BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 09/10/2006


C'ERA UNA VOLTA IL CONCETTO DI SVILUPPO. OVVERO VIAGGIO VERSO L'ORTO DELLE COMPETENZE (1)

di Judith Pinnock

Persone come storie

C’era una volta un direttore marketing di 52 anni licenziato dall’oggi al domani. Chissà che cosa ha fatto, sicuramente non ha raggiunto i suoi obiettivi.

C’era una volta una ex dirigente d’azienda, 53 anni, che cercava invano un lavoro da 11 mesi e nel frattempo vendeva bellissimi lavori all’uncinetto, la sua passione. Evidentemente non era poi tanto brava nel suo lavoro, chi vale un lavoro lo trova sempre.

C’era una volta una ragazza di 25 anni che lavorava a tempo pieno, in nero, per 300 euro al mese. Non deve aver voglia di cercare altro, chi merita prima o poi riesce.

C’era una volta un’azienda di servizi portata avanti da anni da 5 ragazze (tutte donne con l’eccezione dei soci proprietari, due uomini) con contratto a progetto (ma quando finiscono questi progetti, e che progetto è la contabilità?). Beh, ma l’imprenditore ci mette il rischio...

C’era una volta un ragazzo di 20 anni che lavorava da 5 come elettricista. L’ultimo datore di lavoro non l’aveva pagato e lui non voleva rivolgersi al sindacato perché li aveva visti, lui, quelli del sindacato, parlare amichevolmente col padrone, saranno dalla sua parte, e poi se ti ribelli tra padroni si parlano, gira la voce, e non trovi più lavoro. Eh, i giovani d’oggi sono ignoranti e non hanno coscienza sociale.

C’era una volta una dipendente pubblica che aveva messo l’anima in un progetto di innovazione organizzativa, lavorando anche fuori orario di servizio, parlo della notte, fino alle tre, dopo aver sistemato marito e figli, c’è anche già la macchinetta del caffè pronta sul fuoco spento, così domani mattina, che sarò stanca, farò prima. Poi cambiò il vertice politico, cambiò il dirigente dell’ufficio. E il progetto fu sospeso. Non annullato, dichiarato inutile o dannoso. Solo, non se ne parlò più. Ma figurati, i dipendenti pubblici sono buoni solo a far la spesa in orario di lavoro ed a prendere bustarelle.

E’ una favola? Se lo fosse il finale quale sarebbe? E vissero tutti infelici, e scontenti...

Ma non è una favola, sono alcune situazioni reali che capita di incontrare lavorando come consulente nel campo delle risorse umane. E sono i commenti della gente comune, commenti cinici, disinformati, di chi si difende per poter pensare con convinzione “a me non succederebbe”. Il finale va bene lo stesso, perchè infelicità e scontentezza sono garantite.

Così la “brava consulente” che sa ascoltare ed osservare si carica di tutte queste storie e quando legge i libri più recenti sulla gestione delle risorse umane oppure va alla ricerca della saggezza degli antichi esplorando le opere di filosofi, drammaturghi, poeti, guerrieri, navigatori o ancora cerca metafore nei mondi paralleli di sport estremi, musica, giochi e chi più ne ha più ne metta, non capisce, e si fa delle domande.

Come stanno cambiando concetti quali 'senso di appartenenza' e 'clima aziendale'?

Persone come storie, storie che si interrompono troppo presto e non riesci a sentirti protagonista né della storia né, tanto meno, dell’ambiente.

Un’azienda pubblica mi chiede di fare una rilevazione del clima; in un ufficio di 30 persone 28 sono co.co.pro. Mi viene un dubbio: il questionario, a loro, lo do o no? Decido per il sì, del resto fare una rilevazione su due persone sarebbe impossibile. Raccolgo i questionari compilati: 18 persone hanno assegnato il valore massimo di gradimento indifferentemente a tutti gli item, 9 li hanno consegnati in bianco, solo 1 persona ha dato risposte diverse ai vari item. E adesso che cosa me ne faccio dei questionari? Bisogna cambiare lo strumento di rilevazione? Bisogna ridefinire ciò che vogliamo rilevare?

