BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 22/04/2008

DIVERSITA', INGIUSTIZIA, REGOLE

di Luisa Pogliana

Della diversità si parla molto, moltissimo di questi tempi. Soprattutto delle diversità di genere. I convegni e i libri si moltiplicano, gli esperti  e i consulenti hanno molto lavoro: la diversità è l'ultimo cavallo di battaglia del politicamente corretto e l'ultima qualificazione distintiva dei guru aziendali.  Perché allora i cambiamenti di cultura e prassi aziendale su questo terreno sono così irrilevanti?

Qualche giorno fa ho incontrato un ex collega, membro del board dell'azienda dove entrambi abbiamo lavorato. Ci scambiamo qualche informazione su  cosa stiamo facendo ora, e io cito una persona con cui ho un ottimo rapporto professionale. 'E' bravissima -gli dico- la migliore che abbia incontrato in questo lavoro. Se non fosse una donna avrebbe fatto ben altra carriera in quell'azienda'.
Ed è vero. C'è almeno un'occasione  in cui le è stato preferito un uomo che professionalmente e intellettualmente non le arrivava nemmeno alle ginocchia. Ma la cultura aziendale trasmessa ad alta voce in una riunione dal direttore generale dell'epoca non lasciava dubbi: 'Mai scegliere una donna anche se è al massimo delle capacità. Ricordatevi che prima o poi una donna piange'.
Il mio ex collega a questo punto sbotta, con tono scherzoso ma in realtà con convinzione: 'Ancora con queste storie, non se ne può più, è una vita che ci rompete i coglioni' .
Ma il punto non è questo. Il punto è che io, orribile a dirsi, mi sento annaspare,  cerco di dimostrare quanto sia vera la mia affermazione , mi manca solo di gridare che ho le prove, ma mi sento le armi spuntate.
Perché il problema, da quando le donne hanno messo piede in azienda e ancora oggi, è che i trattamenti discriminatori che le riguardano non sono certo ufficialmente annunciati, non sono nemmeno motivati,  non avvengono con meccanismi trasparenti, non hanno ragioni di vantaggio aziendale. Al contrario, avvengono nella totale arbitrarietà, spesso contro ogni razionalità, con dinamiche opache. E quando una cosa non esiste ufficialmente, non si sa come avviene, dove, perché, per decisione di chi, semplicemente non esiste. Non è vera, non è dimostrabile, non è denunciabile, non si può provare, non si sa come contrastarla.
Eccolo qua il famigerato 'soffitto di vetro', così battezzato oltre vent'anni fa per indicare quella cosa efficacissima nel bloccare l'ascesa delle donne alle cosiddette posizioni apicali, ma che apparentemente non esiste, perché non si vede.
Comunque, in quel momento, di fronte all'ex collega che stroncava con aria pragmatica il 'solito rivendicazionismo femminista', di fronte a me che mi trovavo a mani vuote sapendo invece di avere ragione a piene mani, mi è montata una rabbia, che non è vero che acceca, la rabbia illumina. E mi sono detta, e ho detto: Il problema è che i coglioni su queste cose non ve li abbiamo mai rotti seriamente, mai quanto sarebbe stato giusto e necessario.
Mi sono vista passare rapidamente in testa tutta una serie di lavori, discussioni, convegni, articoli scritti, documenti preparati per usarli dentro e fuori l'azienda dove ho lavorato. Tutti che trattavano i fondamentali aspetti per cui non si può continuare a tenere le donne in buona parte fuori dall'attività lavorativa e  fuori dai posti e luoghi di responsabilità. Nell'interesse certo delle donne, ma anche delle aziende, dell'andamento economico, del paese. E sono tutte argomentazioni vere.
E' vero che un paese dove l'occupazione femminile è ai livelli più bassi d'Europa è un paese che lascia fuori dalla costruzione dello sviluppo economico la stragrande maggioranza della sua popolazione. Infatti si vede in quale situazione economica è andato a cacciarsi. Con danno di tutti.
E' vero che c'è uno spreco vergognoso di risorse. Le donne arrivano al mercato del lavoro con preparazione e qualificazione molto più elevate degli uomini, ma vengono falcidiate, nella loro crescita a favore di uomini meno preparati. Si buttano talenti preferendo affidare il proprio sviluppo alla mediocrità.
Ed è vero che una nuova ricchezza  viene dalla diversità delle donne,  portatrici di intelligenza emotiva, di un modo di vedere e sentire la realtà con uno sguardo diverso e quindi di un incremento di conoscenza, di capacità aggiuntive negli approcci al lavoro e alla managerialità.
Ciononostante, la cultura aziendale , nella maggioranza dei casi,  di fatto sembra continuare ad avere un solo tetragono modello di riferimento, e a funzionare con quello.

