BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 24/01/2005

C'ERA UNA VOLTA... AVETE UNA STORIA (ORGANIZZATIVA) DA RACCONTARE? CONTRIBUTI CERCASI!

di Francesca Prandstraller

Nella letteratura anglosassone lo studio dello storytelling nelle organizzazioni ha una sua posizione consolidata.

Schein (1985) mette le storie insieme agli artefatti e alle creazioni, fenomeni che stanno sulla superficie della cultura organizzativa, ma che richiedono interpretazione.

Peters e Waterman (1982) pongono addirittura le storie al centro dell'analisi della vita organizzativain quanto segno di una cultura aziendale forte, vista come la precondizione per l'eccellenza. Gli autori dimostrano l'importanza delle storie come strumenti didattici nell'educazione morale e pratica dei manager, concentrandosi sulle storie epiche.

Wilkins (1978, Wilkins e Martins, 1979), esplora le storie come depositi di conoscenza organizzativa, luoghi dove le idee importanti vengono mappate e archiviate. Oltre alla funzione di trasmettere la conoscenza organizzativa, Wilkins e Martins attribuiscono alle storie la capacita` di generare impegno e di operare un certo controllo sociale.

Un'altra linea di ricerca (Allaire e Firsirotu 1984;Boyce, 1995, 1996; Mahler 1988; Meek 1988), che si inserisce nella tradizione etnografica, ha studiato le storie allo stesso livello dei rituali, delle cerimonie, e degli artefatti materiali prodotti da una organizzazione, cioè come espressioni simboliche di un sistema di valori condiviso.

Un altro approccio ha preso in esame lo storytelling in atto, assumendo una prospettiva drammaturgica (Boje 1991, Mangham 1986, 1985; Rosen 1985; Weick 1995) e mettendo in luce la delicata e ambigua qualità del simbolismo nelle organizzazioni. Le storie sono polisemiche, con differenti significati per persone diverse e perfino per la stessa persona. Possono generare coesione e impegno ma anche resistenza e opposizione.

Secondo Gabriel (2000) le storie sono dei punti di riferimento simbolici dell’organizzazione che non necessariamente hanno con gli eventi narrati un rapporto di univocità: le storie infatti interpretano gli eventi, infondendoli di significati attraverso la distorsione, l'omissione, l'abbellimento, senza tuttavia eliminare completamente dalla memoria i fatti. La loro funzione non e’ certo quella di riportare oggettivamente degli accadimenti, ma piuttosto quella di trasformare e dare senso all'esperienza. Le storie organizzative sono forme di “sensemaking”che non raccontano cosa è successo, ma interpretano, arricchiscono, danno significato ad eventi narrati. Ciò che una storia vuole sollecitare in chi ascolta non è una risposta sui fatti ma sul significato attribuito ai fatti. Allo stesso tempo e’ l'esperienza vissuta nelle organizzazioni che offre il materiale e che si trasforma in storie. Proprio come per i sogni secondo Freud, le storie si formano da frammenti di realtà e servono a dare sfogo a pulsioni nascoste che verrebbero censurate dall’organizzazione ufficiale.

Le storie, dunque, sono pratiche culturali che emergono spontaneamente dall’interazione tra le persone in un’organizzazione e che non restano fisse, ma evolvono, cambiano, vengono reinterpretate o emulate. Esse emergono come un collage da un processo intrasoggettivo complesso. Il folklore organizzativo puo’ essere visto dunque come un insieme di pratiche culturali che soddisfano tre condizioni: sono riccamente simboliche, emergono spontaneamente dall'interazione informale dei partecipanti, non sono una tantum ma diventano parte di una tradizione, emulate, riprodotte e ri-attuate(Gabriel, 2000).

