BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/06/2004

L'ORCO

di Gianfrancesco Prandato

A tutte le sua vittime,

sicuro che oggi sono almeno piu' felici

 

Francesco era quello che definirei un professionista. Poche emozioni e ben camuffate, sepolte dentro di sé, molto lavoro, altrettanti risultati.

Il suo aspetto era particolare; media statura, capelli radi una faccia da film, larga e espressiva con guance carnose e un grande naso sopra un bel sorriso.

Vederlo fuori di sé era una cosa non comune. La rabbia era visibile, montava le guance di rosso e il suo naso prominente appariva ancor più rubino. La cosa più evidente era che sotto i radi capelli si intravedeva il cuoio capelluto assumere la stessa gradazione di rosso. Insomma era proprio fuori di sé anche se la voce e le movenze erano del tutto controllati.

“Che cosa è successo?, cosa c'è di tanto grave?” dissi con la confidenza di una persona che lo conosceva bene.

“Non è successo niente, ma succederà, ed è ora di finirla” rispose secco tradendo rabbia e disprezzo per gli eventi.

”Cosa, cosa succederà, sii più chiaro che non ho voglia di perdere tempo”.

“Già questo è un altro discorso, come usi il tuo tempo, solo quello che pare a te è importante.” Rispose.

Improvvisamente era come se si fosse rotto un equilibrio, una situazione di rispetto professionale, in fondo ero il suo capo; di amicizia, lo conoscevo da quando eravamo ragazzi; e come dire di leadership personale, perché gli avevo sempre aperto la strada, procurato le occasioni, o almeno così mi era sembrato. In un momento con poche parole, e di più, con la sua espressione, mi aveva trasferito un bel po' di ansia.

“Va bene, dimmi una cosa è successo”

“Sono stato dal tuo ‘amico' Otello, sta cercando un bel po' di persone.” Rispose,

La sua risposta era vera, ma non veritiera; stava trasferendomi delle notizie, ma non delle informazioni . La cosa più interessante era il modo con cui aveva detto “quel tuo amico”, che definiva il mio rapporto con il dott.Ridelli, il potente capo della comunicazione.

Non c' era nulla di strano in quelle parole, Francesco era il responsabile della selezione del personale, e quindi cercare persone e assumerle era il suo normale lavoro,

Ridelli, detto Otello, era un mio grande amico, avevamo in comune la passione per lo sci e dei modi di fare che alle volte potevano sembrare un poco bruschi, una autostima e una passione genuina per il lavoro assolutamente divorante.

“E allora” dissi, “cosa c'è, sta andando fuori budget, se è questo credo abbia ragione lui perché le attività di comunicazione stanno crescendo, non cominciare a fare il burocrate, dobbiamo essere una azienda flessibile, seguire il mercato, ti ho detto tante volte che il budget è uno strumento di programmazione non è la bibbia, il mondo cambia e dobbiamo seguirlo, bisogna essere moderni.”

“No, non è questo” replicò Francesco,

”Non è il tuo cazzo di budget, tieniti le tue espressioni manageriali, non è questo il problema, il problema è molto più banale, ma molto più grave, per una volta non si tratta di business, ma si tratta di persone, di gente che cammina, mangia, fa figli, vive e muore .”

Il mio stato d'animo era ormai indefinibile, ero messo sotto pressione e giudicato da un mio collaboratore e amico. Avevo commesso qualche grave errore di cui non mi rendevo conto, ma agli occhi di Francesco, che era ripeto un dignitoso professionista, era qualcosa di imperdonabile.

