BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/01/2000

Grovigli nelle reti accademiche di Internet

di Luis Porter

Una delle virtù potenziali di Internet è il rafforzamento della comunicazione tra universiadi. I suoi vantaggi sono evidenti:comunicazione istantanea, invio di documenti, accesso alle fonti di informazioni, avvicinamento a professori e colleghi di istituzioni distanti, ecc. Quando la comunicazione si organizza in una rete, i vantaggi si moltiplicano, si ha accesso a ricercatori che conoscevamo solo per i loro testi, si possono scambiare idee nel corso del tempo con l’apporto di altri colleghi con interessi simili o divergenti, con i quali possiamo discutere e imparare, e –cosa più importante–  diamo contenuto e senso a futuri incontri faccia a faccia, che saranno meglio preparati, più facilmente potranno concretizzarsi con pateticità,  al di fuori dei cerimoniali che nei congressi si utilizzano per “socializzare” e che consumano tanto tempo.

Tuttavia, perché la rete abbia questa e molte altre funzioni positive, devono darsi certe condizioni. Quando queste non esistono, la rete si avvicina a una “chat room” popolata da dilettanti, amanti del soliloquio e altri tipi di personaggi molto spesso deliranti

Senza basarmi in bibliografie, mi sbilancio ad indicare qualche condizione di base necessari perché una rete di ambito universitario abbia successo.

  1. Deve avere come base un campo di conoscenze e una problematica determinata.
  2. Deve avere come leader un accademico dinamico (intendo con questo intellettuali riconosciuti per la lavoro produzione, che mantengono una presenza attiva dentro la rete, contribuendo costantemente con i propri commenti, con opportune informazioni, con vincoli e con la promozione di incontri faccia a faccia).
  3. Deve essere composta da membri che formano parte di una comunità di pari, le cui credenziali li accreditano come tali.
  4. Altri fattori possono essere, per esempio, una piattaforma tecnologica avanzata, o l’uso appropriato del “linguaggio cibernetico” (dialoghi basati su messaggi brevi, schematici, quasi “appunti in brutta copia”, cui si affiancano la messa in circolo e lo scambio di saggi e articoli di taglio nettamente accademico).

Quando queste condizioni sono presenti, la rete si “modera” automaticamente, senza necessità di norme e controlli. Si tratta di reti dove le persone hanno nome e cognome e indirizzi identificabili, e hanno alle spalle una traiettoria che fa parte delle informazioni accessibili; reti dove c’è organizzazione e che sono caratterizzate da una attenzione costante; reti che sono integrate da coloro che vi partecipano alla routine accademica, così come lo sono.

Ci sono però reti universitarie che non giocano questo ruolo, non hanno raggiunto questo livello di efficienza e di integrazione. Queste reti si appoggiano sull’astratto sostegno d i una istituzione o di gruppi cresciuti attorno a dipartimenti o istituti. I membri che le guidano, a volte di gran nome, sono di quelli che non hanno tempo o che non si degnano di abbassarsi al livello terra terra della rete.  I suoi partecipanti sono universitari di buona fede, ma anche casuali visitatori di Internet che si appropriano di un microfono aperto e che si convertono in partecipanti spontanei, non sottoposti all’autocontrollo dato dal rispetto di un campo di conoscenza  o di una problematica definita, mossi dall’opportunità di poter “dire la propria”. Con la conseguenza di inondare, congestionare e alla fine soffocare i canali di comunicazione.

“La tecnologia è una maniera di organizzare il mondo, in modo che l’uomo non sia costretto a sperimentarlo”, diceva il romanziere svizzero Max Frisch. Neil Postman, il famoso umanista nordamericano, nel suo recente libro Un ponte verso il XVIII secolo ci avverte di qualche pericolo insito nella nostra epoca dell’informazione e della tecnologia Internet. Uno di questi è “il trionfo della tecnologia con un occhio solo”. Si riferisce allo schermo televisivo, e al suo principale sostituto, lo schermo del computer. La metafora del Ciclope si applica allo stesso modo al “tecnofili”, che con il loro unico occhio possono vedere solo quello che hanno di fronte, ma sono ciechi di fronte al contesto e al suo contenuto, e non sono in grado di rendersi conto di quello che si può realmente fare con questa invenzione in termini di processi di socializzazione, valori e creatività. Sono molti quelli che credono che la tecnologia e in particolare Internet sono i mezzi moderni che serviranno per  raggiungere la “democrazia partecipativa” che porterà forse il mondo a quella armonia tanto cercata… o la “vita accademica” che abbiamo perduto. È normale allora che autori intelligenti, come Postman, riservino significative critiche alle profezie che esaltano il ruolo della tecnologia. Postman combatte   il “tecno–utopisimo”, denunciando l’abuso che molti fanno della parola nell’illusione di aver trovato la comunicazione che mancava loro… Il computer tende a esser utilizzato, tanto in ambito accademico come nel privato, come un’altra TV: come intrattenimento o evasione che ci porta essenzialmente  a evitare di prendere sul serio il mondo e noi stessi.