A questo punto ho avuto una reazione di insofferenza.
Basta, basta fare le persone ragionevoli e giudiziose, intelligenti e convincenti, che vedono gli interessi delle donne sotto la luce degli interessi aziendali prima ancora che sia l'azienda a vederli, gli interessi del paese di cui al paese sembra non importare nulla. Torniamo a dire, prima di tutti questi discorsi responsabili sul  vantaggio comune, prima di tutte le teorie economiche ed organizzative, torniamo a dire che per noi è una questione di giustizia. Diciamo che nel porre questi problemi noi  pretendiamo innanzitutto che venga riconosciuto, a noi e a ogni individuo, il valore del proprio diverso modo di essere, e riconosciuto nei termini di praticare e premiare e remunerare un diverso approccio al lavoro, un diverso modo di essere al mondo. Noi pretendiamo un trattamento di equità.
Intendiamoci, è tutto vero. E tutto serve. Io credo che non ci sia una sola azione superflua da tentare, una sola pratica da cui prendere le distanze quando si tratta di provare a cambiare la evidente iniquità (e dannosità) che segna la presenza femminile sul mercato del lavoro. Anche perché le aziende cambiano le loro politiche e la loro cultura solo se capiscono che ne hanno un vantaggio.
Queste sono tutte argomentazioni vere e importanti.  Più che sufficienti se qualcuno volesse capire.
Cosa manca allora?
La stessa domanda me la sono fatta nell'ultimo convegno sulla diversità a cui mi sono trovata a partecipare. Ormai siamo tutti intelligenti, ed evoluti, e buoni, mi sono detta. Sappiamo tutto sulla differenza di genere -e d'altro- e sul suo valore,  sappiamo che va accolta e va valorizzata.  E così, confinata ai discorsi, paghiamo il tributo formale e poi via come prima.
E' così che si depotenzia la carica di cambiamento che la differenza contiene in sé, che viene dal suo profondo concetto di equità: tutti gli individui hanno un valore, il loro valore,  non ci sono categorie che costituiscono il modello.

