo di sistema di gestione, che gli americani hanno abilmente coniato SOS (Sustainbility Operating System - Sistema Operativo della Sostenibilità)? Significa identificare a livello finanziario, sociale e ambientale quali siano i fattori che generano un reale valore aggiunto, un fattore competitivo e di distinzione aziendale (distinzione integrata dalle tre prospettive). E’ indispensabile quindi formulare una visione strategica di sviluppo sostenibile; di come vogliamo che si manifesti l’identità aziendale dal presente al futuro e identificare chiaramente sulla base di quali valori (e conseguentemente comportamenti) vogliamo raggiungere detta visione: come raggiungere e mantenere un determinato ritorno economico? come farlo assicurandoci di rispettare i diritti, facilitare i doveri e stimolare le potenzialità delle persone coinvolte? come farlo tenendo ben presente il risparmio energetico? E soprattutto, aspetto fondamentale, quali indicatori utilizzare per far si che in modo trasparente, concreto e coerente, le parti direttamente e indirettamente interessate allo sviluppo aziendale possano verificarne i progressi o le difficoltà? E’ inevitabile che ciascuna azienda si confronti con questi interrogativi in modo diverso, influenzata dal settore in cui opera e dal proprio contesto socio-culturale, al tempo stesso il punto cardine deve essere sempre quello strategico di alimentare con trasparenza, concretezza e coerenza volta a stimolare dei reali meccanismi di feedback allo scopo di alimentare un continuo miglioramento del sistema.
Questo tipo di sistema di gestione è sicuramente più complesso di quelli usualmente adottati che si focalizzano solo sull’aspetto finanziario. Ma si tratta di una complessità ‘salutare’ perché automaticamente spinge tutta la cultura organizzativa a sviluppare nuove idee, ad innovare anche semplicemente per riconciliare le premesse e aspettative provenienti dall’applicazione simultanea delle tre prospettive. Avendo avuto modo di interagire con aziende americane sia di media che di medio-grande dimensione che stanno sviluppando l’iniziativa, sono rimasto colpito proprio dall’impatto del sistema sulla mentalità di tutte le persone: dal vertice aziendale ai reparti più operativi. Si crea nelle aziende un’atmosfera di autenticità e progresso che alimenta in tutti un aspetto chiave: la speranza per un ‘mondo migliore possibile’ al quale, nel piccolo o grande mondo in cui ci troviamo, si sente di stare effettivamente contribuendo; nell’epoca attuale questo è realmente un fattore che fa la differenza fra il parlare dell’importanza di innovare e l’innovare veramente. Provare per credere. E la cosa funziona anche per aziende che sono in difficoltà e che vogliono realmente trovare soluzioni per uscire da pericolose posizioni di stallo.La sfida
A questo punto mi pongo la solita retorica domanda: e in Italia? In Italia siamo bravi nel vantarci delle sigle di certificazione che abbiamo ottenuto (ISO 9000, 14000, SA8000 e così via), in realtà sono tutti aspetti che se messi in opera realmente (vedi: trasparenza, concretezza, coerenza) contribuiscono almeno in parte a stimolare il percorso aziendale verso la sostenibilità. Le dinamiche sono fondamentalmente sempre le stesse: la differenza fra il semplice parlare e il fare effettivo; e su questo il pragmatismo Made in USA fa realmente la differenza. Chi è pronto in Italia ad accettare la sfida? O meglio ancora, possiamo permetterci di non accettarla?

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