Che cosa significa oggi per le Aziende 'investire sulle risorse umane' e come viene fatto?

Un’azienda mi chiede un’analisi organizzativa con proposte di miglioramento. Faccio il mio lavoro, tra le proposte inserisco anche un percorso di formazione agganciato ad un sistema di valutazione, ma scopro che, anche in quella azienda, la maggior parte del personale non è dipendente ma è a contratto di progetto. E i co.co.pro, per definizione, vengono individuati in base alla specifica professionalità posseduta relativa al progetto affidato; quindi, non possono in alcun modo essere destinatari di interventi formativi. Perchè, per definizione, non hanno bisogno di formazione. Ma come, non si parlava di apprendimento continuo durante tutto l’arco della vita lavorativa?

E le Aziende come pensano o ripensano i percorsi di carriera, dov’è finito il concetto di sviluppo, la formazione che viene fatta come si radica con il tessuto organizzativo?

Quali saranno, in futuro, le storie professionali delle persone, come tramutare in valore la precarietà, se un valore è qualcosa che è possibile ripetere nel tempo?

Se chiedessimo alle persone che ho incontrato, delle quali ho accennato all’inizio, come si vedono tra 5 anni, che cosa risponderebbero? Probabilmente si augurerebbero uno scenario più stabile, un lavoro qualsiasi purché solido e fin qui, se potessimo seguire le loro vite, sapremmo, tra 5 anni, se i loro sogni si sarebbero realizzati. Mi chiedo però: quali saranno le storie professionali delle aziende dove, in questi anni, stanno passando tante competenze, forse tanti talenti, senza che l’azienda se ne accorga?

E da domanda nasce domanda: Esiste ancora il passaggio di competenze da lavoratore esperto a lavoratore neoassunto? Che cosa sta accadendo a temi già critici come il rispetto delle differenze di genere e lo status occupazionale dei lavoratori over 50? Che cosa significa, oggi, risorse umane, se la persona che lavora sembra essere vista come un fastidio inevitabile?

Le domande erano troppe, così nasce l'idea

Le domande erano troppe per poter trovare da sola delle risposte. E non ero l’unica a farsi domande come queste o analoghe; se le faceva anche una giovane consulente che, qualche anno fa, fece uno stage aziendale nella struttura che allora dirigevo. Giovane, poi. Giovane lo è, certamente, ma chissà se è preparata al fatto che con le regole attuali sarà giovane per molti, molti anni, fino a ritrovarsi, dall’oggi al domani, troppo vecchia a 40 anni... Così, dalla giovane consulente e dalla consulente troppo vecchianasce l’idea di organizzare un evento dove far incontrare e confrontare gli attori di queste storie: il mondo aziendale ed imprenditoriale, la consulenza che si interroga, l’università e la scuola che devono preparare i giovani per questo mondo, le persone che lavorano, eternamente giovani o repentinamente invecchiate.

Il luogo dove farlo ci viene subito in mente, è lì, a portata di mano, perfetto nella sua bellezza e preciso nel suo significato metaforico: la Corte Ospitale, a Rubiera, un piccolo e delizioso centro a metà strada tra Reggio Emilia e Modena. La Corte è un complesso monumentale cinquecentesco sorto per la sosta ed il ristoro dei viandanti e dei pellegrini, recentemente restaurato e destinato ad attività culturali. Perfetto per la sosta ed il ristoro di moderni pellegrini alla ricerca di risposte. L’assessore alla Cultura del Comune di Rubiera crede nel progetto, ci crede tutto il Comune, ci concedono il patrocinio, e partiamo per l’avventura.

Basta un’ora di brainstorming per capire che il nome di ciò che stiamo facendo è L’orto delle competenze, d’altra parte viviamo in una terra di contadini, che quando incontri qualcuno e chiedi “come va?” la risposta non è mai, come per me che sono romana, “bbéne!” e più b ci metti e meglio stai, ma un risicato “abbastanza”, perché, mi hanno spiegato, un contadino sa che il pericolo è sempre alle porte, che la terra dà ma prende anche, e che quello che dà te lo devi sudare alquanto. (I più ottimisti rispondono “bèène”, con la e strettissima ed un’intonazione lievemente interrogativa che sembra significare “mah, sarà vero?”)

