BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/09/2008

PALESTRE

di Gianfrancesco Prandato

Quando ci  entri,  la prima volta, è come passare  uno specchio  cara Alice. Lo tocchi e diventa liquido entri, i momenti che  vedi e quelli che vivi sono diversi, ti sdoppi. La fatica, le botte, dopo il secondo round sei atleta e spettatore, non ce la fai più e devi continuare.
Solo, se ci arrivi,  non si torna più indietro, lo cerchi sempre..

Beh sì, l’iscrizione la posso fare lì, no Enrico?

E lui mi aveva spiegato che l’iscrizione; non è menare il sacco, non è mettersi le magliette attillate, che mi starebbero pure bene viste le tette che mi ritrovo, non è questo.
L’essenza del combattimento, è capire  perché lo cerchi. .

Gli avevo cercato di rispondere: “Si ho capito ma non è che mi ammazzano, è una palestra in cui si insegna il combattimento e,”…

Enrico il manutentore, big jim, come lo chiamavo io, mi aveva annichilita:
 “Ascolta tu sei una sportiva, hai fatto sport agonistico per tanti anni, io ti porto, ma una a venticinque anni, con il tuo passato non comincia a  allenarsi alla boxe, perché fa figo, non è così.”

Le palestre sono piene di gente che finge, come nella vita, alzano la voce, hanno i bicipiti grossi, menano; poi,  devi passare lo specchio, quello che ti cambia è fare un ko. Quando metti giù qualcuno.
Un tuo pugno mediato dai guanti, che attutiscono, il colpo,  e ti preservano dalle fratture le mani; quando uno crolla per un tuo pugno, dato con  quella  manina  del cazzo con cui scrivi al computer, quello ti cambia e da lì non torni più indietro, credi.

E io che continuavo con i miei “…Ma va là io vado lì solo per fare ginnastica, e  poi…”.

E lui mi incalzava con i suoi consigli di vita; “..No ti prendere in giro; tu non vai per la ginnastica quella si vede nella palestre alla moda, come vanno tutte le altre segretarie per rimorchiare e se ce la fanno per farsi sposare. La palestra di combattimento è un posto in cui si mena e si impara a prenderle, tu vai lì perché ce l’hai con il mondo, vai lì, perché lì c’è l’odore del sangue, delle botte.
Vai lì perché la pallavolo non  ti basta più, picchiare la palla, ha un suo piacere, ma una persona in grado di difendersi è più bello. Non ne puoi più di sto lavoro del cazzo vero?”

 

E poi lo specchio, lo specchio lo vedi, ma non ci sei ancora entrata, lo specchio lo passi quando vai giù tu, non quando ti rompi,  e più forte sei, più tardi arriva, e più tutto diventa fluido, confuso: è
quando vai giù. In questo sport ti spacchi, tutto, sopraccigli, naso, faccia… non è il sangue, non sono i punti di sutura,  anzi quello ti piace pure, ti inebria, ti esalta, è quando vai giù, che capisci, il vero senso bella mia.
E poi  il più bell’invito che avevo ricevuto nella vita, un ;
“…a stasera…” 
 che mi ha cambiato la vita.

Ricordo ancora dove me lo diceva., in piedi davanti alla scrivania, bello Enrico,  poteva avere l’età  di mio padre, eppure non gli assomigliava neanche un po’. Muscoli ovunque, segni e cicatrici erano integrate nel bel viso, su cui spiccava un naso che sembrava appeso all’ultimo, un naso vissuto, quasi di gomma, con larghe narici in cui ci potevi infilare  non uno, ma due dita. Un bambino ci si sarebbe divertito con quelle narici; erano quasi delle gallerie.
 Enrico  con un passato da pugile, che arrotondava lo stipendio di sera allenando i  ragazzi.

Me lo ricordo proprio ora, 7 anni dopo, dopo 22 incontri e 12 da professionista, me lo ricordo ora, ed è un ricordo liquido, confuso con l’odore della gomma di cui è fatto il pavimento del ring, confuso con il dopobarba del dottore che sta cercando di rianimarmi.

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