BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 25/03/2002

IL FESTIVAL DI SANREMO E L'EMPOWERMENT

di Marco Poggi

“Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli..”

Guy Debord

Guy Debord scrive La Società dello spettacolo nel 1967. [1]

Allora, in un mondo in bianco e nero, anche i lettori più colti e smaliziati, per comprendere il testo e per poter attribuirgli senso, furono costretti   a fare uno straordinario sforzo di astrazione.

Oggi, tutti quanti, immersi come siamo giorno e notte dentro al grande Barnum Mediatico, non possiamo che rimanere allibiti davanti alla capacità di Debord di prefigurare il futuro, una capacità più simile a quella del veggente che non del filosofo, per quanto raffinato e capace di leggere in filigrana l’evoluzione della società.

Per Debord lo spettacolo è la forma della società tardo capitalistica fondata sul consumo sfrenato di merci.

Le merci sono  feticci messi al centro di una ininterrotta scena mediatica.

Assumere una posizione critica nei confronti della società significa comprendere, ma anche smascherare, decostruire, le sue logiche intrinseche che sono appunto le logiche intrinseche dello spettacolo.

In questa prospettiva la riflessione sulle organizzazioni può essere produttivamente influenzata da una lettura di tipo situazionista, una lettura, cioè, che tiene conto della dimensione fondamentalmente spettacolare di tutti i fenomeni di produzione e consumo.

E ciò non tanto pensando alla rilevanza economica delle organizzazioni che si occupano specificatamente della creazione e della fruizione di spettacolo (basti pensare in questo senso al peso straordinario che, negli ultimi trent’anni, hanno acquisito, nel panorama economico mondiale, le grandi corporation americane dell’intrattenimento),  ma focalizzando piuttosto l’attenzione sui fenomeni spettacolari intrinseci a qualsiasi organizzazione.

Su queste possibili traiettorie di analisi, spunti articolati di riflessione possono essere forniti dalla lettura di alcuni specifici fenomeni di spettacolo considerati in chiave non metaforica ma paradigmatica, una chiave che consenta cioè di evidenziare gli elementi che quei fenomeni hanno in comune con specifici fenomeni di tipo organizzativo.

Un fenomeno spettacolare particolarmente significativo è il Festival di Sanremo.

Si tratta di un fatto mediatico di grande rilevanza, sia perché connette insieme una pluralità di media  che se ne occupano su piani differenti ma costantemente correlati all’interno di un fantasmagorico gioco di rimandi, sia perché attira a sé, come un vortice, l’attenzione di svariati pubblici che fruiscono/interagiscono con il fenomeno ciascuno con il suo livello di lettura e decodificazione.

Il festival di Sanremo è considerato in Italia una sorta di istituzione nazionale.

Non a caso.

Infatti, da quando esiste, il festival presenta un vero e proprio livello istituzionale che agendo in nome e per conto del comune sentire dell’italiano medio,  individuato come target di un meccanismo di consumo che avviene durante e a valle dell’evento, definisce preventivamente la cornice di linguaggio entro cui collocare la proposta spettacolare.

I generi musicali che devono essere presenti, il mix tra questi, gli elementi strutturali dello spettacolo, le vallette, i comici, gli eventuali temi politici che verranno affrontati, tutto è predefinito dal livello istituzionale del festival.

Il tema che a me pare assolutamente centrale, rispetto alla riflessione organizzativa,  è come l’istituzione festival gestisce e interagisce con i fenomeni che naturalmente si pongono al di fuori e in contrapposizione con esso.

La storia del festival è la storia del rapporto dialettico tra il suo livello istituzionale e i fenomeni “devianti”.

Se non ci fosse questo rapporto dialettico il festival non progredirebbe.

Ciò che accade è che, progressivamente, il livello istituzionale decide di includere fenomeni estranei e potenzialmente eversivi.

I generi musicali giovanili, i generi musicali trasgressivi, le parolacce, gli sberleffi dei comici, la satira politica, i “nude look” delle vallette e delle cantanti, tutti fenomeni “altri” rispetto alla forma tradizionale, vengono inglobati in un’operazione che è contemporaneamente di allargamento progressivo delle potenzialità di mercato del prodotto e di controllo.

Ciò che viene progressivamente inglobato all’interno del modello si depotenzia in termini di carica eversiva e diviene controllabile.

Se non inglobasse i fenomeni “altri” il festival morirebbe.

Il festival si nutre di ciò che è altro da lui, vive grazie a ciò che prima stava fuori o, addirittura, contro di lui.

Nell’ultima edizione – marzo 2002 – il rapporto dialettico tra il livello istituzionale di controllo dello spettacolo e gli elementi “altri” si è mostrato con grande evidenza.

Il conduttore, che incarna in modo esemplare l’autorità istituzionale dell’evento, ha presidiato personalmente e in modo efficacissimo i confini.

Ha autorizzato i lazzi dei comici ridendo con loro, ha autorizzato la satira contro di lui e quindi contro il livello istituzionale del festival facendosi prendere in giro e facendosi manipolare persino fisicamente.

Ha, di fatto, effettuato una magistrale operazione di allargamento e di presidio dei confini di controllo dimostrando, per altro, una conoscenza assai sofisticata dei meccanismi sottili che sottendono alla logica dello spettacolo.

Così come il festival di Sanremo anche le organizzazioni hanno un livello istituzionale che predefinisce il quadro simbolico e culturale entro cui dispiegare l’azione produttiva.

E come il festival di Sanremo le organizzazioni hanno bisogno vitale di inglobare pratiche trasgressive e potenzialmente eversive.

Le organizzazioni contemporanee chiedono ai loro dipendenti di assumere comportamenti trasgressivi.

Siate potenti, siate creativi, siate liberi.

I dipendenti che le organizzazioni vogliono sono quelli che, pur di fare, pur di soddisfare il cliente, violano le norme, pensano con la loro testa, criticano il proprio capo.

I messaggi impliciti ed espliciti che vengono veicolati attraverso i classici dispositivi dell’acculturamento aziendale richiedono espressamente autonomia.

Le organizzazioni hanno per davvero bisogno di persone libere, creative e fortemente attrezzate in termini di competenze.

Hanno bisogno di persone capaci di vivere in rete, di utilizzare linguaggi sofisticati, di manipolare simboli, di produrre attraverso le relazioni.

Ed è per questo che i livelli istituzionali delle organizzazioni, come gli apprendisti stregoni della fiaba, evocano spettri.

I processi di empowerment sono in questo senso processi di evocazione di spettri, sono operazioni consapevoli di contagio, di diffusione di pestilenze.

Ma in quei livelli istituzionali delle organizzazioni dove è presente una competenza sofisticata relativa al funzionamento delle macchine dello spettacolo,  gli spettri  non solo vengono evocati ma vengono efficacemente gestiti.

Là gli stregoni sono tutt’altro che apprendisti, e grazie a loro le organizzazioni sono in grado di crescere immettendo all’interno del loro mobile e plastico sistema di controllo  pratiche vitali, straboccanti di potere.



[1] Guy Debord, La Societé du spectacle, Paris, Lebovici, 1971; trad. it. La società dello spettacolo e Commentari sulla società dello spettacolo, Milano, Sugarco, 1990.

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