Nelle organizzazioni si inventano e circolano moltissime storie, la piu’ parte delle quali ha vita breve, sotto forma di pettegolezzi o di battute. Sopravvivono e assumono significati e funzioni diverse solo alcune storie, che non necessariamente sono a lieto fine o divertenti. Da queste osservazioni, sperimentate da chiunque abbia vissuto in un’organizzazione, si ricava che le storie da un lato hanno in sé una qualità di intrattenimento che affascina chi le ascolta, dall’altro contengono un elemento di grande plasticità, poiché appaiono, scompaiono, riappaiono modificate o circolano contemporaneamente in diverse versioni. Un’altra osservazione empirica e’ che quasi tutte le storie hanno trame relativamente uniformi, nonostante le innumerevoli variazioni sul tema, concentrandosi in una limitata tipologia di generi: storia tragica, epica, comica.

Le storie organizzative traggono le trame e i personaggi dall'esperienza personale degli individui nelle organizzazioni e le tipizzano in caratteri fissi, proprio come nella commedia dell’arte: il capo cinico, il dipendente che tiene testa all’ingiustizia, l’eroe che sistema la situazione, l’imbroglione, il sopravvissuto, la vittima sacrificale e cosi` via. Dove esistono e circolano, le storie ci offrono una visione della natura dell'organizzazione, delle relazioni di potere al suo interno e dell'esperienza dei suoi membri.

Non tutte le organizzazioni producono lo stesso numero di storie e quasi mai dello stesso tipo. Le organizzazioni giovani e di successo abbondano di storie eroiche e ottimistiche, quelle repressive e burocratiche di storie tragiche e ridicole.

Infatti, non tutte le storie sono uguali, hanno la stessa funzione o portano in sé gli stessi significati in tutte le organizzazioni. Le storie organizzative, pur contenendo tutte l'elemento dell'intrattenimento, vanno al di là della funzione di procurare piacere e cercano anche di volta in volta di educare, persuadere, mettere in guardia, rassicurare, giustificare, spiegare,consolare a seconda dei contesti e delle necessita`.

Esistono storie epiche che riguardano i fondatori dell’impresa o grandi manager che si sono cristallizzate in una forma di narrativa ufficiale dell’organizzazione e che hanno la funzione di esplicitare i valori fondanti in modo rituale e celebrare gli eroi che hanno saputo innovare e trasformare un’idea o un’intuizione in una formula imprenditoriale di successo. Si tratta di miti fondanti delle organizzazioni che assumono il proprio ruolo all’interno della cultura dominante.

Esistono storie non ufficiali, che hanno lo scopo di dare identità a gruppi e aiutano le comunità a passare le proprie credenze spirituali, morali e culturali da una generazione all'altra, sono vitali per l'istruzione dei giovani, generano aspettative nei comportamenti e offrono modelli da imitare o da evitare.

Altre storie hanno lo scopo di sfidare la cultura dominante e consolare, sollevando le persone dalle frustrazioni della vita organizzativa. Esse fungono da valvole di sfogo emotive. La consolazione può venire tanto dall'idealizzazione dell'organizzazione quanto dalla sua molto piu’ frequente riduzione a caricatura ridicola.

Ci sono storie che generano ansia, la cui funzione e’ quella di diminuire le aspettative, immunizzare verso le sofferenze inevitabili che l’organizzazione impartisce, dare superiorità morale alle vittime e mettere in luce l’importanza dell’uso dell’astuzia contro la bruta forza organizzativa

Le storie si generano spontaneamente, ma possono essere utilizzate nell’organizzazione per diversi scopi. Va comunque tenuta sempre presente la loro natura ambigua e sfuggente, perciò esse vanno maneggiate con molta cura.

Lo storytelling e’ stato applicato con successo ad iniziative di knowledge management e di mentoring per facilitare il trasferimento della conoscenza tacita. Molto si e’ scritto (ma poco in italiano) sulla sua funzione nell’innesco per il cambiamento organizzativo, sul suo utilizzo nella creazione di leadership, nell’apprendimento e gestione della conoscenza, nella comunicazione interna ed esterna delle organizzazioni.

