BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 15/06/2009

ROLE MODELING, OVVERO L'EFFETTO DOMINO. E IL CASO DI MARISA BELLISARIO

di Luisa Pogliana

 Role modeling
Recentemente, una giornalista del Sole 24 ore, Anna Zavaritt, mi ha fatto alcune domande su temi di attualità che voleva trattare nel suo blog. Una di queste mi sembra meritare più di di una riflessione.
“Si parla molto -diceva la domanda a proposito di carriere femminili-  di role modeling: è vero che una donna manager puo' avere un effetto 'domino' sulle altre dimostrando che 'ci si puo' riuscire'?” Ovvero, il fatto di vedere una donna che 'ce l'ha fatta' ad arrivare a posizioni importanti in azienda, provoca di per sé un effetto positivo di motivazione e fiducia nelle altre. Ho vari dubbi su questo automatismo lineare, sulla base dell'esperienza personale confrontata con quella di altre donne.
Il role modeling certamente aiuta, incoraggia. Anche solo vedere che in azienda qualcosa nella cultura cambia aiuta a pensare possibile un progetto. E, soprattutto, una cosa di cui le donne sentono molto la mancanza è proprio quello di modelli femminili con cui confrontarsi, che mostrino una via diversa, in cui trovarsi più a proprio agio. E  più si arriva a posizioni alte in azienda più si è sole. Ma proprio per questo, vedere altre che 'ce l'hanno fatta' funziona davvero solo a certe condizioni.
Pensiamo per esempio ad un altro scenario, quando, fino a non tanti anni fa, “l'inferiorità” femminile era culturalmente data per scontata. Pensiamo a quanti libri, con tutte le buone intenzioni, venivano compilati sulle donne illustri, per esempio nell'arte. E, recentemente, pensiamo a quanti sono stati dedicati a donne importanti che si sono via via affermate in diversi campi, managerialità inclusa.  Certo, potevano nutrire un orgoglio di appartenenza, essere una prova della non inferiorità femminile così esplicitamente teorizzata, potevano soffiare ossigeno sulle braci che ci covavano dentro. Ma potevano essere anche un fattore scoraggiante, perché in realtà quelle donne illustri venivano presentate come eccezioni, una specie di bestiario curioso di devianza -illustre, ma sempre anomalia- rispetto alla normalità. La meraviglia, l'insolito. E dunque, una prova che noi, quelle 'normali', mai saremmo potute essere così (come se per un uomo fosse invece più normale e possibile essere Beethoven o Modigliani o Agnelli: solo perché statisticamente più frequente, per le ragioni sociali che abbiamo imparato poi a conoscere).
Dunque non c'è un effetto positivo automatico nel vedere un'altra donna 'che ce la fa',  ma conta come  ce la fa. Conta se e come le altre  possono leggere e usare il suo successo.
Per esempio, se una donna si afferma mettendo in campo caratteristiche maschili, adeguandosi al modello unico (come è stato soprattutto nella prima ondata di donne manager), questo è se mai una conferma che per arrivare lì non si può restare donne. Conta invece se quella donna ha raggiunto una posizione importante restando se stessa, mantenendo e valorizzando le sue caratteristiche femminili e personali. Allora questo dice molto più concretamente che si può proprio come donne, e mostra come, mostra un modo diverso di essere leader in cui tutte possono rispecchiarsi e trovare strumenti.  Conta poi una cosa importante: la relazione che si può stabilire con altre donne. Se questo percorso di successo non resta un fatto individuale, ma viene messo in circolo, allora  diventa un passo avanti per tutte. Perché le conquiste individuali che restano tali non cambiano realmente le regole aziendali che penalizzano le donne. Diventano un'eccezione che riguarda solo una persona, e che può essere rimangiata in qualunque momento. Se restano e sono gestite come fatto individuale, possono anzi rafforzare la bassa stima di sé che molte di noi si portano silenziosamente dentro: “ecco, lei sì che è brava, sono io che non sono capace, che sono solo un bluff” (è il “complesso dell'impostore”, così accuratamente taciuto e così diffuso tra le donne impegnate in un percorso professionale).