“Vuole cambiare la segretaria”, disse e prevenendo qualsiasi risposta continuò, “non è una cosa normale, è la decima in sei anni, non è una cosa normale, io non vado fuori ad assumere un'altra persona che sarà una candidata all'obitorio; non è una cosa normale cambiare dieci segretarie in sei anni, come non è normale che tu, diciamo l'azienda che tu rappresenti glielo permetta e glielo perdoni. Siamo di fronte a un problema di coscienza, amico mio, non a un problema di business, non è possibile che dieci persone siano sbagliate e una sia giusta, è contro il concetto di democrazia, di statistica e anche contro qualsiasi logica. Ora, io penso che tu debba fare valere la tua autorità, tu sei il direttore del personale, di tutto il personale, non solo dei dirigenti, devi fare qualcosa, fatti valere, lo devi fermare, altrimenti, ..oltretutto, non avremo più credibilità interna, i capi funzione capiranno che possono fare quello che vogliono.”

Capivo tutto, in un istante realizzavo.

L'ultima parte della frase era una manipolazione, non c'era nessun problema di credibilità interna, ma il contesto in cui l'aveva detto e il concetto erano molto chiari. Era l'amico che mi parlava, una persona che mi conosceva profondamente, nelle mie passioni, nella mia personalità, nei miei amori letterari, era l'amico che mi esortava e sfidava allo stesso tempo, fai un gesto, fai qualcosa per qualcuno, io al posto tuo, con la tua autorità, lo farei.

Era una richiesta legittima? Non sapevo cosa dire e tanto meno cosa fare.

Risposi dopo un giorno di riflessione. Avevo cercato tutte le vie di uscita, anzi tutte le vie di fuga. Scappare dal problema, dal confronto questa era la cosa che cercavo di fare. Effettivamente Otello era un amico sui generis; una persona che aveva una grande nota di umanità,ma solo in apparenza.

Ingannava quasi tutti, all'inizio, con la sua affabilità.

La sua voglia di mettere le persone a proprio agio era in realtà un modo di farle scoprire, di capirne i punti deboli.

Poi era un crescendo.

Come in quel vecchio film con la Ullmann; “Angoscia”, in cui un marito interpretato da Charles Boyer faceva impazzire lentamente la moglie togliendole le certezze, così faceva lui.

Costruiva una rete di piccoli accadimenti, dettagli che poi portavano al giudizio negativo sulla persona. Interpretava in modo univoco i fatti banali, tutto era un segno che la persona non andava bene e che chi la aveva assunta era un incompetente. Una telefonata con un cellulare in cui cadeva la linea, un errore tipografico in una bozza, dovuto perlopiù alla sua incapacità di scrivere, un caffè portato senza la giusta quantità di zucchero; erano catastrofi irreparabili. Per non parlare di frequentazioni, poco raccomandabili con persone che non appartenevano alla sua direzione. Andare a mangiare in mensa era così trasformato in una prova di lealtà suprema.

Poco importava se gli errori non c'erano, o non erano imputabili alle segretarie, o se la gente era riservata, lui si faceva la sua opinione, ed era sempre la stessa, non andava bene, andava cambiata.

L' unico variabile che cambiava era il tempo; alcune duravano di più, altre di meno, era come si dice una persona di solidi principi, coerente.

Che possibilità avevo di convincerlo o farlo cambiare?

Praticamente nulla.

Però, Francesco aveva ragione, io rappresentavo l'azienda, il potere costituito, l'istituzione avrei dovuto intervenire. Ma cosa fare, convincerlo che non era giusto, impossibile! Imporgli di tenersele era difficile e soprattutto avrei reso la vita delle persone un vero inferno, tale era il livello di vessazione a cui le sottoponeva.

Comunque dovevo fare qualcosa per la mia credibilità personale, ci provai.

Chiamai direttamente la segretaria per fissare un appuntamento, cercavo così l'opportunità di sentire dal suo tono di voce se lei sapesse e quanto deteriorata fosse la loro relazione professionale.

La voce era impersonale, strano nella nostra azienda, suonava quasi come un risponditore automatico.

“Buongiorno, sì, in cosa posso esserle utile, sì, se il dott.Ridelli la può vedere? La richiamo io, mi faccia verificare, sa è molto impegnato, domani, non so se è possibile, mi faccia verificare, la richiamo, l'argomento? Riservato, scusi devo insistere il dott.Ridelli vuole sapere in anticipo, il budget! Va bene la richiamo arrivederci.”

