BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 09/08/2010

MA CHE COS'E' LA FEMMINILITA' IN AZIENDA? (1)

di Luisa Pogliana

Due copertine, di Economist e di Time, hanno recentemente messo il mostro in prima pagina. Il mostro sono le aziende renitenti a capire quanto vantaggio possono trarre dalla valorizzazione delle donne. Conterà il fatto che, per esempio, oggi le donne in America sono esattamente la metà della popolazione occupata? E che questo ha scardinato ogni idea tradizionale di ruoli di genere? Per capirne la portata si veda il recente utilissimo rapporto Schriver (2).
Venendo a noi, all'Italia, tutto questo non è affatto entrato a far parte della strategia delle aziende italiane.
Va detto che le best practices ci sono, e nemmeno poche, si dovrebbe semmai cercare il sostegno in questa direzione da parte delle associazioni imprenditoriali. Ma qui parliamo della cultura aziendale prevalente. La cui interpretazione di  diversity management è più o meno questa: esiste un management 'normale', rispetto al quale si definisce la 'differenza' di nuovi soggetti manageriali, le donne. Che portano uno scarto rispetto al modello. Negativo, si sottintende, perché se in questa società il modello di riferimento continua ad essere l'uomo, le donne sono inadeguate per definizione.
Data questa premessa, anche a fronte di reali esigenze espresse dal mercato del lavoro qualificato, l'atteggiamento non è la valorizzazione delle differenze, ma la normalizzazione. Ovvero, accettare alcune componenti di diversità che possono essere un'aggiunta utile e innocua agli standard consolidati. Accettare un po' di femminilità, come una specie di cacio sui maccheroni. Per il resto, si continua a valutare in base al modello di ruolo affermatosi nelle aziende storicamente maschili.
Ma qui è successo qualcosa. E' successo che è entrata nel gioco una generazione di donne manager non più ristrette ad un'élite, e costrette quindi a giocare con le regole date. Oggi queste donne portano consapevolmente nel lavoro la loro differente visione, mostrano che le regole non sono neutre e buone per tutti, e che non esiste un unico stile di management.
Queste pratiche comportano allora un cambiamento nel modo di intendere il management?
Direi di sì. E non mi limito qui ad esprimere una mia opinione. Mi baso sulle evidenze di un lavoro di ricerca che ho svolto recentemente con un gruppo di donne manager (3).
Per esempio, guardiamo al loro stile di guida. Propongono un modo di essere capo fondato sull'autorevolezza personale piuttosto che sull'autorità di ruolo. E difficilmente si trova una scissione tra persona e ruolo esercitato. Questa è una importante differenza. Le donne portano anche nel lavoro la loro interezza di persone:  la realizzazione nel lavoro è  una scelta imprescindibile, ma non totalizzante. E pensano che ciò non solo sia giusto ma anche compatibile con il loro ruolo manageriale.
A partire da questo, anche i collaboratori sono visti come persone a cui si dà attenzione, nella consapevolezza che se si sta meglio si lavora meglio. L'autorevolezza nei loro confronti si fonda non solo sulla razionalità ma anche su leve affettive -come  coinvolgimento e riconoscimento- capaci di motivare le persone agli obiettivi.
Su questo punto specifico, però, vale la pena di fermarsi un momento. Perché la competenza emotiva, l'attenzione alle persone, la capacità di relazioni, sono indubbiamente una parte importante del bagaglio manageriale. E le donne hanno molto spesso queste attitudini, anche per portato storico, per l'esperienza secolare di agire nel mondo privato degli affetti e della cura.
Ma tutte queste capacità vengono spesso citate come la caratteristica femminile da valorizzare. Come se fosse solo questo ciò che le donne portano nel management, il solo motivo per prenderle in considerazione. Così in azienda si tende a confinarle in ruoli in cui sono professionalmente importanti le relazioni  tra persone (tipicamente, nelle Risorse Umane).
Insomma, sembra quasi configurarsi una nuova mistica della femminilità in veste professionale.
Mistica, perché così si finisce per lasciare le donne là dove sono sempre state, nella sfera degli affetti e delle relazioni. Se poi sono le donne a scegliere per sé questi ruoli perché se li sentono adatti, oppure li prendono al volo perché queste e non altre sono le possibilità aperte dall'azienda, va benissimo. Ma di mistiche diventate gabbie ne abbiamo abbastanza.
Credo, insomma, che occorra guardarsi dall'avallare una nuova retorica del femminile, una definizione di cosa è la femminilità in azienda fatta ancora dagli uomini. Perché questo significa un progetto di 'accoglimento' della diversità limitato solo agli aspetti e ai modi che possono essere integrati negli schemi aziendali già dati. Negando ogni azione tesa a cambiarli.
Ma la differenza femminile e il suo valore in azienda, il contributo femminile all'allargamento degli orizzonti manageriali va ben oltre tutto questo. E non può essere sintetizzato in un elenco di skill specificate (e limitate) con precisione.
La differenza femminile sta, piuttosto, in un atteggiamento complessivo, che si manifesta nella prevalenza della persona sul ruolo, dello schema personale sullo schema di ruolo. Le donne si rapportano al lavoro prima in base al proprio carattere e alla propria visione, e solo dopo si confrontano con norme e modelli, sempre sgomitando un po' per adattarli a sé.
Per gli uomini è normale adattarsi agli standard, non solo perché li fanno loro, ma anche perché costituiscono una difesa e una comodità. E' più facile dire 'si fa così' che essere se stessi lavorando.
Se ci si adegua a un modo di fare consolidato, nessuno potrà dirci che abbiamo sbagliato. Ma in questo modo si finisce per ingabbiarsi in modelli di management che tagliano fuori ogni capacità e ogni visione diversa.
Dalle donne vediamo emergere uno stile più personale, meno definito in senso organizzativo. Non  un modello diverso ma altrettanto fissato in codici, potenziale nuova gabbia. Piuttosto, un metamodello.
La via femminile alla leadership forse sta semplicemente in questo: nell'essere se stesse, nel non modificare il proprio stile personale, nel non assumere atteggiamenti finti e forzati. Nel non costringersi dentro corazze inadatte ad un corpo diverso.
Dunque, invece di parlare di valorizzazione delle differenze in base a un'idea di femminilità aziendale codificata, che magari non è la nostra, si potrebbe cominciare a lasciarci libere di lavorare come vogliamo. Libere di essere equamente valutate e premiate -cose non così scontate- per quello che facciamo, per i risultati che portiamo.


1 - Una versione più estesa di questo articolo è stata pubblicata su Direzione del Personale, numero sul Diversity Management, luglio 2010

2 - The Shriver Report. A Woman’s Nation Changes Everything. By Maria Shriver and the Center for American Progress, edited by Heather Boushey and Ann O'Leary | October 16, 2009
Il rapporto descrive come una nazione di donne cambia tutto nel modo di vivere e lavorare oggi, partendo dal fatto che per la prima volta negli USA le donne sono il 50% della popolazione occupata, e nella maggior parte dei casi sono la principale fonte dei guadagni familiari.www.americanprogress.org/issues/2009/10/womans_nation.html

3 - Su questa ricerca si basa il mio libro Donne senza guscio. Percorsi femminili in azienda, Guerini e Associati, 2009.

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