L’orto delle competenze

Ecco, allora, “L’orto delle competenze”. Cominciamo, compiaciute, a solcare i confini del nostro orto. Sarà un terreno non tanto esteso, che richieda cura ed amorevolezza artigiane più che industriali, che concederàfrutti ed ortaggi non in quantità, ma curati quasi uno per uno, come il mio amico Umberto che ha l’orto davvero e quando ti regala dei pomodori, i suoi pomodori, ti immagini che gli abbia dato un nome, ad ognuno di loro, tanto la mano che te li porge sembra accarezzarli e volerteli presentare, uno per uno, con le irregolarità della forma che diventano garanzia di squisitezza, e la promessa “sentirai, come sono, dopo non ne mangi più degli altri...”: proprio quello che dovrebbe fare ogni dirigente con le sue persone.

Il nostro orto avrà questo, come obiettivo: contribuire a diffondere la cultura del rispetto per le persone, il concetto di sviluppo, ché se ti capita una pianta che ti cresce male mica la estirpi, prima provi a metterle un tutore, ad innaffiarla di più, o di meno, a darle del concime, o ti consulti con qualcuno più esperto di te per capire come fare a farla venir su bella quasi come le altre, e sarà quella che ti darà più soddisfazione.

L’orto richiede costanza e lentezza, non puoi piegare i ritmi della natura. Quindi il programma durerà tre anni (poi ricominceremo daccapo) ed ogni anno affronterà un macro tema diverso: il primo anno seminiamo le competenze, quindi parliamo di formazione; il secondo anno ci dedichiamo al raccolto, cioè affrontiamo il tema della valutazione. Il terzo andiamo a vendere il raccolto al mercato e ci occupiamo della comunicazione.

Il filo conduttore di tutto sono i libri, strumenti di circolazione e diffusione della cultura, silenti maestri personali: nel nostro orto i libri saranno come le bustine delle sementi, che si fissano con cura a dei bastoncini e si mettono nel terreno là, all’inizio di ogni solco, per ricordarci che cosa abbiamo piantato e come dobbiamo prendercene cura.

Ecco, ora è tutto pronto. Ci volete voi, la vostra presenza attiva, i vostri contributi e le critiche. Quindi segnatevi in agenda queste date: venerdì 20 e sabato 21 ottobre, alla Corte Ospitale di Rubiera. E consultate il nostro sito www.ortodellecompetenze.it per il programma aggiornato e le modalità di iscrizione. E abbiate pazienza se gli aggiornamenti tardano, siamo solo due contadine. Una troppo vecchia. L’altra giovane, per molto, molto tempo.

Il baule dei saperi

Che cosa c'è nei cassetti della vostra scrivania in ufficio o a casa? Solo materiale di lavoro? Non c'è, un po' nascosto, un prodotto della vostra creatività, qualcosa che vi è caro e che vorreste far conoscere ma non sapete come? L'orto delle competenze va alla ricerca delle competenze che sentiamo più nostre e che, può capitare, non mettiamo a disposizione dell'ambiente di lavoro, magari perché temiamo che non verranno apprezzate, oppure perché pensiamo che non possano essere utili.

Durante la manifestazione sarà allestito un angolo, “il baule dei saperi”, dove troverete un vero baule.  Potrete così lasciarci romanzi, poesie, articoli, saggi, ma anche fotografie o filmati realizzati con il videotelefono, depositandoli fisicamente nel baule in formato cartaceo o su dischetti, cd, dvd. Tutto ciò che porterete verrà pubblicato su Bloom, oppure, a seconda di quanti e quali materiali saranno, verrà rielaborato in una unica pubblicazione in stampa. (2)


1 -Salvo il paragrafo finale sul ‘Baule dei saperi’, l’articolo è già apparso su Persone & Conoscenze, 21, luglio-agosto 2006.

2 -Potete inoltre inviare il materiale già da ora, ed anche dopo la manifestazione, all'e-mail  info@ortodellecompetenze.it con oggetto: Il baule dei saperi, oppure in posta a: Orto delle competenze snc, Via Tiziano 63, 41100 Modena.

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