BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 15/09/2008

LE LOBBY FEMMINILI E MISS ITALIA

di Luisa Pogliana

Carissime,
ci fa piacere informarvi che la figlia della nostra amica Emanuela Muni, Marianna di Martino De Cecco, è arrivata tra le finaliste di Miss Italia. Oltre ad essere una bellissima ragazza è una brillante studentessa. Dopo aver conseguito la maturità classica (voto '100'), si è iscritta alla Facoltà di Economia alla Bocconi. Sogna di diventare manager nel mondo della moda. Votiamola nel corso delle prossime trasmissioni che andranno in onda l'11, il 12 ed il 13 settembre su Rai1.
(seguono indicazioni su come fare per il voto).

Qualche giorno fa mi è arrivata questa e-mail. Ho riletto tre volte il mittente perché avevo una dissonanza cognitiva: era impossibile quel testo da quel mittente. Invece il mittente era proprio la Fondazione Bellisario. Da cui ricevo sempre comunicazioni sulle attività associative, di solito di un altro tenore. Per chi non lo sapesse, questa è la più nota e importante lobby femminile italiana, orientata a sostenere le carriere femminili in azienda, nelle professioni, in politica. E per questo sviluppa attività con le organizzazioni imprenditoriali e le istituzioni. Ben venga, dunque, c'è talmente tanto da fare su questo terreno che prima di criticare chi si muove e agisce è bene apprezzare quello che di positivo viene fatto. Ma credo anche, proprio perché c'è tanto da fare, che sia meglio non tacere sugli errori. E questo è certamente  un errore pessimo. Perché viene chiesto a socie e non socie non di sostenere una giovane donna meritevole, ma di sostenerla nella sua scelta di affermarsi nel lavoro con un modo preciso. Ognuno per me può fare le scelte che desidera finché non danneggiano altre persone, ognuno ha una sua etica individuale, ognuna può decidere di usare il suo corpo e la sua bellezza come le pare, e io non mi metto certo a giudicare una che vuol fare miss italia o la velina o anche ben altro (o meglio: giudico i modelli, non le persone).
Ma qui non sono in discussione le scelte individuali. Qui sono in discussione dimensioni che toccano la cultura sociale e anche aziendale rispetto all'identità femminile. E' in discussione il fatto che una importante associazione di donne professioniste  manda un messaggio che rafforza invece di contrastare stereotipi che nel mondo del lavoro ostacolano e danneggiano ancora molto le donne.  Non possiamo dimenticarci che sono anni, decenni, che cerchiamo di scrollarci di dosso, in azienda, il fatto di essere sempre ricondotte prima di tutto alla nostra fisicità, all'essere donne prima che manager, professioniste, ministre.
C'è sempre una sorta di rumore bianco, che accompagna una donna in azienda, qualunque sia il suo status professionale, e richiede una certa attenzione: una donna è sempre prima di tutto un corpo, c'è sempre una riconduzione alla fisicità, al suo ruolo tradizionale di donna prima che in qualunque altro ruolo, prima di essere lì come manager. Ogni donna sa che quando entra in una riunione o parla ad una platea, è in primo luogo giudicata per come è vestita, pettinata, eccetera. Basta ascoltare o leggere le cronache politiche: prima di sapere cosa ha detto Condoliza Rice o la Merkel, meglio ancora se è la 'bella' Ségolène Royal,  veniamo informati sul loro abito. Tempo fa, per esempio, un quotidiano nazionale progressista, in un articolo sul governo ombra in Gran Bretagna, mise una fotografia relativa ad una ministra. Non era la sua faccia, ma le sue scarpe zebrate, e la didascalia ci dava l'importante informazione che al congresso precedente, invece, erano tigrate.
E per alcune il problema si pone, oggi in modo nuovo. Vediamo nell'esperienza quotidiana che  molte donne più giovani vivono sentono molto l'attenzione dell'ambiente di lavoro nei confronti della loro fisicità, della loro bellezza. Si trovano speso circondate (e qui sì che le aziende italiane eccellono) da una cultura diffusa dove la valutazione professionale di una donna non prescinde dalla sua bellezza e sensualità.  E' l'effetto della diffusione nella cultura sociale del  modello 'velina' o simili, che  ha aperto varchi nel codice di 'serietà'  legato all'ambiente aziendale (le eccezioni si fanno sempre a vantaggio di interessi maschili).
L'esibizione della seduttività  non è più apprezzato solo su un piano personale, ma è una specie di requisito ovviamente non ufficiale ma valutato. Chiaro che non è  di per sé sufficiente, ma se c'è, aiuta. Sembra un'affermazione esagerata? Non si tratta di drammatizzare, però  diverse ricerche parlano di come la cura del proprio aspetto è considerato, da  dirigenti uomini e donne, un fattore che può aiutare molto una donna nel suo lavoro.
Come cambiamo questa cultura aziendale se anche le lobby femminili  finiscono per condividerla? Mi piacerebbe sentire una parola di autocritica dalla Fondazione Bellisario. Mi piacerebbe sentire che continuerà invece a sostenere il 'sogno' di molte donne nel loro percorso di lavoro: di essere valutate veramente per le loro parole, la loro intelligenza, la loro preparazione, la loro competenza, le loro capacità. Di essere libere di pensare alla loro sensualità con chi vogliono e quando vogliono loro.

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