Una donna nel mondo tradizionalmente maschile della grande industria
Mi è capitato di vedere come queste cose, in parte, siano avvenute decenni fa nell'esperienza di una donna, un'importante top manager in genere citata solo come una specie di simbolo, di icona per eccellenza della donna 'che ce l'ha fatta' in territorio maschile. Marisa Bellisario, la cui storia meriterebbe di essere conosciuta meglio. Rileggendo ora la sua autobiografia, (1) si trovano aspetti a volte sorprendentemente attuali e poco valorizzati a suo tempo. Eppure aveva attraversato anni di crescente movimento delle donne senza esserne coinvolta. Ma il suo modo diverso di essere, il suo restare se stessa, il suo restare donna l'hanno portata a diversi momenti di vicinanza e attenzione per le altre donne, a cominciare da quelle che nella sua azienda lavoravano. “Io ho fatto carriera senza imitare modelli maschili e ho utilizzato le mie qualità senza rinunciare, come donna, a nulla d'importante”. Ed erano tempi dove per le pochissime donne manager questo fatto non era né facile né previsto.
Ma è a partire da qui, dal pensare che lo stesso possa valere per le altre donne che comincia ad occuparsi delle condizioni di lavoro e quindi di vita delle donne nella sua azienda. Voglio solo fare qualche accenno a quelle che oggi chiameremmo best practices, da lei portate avanti. Per esempio, chiedere dati e documentazioni precise sulla loro situazione in azienda, rifiutando i pregiudizi dei collaboratori (“le donne sono più assenteiste, non si trovano donne con formazione adeguata per assumerle”). E poi, con questi dati, attivare la sperimentazione dell'orario flessibile, cambiare i criteri di assunzione per i neolaureati portando così l'incidenza delle donne dall'8 al 28 per cento in cinque anni, aprendo l'accesso a settori fino ad allora solo maschili. Seguiranno anche impegni a livello politico.
E anche, con atteggiamento direi molto femminile, occupandosi di cose apparentemente banali, come l'attenzione ad un luogo di lavoro dove stare con un certo benessere. Così, semplicemente, far pulire e tenere ordinati i reparti di fabbrica. E le donne che in prevalenza vi lavorano non mancano di apprezzarlo “Qualche giorno dopo (questo intervento) ho ricevuto un'orchidea e un biglietto di ringraziamento delle operaie”. Che, in altre occasioni si rivolgono a lei chiamandola per nome, come sicure di poter avere la sua comprensione. Visitando un capannone “ho visto un cartello che mi è parso simpatico: 'Marisa vieni più spesso così puliscono'”. Marisa era il loro Amministratore Delegato.
Certo tutto si può guardare con occhio critico, niente basta mai e niente è la cosa giusta e risolutiva. Queste critiche io me le ricordo fin da allora, ma in realtà, pur con tutti i limiti, sappiamo bene quanto può essere prezioso questo uso del potere: un uso femminile, un 'potere di fare' che cambia qualche regola a vantaggio di tutte. E' in questo modo che il potere raggiunto da una può avere un vero effetto sulle possibilità di altre.
“Mi sono impegnata usando, tra l'altro, il mio lavoro come testimonianza degli obiettivi che una donna può raggiungere nel mondo tradizionalmente maschile della grande industria”.
E, aggiungiamo, si è impegnata per creare alcune condizioni perché ciò fosse almeno un po' più possibile, per quelle che lo desiderano.
Ma c'è anche un altro aspetto che mi ha colpita. Lo scambio e il supporto tra donne non avviene solo, nel suo caso, con un movimento unidirezionale di lei che avendo il potere fa qualcosa per le altre. In realtà anche lei sembra prendere forza dal sostegno delle donne, perfino quando si trova in posizione di potere ai massimi livelli possibili. “Mi fa piacere notare una solidarietà crescente tra le donne, che mi è testimoniata da tanti piccoli e grandi episodi. Alla fine del 1980 8...) ho sperimentato su di me questa solidarietà, che ho confrontato con l'atteggiamento del personale femminile negli anni Sessanta e Settanta (...) c'era qualche volta, diffidenza delle donne verso una donna capo, e perciò verso di me. Nelle mie visite alle fabbriche e alle sedi dell'Italtel ho trovato spesso simpatia da parte delle donne, gesti gentili, auguri, qualche volta fiori. So di non aver fatto abbastanza per corrispondere a tutte le attese, ma questo è l'elemento che mi ha spinto ad un impegno diretto nella questione femminile”.
Ecco: mi pare che già qui siamo al di là dell'uso della donna-meraviglia e della donna-eccezione. Qui già affiorano idee importanti. Cosa può costruire il sostegno, lo scambio, la restituzione tra donne; l'uso femminile del potere non come potere di dominare ma come potere di fare, e di fare per sé e per le altre. L'idea, magari non teorizzata ma intuita, che la strada di una difficilmente può essere separata dalla strada delle altre. Un'altra idea di role modeling.


1 - Marisa Bellisario, Donna & Top Manager. La mia storia, Rizzoli, Milano 1987.

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