Il budget, cosa c'era di più stupido e banale, la discussione sulla vita virtuale dell'azienda, sul come avevamo pensato di essere; ma funzionava sempre era l'argomento principale.

L'appuntamento fu confermato poco dopo. Era per le tre, nel pomeriggio, unica ora disponibile, l'orco aveva il suo rituale, se volevi vederlo dovevi andare da lui e all'ora che voleva lui.

L'incontro

Venne a prendermi alla porta, l'ufficio della pubblicità si trovava in un altro edificio, e mi accompagnò sforzandosi perfino di camminare con un tono professionale. Il suo tono di voce era pacato, ripeteva ogni dieci secondi come un intercalare il nome di Ridelli, ovviamente preceduto dal dottore, che gli dava un' importanza e un tono non certificati dalle istituzioni scolastiche. Lo faceva credo per far vedere che aderiva, che ci provava, che stava dalla sua parte.

La sindrome di Stoccolma pensai.

Stoccolma era quella città in cui dei rapinatori, erano rimasti chiusi in un caveaux per decine di giorni assieme a degli ostaggi. Gli ostaggi a loro volta avevano finito per familiarizzare e fraternizzare con i rapinatori che li avevano rapiti.

Amavano i loro carnefici cercavano di farsi accettare da loro, li capivano e li giustificavano.

Come Patricia Hearst che da rapita divenne terrorista.

Entrai nella sala di aspetto e mi accomodai sul divanetto; quegli uffici, con la loro riservatezza e i loro pass magnetici, mi sembravano un luogo da cui la gente non poteva scappare, piuttosto che un luogo protetto dalle intrusioni.

Venne a prendermi e mi fece accomodare; l'orco stava parlando al telefono e mi fece sentire come al solito un lungo pezzo di telefonata prima di parlarmi.

"si', ma si', lo sai come sono fatto io, io la verita' la dico e non ho paura di dirla……,

…..cosa?,

…. ma si' quello li' e' un poveretto, uno che non ha un mestiere e se perde il lavoro chi glielo trova un posto a quello?….

….., va bene adesso ti devo lasciare, ho ospiti."

La mia mente vagava raccoglievo pezzi di frase: giudizi, giudizi, giudizi, in continuazione, su tutti; affermazione di sé stesso; quanti io, io , io, io, sicuramente di piu' di quanti ne reggeva la frase.

E, ovviamente, una sola verita', la sua.

La verita' vera si ha paura di sentirla dire, mai di dirla.

E l'orco aveva paura come tutti, era solo un uomo fragile in cortocircuito di potere, ma come spiegarglielo?

"Ciao, vuoi un caffe' "

"No, grazie"

Ci conoscevamo da dieci anni e non ne avevo mai bevuto uno, ma continuava a far parte del rituale.

"Allora cosa si dice nei quartieri alti", disse con, quello che pensava fosse, un tocco di umorismo. Si riteneva infatti molto piu' importante di tutti, soprattutto di me.

"Beh, si dice che sara' un anno duro, che dovremo passare questa congiuntura negativa con molta attenzione, soprattutto ai costi, che il prossimo anno sara' meglio."

"Comunque non sono qui per questo, sono solo venuto a parlarti delle assunzioni, sai delle nuove persone che vuoi prendere."

"Sono state gia' approvata dall' AMMINISTRATORE DELEGATO"

replico', con una nota di sottolineatura, come a dire le ho gia' discusse con qualcuno piu' importante di te cosa vuoi adesso, devi solo eseguire!

"Tutte, tutte"

dissi,

"Anche la tua segretaria?"

"Certo, anche la mia segretaria, faccio della mobilita' interna, sposto una persona dall'ufficio ricerche statistiche e …"

lo interruppi bruscamente dicendo:

"No, scusa un momento, voglio sapere se gli hai detto che cambi la tua segretaria, lascia perdere la mobilita' interna che hai intenzione di fare."