Per chiunque si occupi di queste tematiche, paradossalmente, la cosa piu’ difficile e’ metter le mani sulle storie organizzative. Le storie infatti, specialmente quelle non cristallizzate in una versione ufficiale cara agli uffici stampa e ai P.R, non sono proprio la prima cosa che emerge in superficie quando ci si avvicina ad un’organizzazione. La loro raccolta e registrazione infatti passa solitamente attraverso lavori di tipo etnografico che richiedono tempi lunghi, frequentazione assidua e familiarità con l’ambiente di riferimento. Molte storie non vengono raccontate se non ci si fida ciecamente del ricercatore e a condizione dell’anonimato.

Poiché studio questo argomento, e` vitale per me raccogliere storie di aziende e organizzazioni della nostra cultura, ma da sola l’impresa e’ alquanto ardua.

Quello che propongo a lettori, contributori e amici di Bloom e’ di partecipare direttamente ad una raccolta di storie organizzative, raccontando in prima persona o attivando i propri network in modo da spargere la voce tra le persone che vivono e lavorano nelle organizzazioni italiane. Se siete anche protagonisti o a conoscenza di progetti che utilizzino lo storytelling, illustrateli nel loro scopo, attivita` e risultati.

Lo scopo e’ quello di raccogliere una serie di storie di prima mano e di progetti in atto che mi serviranno ad approfondire lo studio dello storytelling nell’ambiente manageriale italiano e la cui analisi formera` la base per una rubrica di Bloom.

Il format e’ libero (testo, video) ma ci sono alcuni punti che devono essere presenti per rendere il materiale utilizzabile:

  1. Descrizione dell’ambiente organizzativo generale e specifico (anche senza nomi) in cui la storia nasce e circola per fornire il background interpretativo della narrazione. Ad esempio: grande multinazionale farmaceutica, ambiente burocratico e formale, organizzazione lenta, direzione marketing che si occupa di spingere le prescrizioni da parte di medici, protagonista un product manager ecc. ecc
  2. Narrazione vera e propria della versione della storia che avete sentito
  3. Eventuali altre versioni
  4. Vostra reazione, interpretazione e commento
  5. Reazione di altri colleghi o come la storia e’ stata recepita dall’organizzazione.

Quello che per un ricercatore isolato e’ il lavoro di una vita, attraverso la Rete e il network di Bloom! può diventare rapido e interessantissimo. Allora, contribuite?

Biobliografia

Allaire, Y. and Firsirotu, M.E. (1984), “ Theories of Organizational Culture”, Organizational Studies, 5/3: 193-226.

Boje, D.M. (1991), “The Storytelling Organization: A Study of Story Performance in an Office-Supply Firm”, Administrative Science Quarterly, 36:106-126.

Boyce, M.E. (1995), “Collective Centring and Collective Sense-Making in the Stories and Storytelling of One Organization”, Organization Studies, 16/1:107-37.

Gabriel, Y. (2000), Storytelling in Organizations. Facts Fictions and Fantasies. Oxford: University Press

Mahler, J.(1988) “The Quest for Organizational Meaning: Identifying and Interpreting the Symbolism in Organizational Stories”, Administration and Society, 20:344-68.

Mangham, I.L. (1986), Power and Performance in Organizations: An Exploration of Executive Process. Oxford: Blackwell.

Mangham, I.L. (1995), “Scripts, Talk and Double Talk”, Management Learning, 2/4:493-512.

Meek, V.L., (1988) “Organizational Culture: Origins and Weaknesses”, Organizational Studies, 9/4:453-73.

Peters, T.S., and Waterman, R.H. (1982), In Search of Excellence. New York: Harper & Row.

Rosen, M., (1985), “ Breakfast at Spiro’s: Dramaturgy and Dominance”, Journal of Management, 11/2:31-48.

Schein, E.H. (1985), Organizational Culture and Leadership .San Francisco: Jossey-Bass.

Weick, K.E., (1995), Sensemaking in Organizations. London: Sage.

Wilkins, A.L., (1978), “Organizational Stories as Expression of Management Philosophy: Implications for Social Control in Organizations”, unpublished Ph.D, Stanford University, Palo Alto, Calif.

Wilkins, A.L., and Martin, J. (1979), “Organizational Legends” (Research Paper No 521), Stanford University Research Paper Series. Paolo Alto, Calif.: Stanford University

 

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