BLOOM! frammenti di organizzazione

Adriano Motta

recensione di:
Ulrich Beck
I rischi della libertà – l’individuo nell’epoca della globalizzazione
Società editrice il Mulino, Bologna, 2000

In questo volume, suddiviso in sei saggi, il sociologo tedesco affronta il tema dell’individuo nella cosiddetta seconda modernità.

L’autore analizza gli effetti ed i rischi sulla società e sulla vita quotidiana delle persone dei mutamenti intervenuti nell’ultimo decennio segnato dalla fine del conflitto Est-Ovest e dal fenomeno della globalizzazione.

La seconda modernità è una società del rischio generalizzato dove nulla, dal lavoro alla famiglia, è più garantito. Essa è caratterizzata da un processo definito di individualizzazione che dissolve le forme di vita tramandate ed i concetti tradizionali di appartenenza ad una classe sociale, nazione, ecc.

All’interno di quest’analisi Beck colloca quindi la proposta di una teoria politica che possa trovare nuovi elementi di condivisione e comunanza in una società che sembrerebbe invece diretta verso la disgregazione e l’atomizzazione.

L’individualizzazione nelle società moderne

Nel primo saggio Beck descrive le radicali trasformazioni in corso nella società occidentale. Il rapido sviluppo della società moderna nell’ultimo decennio ha visto venir meno le certezze su cui essa si era basata dal dopo guerra in poi.

La libertà intesa come assenza di vincoli ha reso tutto incerto e rischioso, trasformando quindi tutte le cose in libertà rischiose: Dio, natura, verità, matrimonio, scienza, morale, ecc.

Secondo l’autore stiamo assistendo ad un processo di individualizzazione della società costituito da un complesso di sviluppi caratterizzati soprattutto da due aspetti:

- dissoluzione delle forme di vita sociale tradizionali (classe, ceto, famiglia, ecc.)

- incombenza sui singoli di nuove pretese istituzionali, controlli e costrizioni: l’accesso ad ogni diritto è sempre più condizionato dalla dimostrazione del possesso di determinati requisiti.

La novità storica del processo di individualizzazione della seconda modernità sta nella sua democratizzazione: avere una vita propria non è più di pochi ma ora viene richiesto a molti se non a tutti. Sono le condizioni di base della società, dal mercato del lavoro alle esigenze di mobilità e di formazione, dal diritto alla previdenza sociale che favoriscono e quasi estorcono individualizzazione. L’individuo è chiamato sempre più a costruire una propria biografia attraverso l’azione, non si è più inseriti uno schema definito, per esempio, dal ceto o dalla religione ma bisogna impegnarsi ogni giorno con la propria azione.

Non si tratta in ogni caso di un agire senza limiti ma vincolato da una consistente serie di regolamenti per i quali la società moderna è ben nota (dichiarazione dei redditi, revisione dell’auto, ecc.).

Un'altra caratteristica della modernità è di essere sempre più tagliata sull’individuo. Tutte le esigenze (lavoro, diritti, partecipazione al reddito, stato sociale) non sono imposte ma allo stesso tempo esortano l’individuo a programmare, a capire, a progettare, ad agire, assumendosi le responsabilità anche dei fallimenti. L’individuo è praticamente costretto a mettersi alla prova. La vita perde la naturale ovvietà e tutto deve essere deciso, anche ciò che fino a poco tempo fa era prerogativa di Dio o determinato dalla natura diventa oggetto di questioni e decisioni della vita quotidiana (ad esempio: fecondazione artificiale, genetica umana).

La biografia di ogni individuo da normale si trasforma così in riflessiva: non ci sono più limiti e condizioni date ma tutto deve essere scelto e deciso, e non una volta per tutte, ma in continuo. In questo modo ogni biografia può degenerare facilmente da biografia del successo a biografia del fallimento.

In altri termini le routine del vivere quotidiano che nella prima modernità erano certe vengono spezzate, non sono più sicure. Questa "condanna" a decidere, a ricominciare sempre da capo, ed il rischio sempre presente del fallimento generano paure nell’individuo che possono anche degenerare in forme di resistenza aggressiva.

In questo contesto, quali sono le prospettive della sociologia?

Tutta la sociologia può essere ricondotta a due punti di vista contrapposti: una che parte dall’individuo, l’altra dal "tutto". Le due modalità sono entrambe imperfette e quindi complementari, ma storicamente tendono invece a contrapporsi criticandosi a vicenda.

La sociologia dominante si rifà al punto di vista del tutto e considera che gli individui possono essere tali solo all’interno della società; pertanto le istituzioni (scuole, tribunali, matrimonio, organizzazioni) devono indottrinare ed "intimidire" l’individuo.