Ogni rete che si sottometta ai va e vieni del transito su Internet, può indurre in tentazione, perché apparirà alla “patologia universitaria” come luogo adeguato per la sua catarsi. Chi non si è trovato nella necessità di tollerare, in presentazioni di libri, dibattiti, e incluso in riunioni accademiche di organi collegiali, il classico tipo che alza la mano per impossessarsi del microfono e non lasciarlo più? Non è nuova l’attrazione che molti accademici provano per  i “mondi di parole”. Mondi da costruire e nei quali rifugiarsi, mondi virtuali, che costringono ad allontanarsi dal “mondo di non–parole”, che è il mondo reale.  È qualcosa che caratterizza le nostre istituzioni di educazione superiore, il docente o investigatore che vive chiuso nel suo cubicolo o aula, senza troppi rapporti con quello che “sta di fuori”.

Mentre in epoche passate la prosa di un professore offriva una rappresentazione del reale più vera di quella che era esistita fino a quel momento, l’epoca attuale, separando la parola dalla realtà, confonde il virtuale con il reale. Mentre in qualche epoca l’“informazione” aveva uno scopo, era raccolta perché avrebbe potuto servire a qualcosa, oggi partecipiamo alla produzione di informazione spazzatura, che non ha nessuno scopo,e poco o niente ha a che vedere con la conoscenza. Che problemi ci aiuta a risolvere questa informazione? I nostri patimenti non hanno nulla a che vedere con l’informazione alla quale abbiamo accesso tramite i mezzi ai quali oggi si aggiunge il computer. Come fare per sostituire le pagine di Internet con pagine di sapere?

Gli adepti di queste reti aperte, che le usano come”stanze di chat”, sanno o intuiscono che le parole sono strumenti dell’immaginazione che possono tradursi in emozioni e provocare diversi stati d’animo. Però il senso dell’uso dell’immaginazione nelle reti accademiche, va al di là del rompere la nostra solitudine mettendo al lavoro la nostra fantasia. Mentre gli universitari patologici preferiscono rifugiarsi o evadere del mondo reale nel quale si trovano, gli accademici sani vedono nella rete una opportunità, un cammino verso il prossimo incontro, il luogo di scambio di materiale utile e di disseminazione delle idee.

Le persone che utilizzano la rete come “la maschera che permette di rivelarsi” provano piacere nell’apparire sullo schermo, ottengono così quei 15 minuti di precaria fama ai quali alludeva  Andy Warhol. Ritardano e contaminano la comunicazione, rispondendo a curiosità banali, a megalomanie represse, a aggressioni passive, utilizzando le chat come il detonatore di delle loro emozioni trattenute, dei loro desideri nascosti, paure o ambizioni non confessate. Non bisogna confondere questo tipo di espressione con il dialogo o il dibattito che nutre la vita accademica. Vita accademica è integrare le parole con le azioni, in ogni caso, è il luogo dove il mondo fisico e metafisico si incontrano.

Se è vero che il virtuale e il reale non sono mondi che si escludono, e in certi ambiti dei nostri comportamenti non è né facile né utile distinguerli, in ambito accademico è importante essere capaci di costruire il nostro mondo reale, con armonia e sensatezza, con comunicazione e forza vitale, nella nostra quotidianità, e non trasferendoci in una realtà virtuale per confonderla con la realtà. La realtà è oggi, qui ed ora, è fatta di quello che siamo e abbiamo.

È a partire da tutto questo che dobbiamo continuare a costruire o ricostruire la nostra vita di universitari. E mentre facciamo tutto questo ogni giorno nel lavoro di ricerca, di docenza, di servizio, dovremmo usare il computer e le sue reti nello stesso modo in cui usiamo il lapis, il quaderno, o il telefono, per organizzare le nostre idee, per condividerle, discuterle e in questo modo prepararci per il prossimo incontro nel quale ci stringeremo la mano, ci guarderemo in faccia e daremo voce, tono, musica e colore alle parole scritte.

Nota di Francesco Varanini. Luis Porter è argentino e vive e lavora a Toronto. Conosco Luis Porter perché partecipiamo entrambi al Grupo de Discusión en Estudios Organizacionales (GRUDEO; iscrizioni: AEO-subscribe@listbot.com ; archivio: http://AEO.listbot.com ) promosso dall'Área de Estudios Organizacionales dell'Università di Città del Messico (http://www.iztapalapa.uam.mx/iztapala.www/division.csh/economia/estudiosorg/ ). Verso la fine del 1999 Luis ha fatto circolare tra amici questo scritto inedito pregando di diffonderlo. La traduzione dallo spagnolo è mia.

 

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