"Ma cosa vuoi, che discuta con l'amministratore delegato di una segretaria, non mi sembra il livello di dettaglio che gli serve"

Gia', segretaria, era stato sottolineato con particolare enfasi, come parlasse di una cosa poco importante. In realta' era molto importante per lui perche' era oggetto delle sue "attenzioni" quotidiane. Tentai la carta che quei ripetuti io, io, io , della precedente telefonata, mi avevano suggerito: tentai di puntare sulla sua immagine.

"Ok, ma lo sapranno tutti che ne cambi un'altra, la tua figura in azienda e' molto visibile, e' anche un problema per la tua immagine"

Scatto' come un cobra senza minimamente entrare nel piccolo trabocchetto che gli avevo teso.

"La mia immagine e' danneggiata oggi, dallo scarso livello di professionalita' che dimostra la mia attuale segretaria e dal fatto che, voi della selezione, non me ne trovate una decente!"

Attuale, decente, colpa di Francesco, la selezione che non e' all'altezza; parole, parole, ancora una serie di verita' dette e non ascoltate, come rispondere?

Tentai la carta della gentilezza

"Se puoi anche avere ragione, ma quello che si vede non e' questo, quello che si percepisce e' che tu sei l'unico in azienda che cambia segretarie come se fossero cannotiere!"

La risposta non fu' tanto gentile:

"Sono l'unico che vuole una assistente invece che una che risponde al telefono, io offro molto alle persone, ma pretendo molto!"

Mentre parlava, mi veniva in mente l'entrata della palazzina, con quei badge magnetici agli accessi, mi pareva un po' una prigione, anche se era solo un ufficio, ma le cose parlano, il paesaggio che ci circonda finisce per assomigliarci.

In quel momento la porta si apri' e Roberta entro' portando un caffe' con il vassoio, era per lui. Quel vassoio e di piu', il modo con cui lo reggeva era eccessivo, decisamente di troppo.

Il vassoio, non il caffe', faceva dell'assistente una vittima.

"Grazie !

Ci hai messo lo zucchero?"

le chiese, assolutamente non curante della situazione.

"Si', due come vuole lei, dottore"

rispose e con un cenno di deferenza usci' senza aspettare il grazie dovuto.

Ci fu un lungo silenzio il cucchiaio girava, girava, sembrava voler consumare la tazza, piu' che sciogliere lo zucchero nel caffe'. Nessuno parlava e perfino I nostri sguardi avevano pudore ad incrociarsi.

Avevo espresso il mio dissenso, lo aveva percepito, anche se era mascherato dalle buone maniere e dalla mia volonta' di evitare conflitti aperti, ma non avevo ottenuto nulla. Francesco non sarebbe stato orgoglioso di me.

Ruppe il silenzio con un fare pieno di disprezzo professionale: mi riteneva non all'altezza, pensava che per me il problema centrale fosse licenziarla, che non ne fossi capace, non penso' per un momento che mi interessasse la persona.

"Va bene non ti preoccupare, la sposto all'interno e me ne prendete un'altra come si deve questa volta!"

Non sapevo che dire: ripiegai per il minimo confronto, avevo la certezza che avrei ottenuto nulla.

"Non e' questo, e' che pensavo avresti aspettato, ma credo che ormai la situazione sia irreparabile".

Chiuse la discussione con un: "Gia' lo e'."

Uscii deluso, continuavo a ripetermi che non sapevo affrontarlo, non sapevo come riuscire a manipolarlo, avevo un grande senso di fallimento e mi portavo le colpe che in realta' erano sue. Non avevo saputo resistergli o fermarlo, ma come avrei poi potuto?

Mentre tornavo guidai lentamente; cosi' avevo il tempo di fumare un toscano. Il fumo che usciva per il finestrino semiaperto mi ricordava la forza aspiratrice del mio interlocutore. Credo sia il tipo di sensazione che prova un medico quanto non riesce a salvare una vita.

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