Viceversa la sociologia che parte dal punto di vista dell’individuo non assume la forma attuale delle istituzioni come un dato immutabile ma lo pone in discussione. E quando gli individui negano il consenso alle istituzioni è storicamente provato che le istituzioni tremano (es. DDR).

Per Beck, con la modernità, l’armonia tra le due prospettive teoriche si spezza. Le istituzioni si basano su una concezione antiquata dell’individuo, delle sue situazioni e condizioni sociali con la conseguenza di generare un distacco tra individui e istituzioni stesse.

In questo contesto la teoria dell’individualizzazione crea un quadro di riferimento che consente di analizzare i conflitti tra individui e le istituzionalizzazioni di immagini antiquate della società dalla parte degli individui stessi. Inoltre essa mostra come, nell’ulteriore sviluppo della società moderna, sia problematico ipotizzare la tenuta sociale secondo concetti e schemi tradizionali tramandati. Infatti una sociologia dell’individuo si scontra con i fondamenti di quella dominante poiché afferma che i legami tradizionali si dissolvono, si trasformano e che, in ogni caso, sono deducibili, discutibili e vanno comunque giustificati.

In definitiva la pluralizzazione delle forme di vita degli individui mette in crisi il bisogno di standardizzazione delle scienze sociali e induce a riflettere su come esse creano i propri concetti. Gli individui diventano così un fattore di disturbo che manda a monte ogni calcolo (quote di accesso alla formazione, calcolo delle pensioni, ecc.), rendendo la società e di conseguenza le forme di integrazione possibili sempre più difficili da comprendere ed analizzare.

La domanda è pertanto se e quale forma di integrazione è possibile nelle società individualizzate?

L’autore parla di libertà rischiose per le conseguenze ed i problemi che emergono nella società e che allarmano l’opinione pubblica come il risorgere della violenza e del nazionalismo.

Due fenomeni che per Beck sono legati alla tentazione di reagire alle sfide della seconda modernità con strumenti di tipo classico di autodelimitazione ai danni degli "stranieri". Si cerca, in definitiva, di sostituire una società individualizzata con un società differenziata all’interno e delimitata come una fortezza verso l’esterno.

In questo contesto per una società fortemente individualizzata l’autore non ritiene credibili le tre forme di integrazione più spesso proposte nel dibattito sull’argomento:

- l’integrazione basata sui valori, contrasta alla base con il moltiplicarsi delle percezioni culturali e dei legami autoriproducentesi.

- l’integrazione fondata sulla comunanza di interessi materiali, messa in discussione dai crescenti problemi di partecipazione al benessere.

- l’integrazione basata sulla coscienza nazionale, non confermata nelle tendenze di dissoluzione delle grandi società attuali in poteri locali particolaristici, con la mobilitazione delle identità etniche che disintegra proprio l’identità nazionale.

La proposta dell’autore punta invece verso un’altra possibile forma di integrazione, infatti egli sostiene che "dare coesione a società altamente individualizzate è possibile da una parte soltanto attraverso una comprensione di questa stessa situazione; dall’altra parte, se ci si riesce, mobilitando e motivando le persone rispetto alle sfide che si trovano al centro della loro condotta di vita – disoccupazione, distruzione ecologica, ecc."

Occorre reinventare la società, non opponendosi alla sollevazione degli individui, ma, muovendo dalle pressanti questioni relative al futuro, cercando di realizzare nuovi legami ed alleanze politiche aperte, cercando quindi di realizzare quella che l’autore chiama un’integrazione proiettiva.

Riprendendo le teorie di René KØ nig, egli propone di conquistare un’integrazione sul terreno del pensiero e quindi di una filosofia che ruoti attorno "alle chance dell’uomo nel contesto delle condizioni esistenziali date". La sociologia dovrebbe quindi sviluppare un senso della realtà possibile.

Figli della libertà contro il lamento sulla caduta dei valori

Nel proseguire la sua analisi sulla società attuale, i suoi rischi e le possibili forme di integrazione, Beck affronta il tema della supposta caduta dei valori che spesso viene nominata nei dibattiti sulla società odierna.

Per l’autore non stiamo vivendo una crisi culturale o una caduta di valori, ma in realtà l’interiorizzazione della democrazia e della libertà porta gli individui a non riconoscersi più in molti concetti e valori tradizionali. Questo identifica quelli che vengono chiamati i "figli della libertà".

L’opinione è che la cosiddetta società dell’ego vada combattuta aumentando le libertà politiche e non limitandole. Infatti modernità è anche libertà politica, cittadinanza e società dei cittadini, dove senso, morale, giustizia non sono grandezze date: "modernità significa dunque un modo di sicurezze individuali tramonta, e al suo posto - quando va bene – subentra la cultura democratica di un individualismo universale giuridicamente sancito".