Parlare della diversità senza darle il corpo, la concretezza di una vita vera è come  si volere farsi accettare togliendo la potenzialità di rottura di un sistema dato che la diversità contiene.
Ma per le donne, prima di essere teorie e analisi sociali e riflessioni economiche,  il problema  delle carriere femminili e della loro diversità  è realtà quotidiana, personale e concreta. Con tutte le sue  soddisfazioni,  ovviamente,  ma certo con i suoi  cari e soprattutto non motivati prezzi.
E' ben diverso avere vissuto personalmente tutto questo, sapere cos'è la nostra diversità agli occhi di una azienda. Ecco alcuni  esempi sulla diversità delle donne vista con questi occhi, ovvero degli uomini che in strabordante  misura ne sono a capo.
Le donne sono deboli, comunque, di fronte al codice della durezza che è il primo codice etico e comportamentale di un'azienda.
Le donne possono anche essere manager, ma restano prima di tutto donne. Sono emotive, e le emozioni contrastano con il codice della razionalità, l 'unico ammesso ufficialmente .
Quindi le donne piangono, e le lacrime non possono esistere nel tempio dei duri. Poco importa se poi gli uomini, non potendo dare sfogo altrimenti alle emozioni, si incazzano fortemente,  a proposito e a sproposito, facendo danni anche seri.  Ma questa non è emotività, è una prova di carattere.
Le donne sono vulnerabili agli affetti e attente alle persone. Che con i dipendenti e i colleghi non si deve e non si può.
Le donne prima o poi, fanno bambini, e non è questione di ridimensionare un po' il lavoro per un periodo transitorio: l'azienda richiede dedizione totale e assoluta e sempre. Che sia davvero necessario o no.
Non si tratta di piccole caricature per ridere. E' purtroppo realtà, non quella realtà aziendale aperta, consapevole, intelligente, moderna che si mostra  nelle riunioni ufficiali, ma quella  che  vediamo in atto  nei nostri uffici.
Bisogna capire da cosa nasce tutto questo, e perché la differenza delle donne è ancora così tanto segnata come mancanza e inadeguatezza, perché si ha così bisogno, quando non è possibile ignorarla, tenerla sotto controllo.
Perché la diversità è dirompente, la diversità scardina un modo di regole date. Soprattutto in azienda.
Il mondo del lavoro, storicamente, è  stato costruito dagli uomini, che ne hanno definito le regole secondo il loro  modo di essere e i loro bisogni. Ma oggi, con la presenza normale delle donne nel  lavoro, anche nei livelli direttivi, queste regole appaiono chiaramente non neutre e non universalmente valide.
Le donne portano anche nel lavoro la loro differenza: fatta di affetti ed emozioni, diverse capacità e diverso modo di pensare e sentire, diverso modo di concepire il mondo e  il lavoro, le relazioni e le persone,  diverso modo di vivere la vita, che per loro è sempre intera, quella dentro e quella fuori dall'azienda, non scissa a compartimenti stagni come facilmente avviene per gli uomini, socialmente sempre centrati fondamentalmente sul lavoro.
Bisogna capire che la diversità femminile porta a sovvertire i codici, l'organizzazione del lavoro, le regole, i tempi e le modalità di relazione.
Facciamo solo un esempio, il più comune e comprensibile. Le donne, in maggioranza, nella loro vita devono costantemente farsi carico di molti compiti,  vivere molti ruoli diversi. Cosa che non avviene agli uomini. Per le donne il tempo e l'organizzazione del tempo è la risorsa più preziosa  Ma in azienda un codice diffuso è quello di lavorare a oltranza, spacciando la quantità per qualità, e a prescindere da una vera necessità:  l'importante è farsi vedere in ufficio fino a tardi, e poi magari bere qualcosa tra colleghi o con il capo. Una donna, ammesso che possa essere attratta da questo modo di sprecare tempo, comunque sa che deve occuparsi dei figli, per esempio, e sa che una riunione programmata o spostata alle cinque mette in crisi l'organizzazione famigliare. Ed ecco che l'insensatezza di questo modo di lavorare ha cominciato ad essere messo in discussione anche dalle teorie di management.
Si può così capire perché tutti questi corsi e convegni sulla diversità sono così poco efficaci nel dare valore,  nei fatti e non a parole, alla diversità. Perché  vedono  un 'accoglimento' della diversità   solo negli aspetti che possono essere integrati nelle norme e nei codici aziendali senza cambiarli, senza sconvolgerli. Non scardinano le regole ma le confermano ponendo comunque i limiti dentro cui deve stare la diversità.
Per questo nella vita reale di questi discorsi non ce ne facciamo proprio niente. Quello che noi possiamo fare è non accettare che le regole siano comunque più forti, che si debba inevitabilmente adattarsi. Quello che possiamo fare  è  portare e fare vivere la nostra differenza, darle noi per prime valore e fare riconoscere questo valore.
Uscire dalle regole, cambiare le regole è l'unico modo di tenere davvero conto della diversità.
Se no, è un modo per tenerla imbrigliata.

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