BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 15/09/2003

Loredana Galassini

recensione di:
Arundhati Roy, Guida all'impero per la gente comune, Guanda, 2003
Ashwin Desai, Noi siamo i poveri, Derive Approdi, 2003

Come è la vita nella globalizzazione se si abita in Sudafrica oppure in India? E qual è l’architettura del neoliberismo? Chi sono i poveri?
Ashwin Desai, autore di “Noi siamo i poveri” racconta per i tipi di Derive e Approdi, in un incontro a Roma, il dopo apartheid, la disoccupazione, la fame e la morte per aids per milioni di persone che avevano lottato contro il colonialismo.
“La globalizzazione – dice – ha una sua precisa architettura: Banca Mondiale, Fondo Monetario e Organizzazione Mondiale del Commercio. Questi sono gli agenti che entrano in gioco quando si conquista la libertà. Ma bisogna essere consapevoli anche di quelli che sono gli agenti locali, come Nelson Mandela e Thabo Mbeki, che hanno permesso l’ingresso del neoliberismo, che non hanno bloccato la sieropositività e hanno reso i poveri ancora più poveri.”
Uno choc per l’affollata platea assuefatta all’icona mediatica del vecchio leader, al suo volto sorridente, ma non c’è tempo per assorbire il colpo perché interviene la scrittrice indiana Arundhati Roy, anche lei in Italia per presentare la sua “Guida all’Impero” edita da Guanda: “Mi chiedo come è iniziato il processo di globalizzazione. Va bene, in Sudafrica è entrata dalla porta principale, ma in India? La nostra storia è differente, ma quando i governi hanno radicalizzato nei palazzi il loro potere, è cresciuta la distanza tra le persone e le istituzioni, tra chi decide e chi no e se prima gli ordini arrivavano da Delhi e adesso da New York, dobbiamo capire che le multinazionali mettono fuori uso gli strumenti della democrazia e che i governi attraverso le elezioni, hanno comprato una macchina che crea consensi. Sonia Gandhi, in India, è stata un grande regalo per il neoliberismo, perché la sinistra non ha più parole e i partiti, sia di destra che di sinistra, sono sempre più confusi e continuano ad odiarsi sempre di più. Non ha senso parlare di masse di lavoratori se la maggioranza sono disoccupati, se la privatizzazione ha impoverito ancora di più i poveri e il governo sta facendo nascere un forte nazionalismo indù contro i mussulmani nello stesso momento in cui privatizza. Ma i poveri possono essere protagonisti, invece che solo vittime?”
Povero diventa così un termine non solo sociologico dove le categorie sociali precipitano e a cui ci si rivolge con solidarietà perché vittime, dimenticando il loro ruolo protagonista nelle nuove forme di lotta che, esplose a Seattle, continuano senza sosta fino a Cancun, fino alla protesta politica estrema di Lee Kyung-Hae, il leader degli agricoltori e pescatori coreani: “Il mio messaggio va a tutti gli esseri umani del mondo: siamo in pericolo. Le multinazionali stanno promovendo una globalizzazione disumana che distrugge l’ambiente, uccide migliaia di contadini e si basa su regole non democratiche”.
Chi ricorda i bonzi che si davano fuoco per far cessare la guerra in Vietnam o Jan Palach o l’eurodeputato Alexander Langer che nel 1995 si toglieva la vita, per gli orrori che la politica internazionale alimentava nei Balcani?
Diverse forme di espressione di vita e di morte si affacciano nell’immaginario collettivo, ma è chiaro che ormai l’umanità è arrivata ad un punto di non ritorno e che i poveri sono oggi una forza politica di frontiera. Soggetti, protagonisti, non solo vittime. Identità “insurgente” che rivendica il diritto alla vita, alla sovranità alimentare, all’accesso all’acqua, a nuova giustizia.
Cogliere il momento storico significa non ripetere insieme a Maria Antonietta, “dategli delle brioches”, ma cogliere i punti di convergenza e di opposizione alla globalizzazione, scoprire una cittadinanza comune perché se è vero che l’80% del mondo muore di fame è anche vero che i privilegi del 20% di cui facciamo parte si stanno assottigliando e che il neoliberismo non fa prigionieri. Se nei paesi poveri è guerra su sementi e su brevetti, gli agenti politici che operano in Occidente si sono scagliati contro i valori, contro le conquiste democratiche, contro le leggi. L’esempio più prossimo che viviamo tutti i giorni è l’assalto ai servizi, alla scuola e, come possiamo leggere ultimamente sui giornali, all’Italia dei Comuni attraverso la fiscalizzazione lanciata recentemente dal governo Berlusconi.
“Dobbiamo cambiare – dice Arundhati Roy – smettere di perderci in dibattiti teorici. Essere umili e meno intelligenti perché abbiamo bisogno di vincere per vivere”.

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