Il rifiuto dei giovani della politica non deriva quindi da egotismo o caduta di valori ma ha un significato molto politico. Il punto è che essi hanno questioni, problemi diversi da quelli posti dalla politica e dalle istituzioni tradizionali: i giovani odiano la monotonia dei doveri tradizionali, i formalismi delle organizzazioni politiche e il loro modello costruito sul sacrificio dell’individualità e a questi contrappongono, sotto varie forme, il divertimento.

La questione del potere viene così sollevata efficacemente restando fuori dalla politica.

Dall’altra parte i giovani danno vita ad un volontariato autogestito al di fuori delle grandi organizzazioni ufficiali. I dati mostrano che autoaffermazione, appagamento personale e premura verso gli altri non si escludono ma si completano e rafforzano reciprocamente (ad esempio: il 45% degli americani adulti dedica cinque ore alla settimana al volontariato).

Si tratta quindi di un confronto tra due concezioni diverse dove il problema non sono i figli della libertà ma l’incapacità delle varie istituzioni (partiti, sindacati, chiesa ecc.) di comprendere la nuova realtà multidimensionale in cui gli enigmi si moltiplicano e le risposte spesso aprono nuove questioni.

Sulla base di queste considerazioni l’autore ritiene che all’interno di questo fenomeno e della sua comprensione vi siano i presupposti per creare la società del futuro.

Autoaffermazione e democrazia viaggiano insieme e quindi solo aumentando la libertà politica in futuro si potrà continuare ad avere una società funzionante. Inoltre il mutato atteggiamento nei confronti dei valori non sembra portare verso un aumento delle pretese materiali, ma anzi verso un aumento del valore immateriale della qualità della vita.

Per Beck, oggi si prospettano orientamenti e priorità che potrebbero consentire di rispondere alla sfide della seconda modernità e portare ad una nuova società condivisa. E’ quindi attraverso l’aumento della libertà politica e di questi valori connessi che si può ipotizzare di giungere ad una società che si distacchi dagli ideali di abbondanza, profitto, carriera non più sostenibili sotto l’aspetto economico ed ecologico.

L’autore non trascura però di rilevare le difficoltà e le incognite della società attuale. Infatti i figli della libertà si trovano di fronte ad un mondo in cui si assiste al ritorno del rischio dopo una fase (anni ‘80) dove si considerava il benessere come uno status ormai acquisito e non più in discussione. In questo senso l’autore chiama l’attuale fase della società "la società mondiale del rischio".

La libertà presuppone sicurezza e la mancanza di sicurezza porta sempre più persone a sentirsi minacciate sia nel corpo sia nell’esistenza. Questo senso di insicurezza, questa condanna della libertà, tocca trasversalmente tutte le categorie e molte persone cercano di sfuggirgli. Nasce così una specie di movimento per la sicurezza e l’ordine che si mobilita in continuazione contro criminali, teppisti, tossicodipendenti, ecc., e che, in definitiva si può dire, si mobilita contro le proprie stesse paure sul futuro.

Emerge così il lato oscuro della libertà: il cittadino brutto e cattivo in cui le virtù borghesi si trasformano in aggressività pura quando in piena libertà politica viene meno la sicurezza sociale.

Su questo l’autore avanza la sua proposta politica contrapposta a quelle del neoliberismo, del comunitarismo e del protezionismo che ritiene non adeguate.

La proposta, che svilupperà più dettagliatamente nei saggi successivi, è un repubblicanesimo cosmopolitico basato su cinque principi: nuovo significato dell’individuo; centralità di attori sociali, identità ed istituzioni cosmopolitici; rinnovata importanza della dimensione locale; preminenza della libertà politica per il mantenimento della coesione sociale e della responsabilità democratica; profonde riforme istituzionali a coronamento del tutto.

In sintesi due fenomeni epocali - individualizzazione e globalizzazione –stanno trasformando radicalmente i fondamenti della vita comune in tutti gli ambiti sociali. Essi sono una minaccia solo apparente ma impongono e, al tempo stesso, consentono alla società di prepararsi alla seconda modernità.

E’ il pensiero politico che deve cambiare di fronte ai figli della libertà per i quali le formule tradizionali della società (partiti, matrimonio, famiglia, classe, ceto, nazione, ecc.) hanno perso molto in significato e praticabilità.

Due sono anche i concetti chiave della società dopo la caduta del muro di Berlino: ambivalenza e vuoto.

L’ambivalenza è intesa nel senso di presenza simultanea di sentimenti contrapposti quali distensione e terrore, attivismo e paura. La perdita di chiarezza paralizza e sempre più spesso ci si trova di fronte a scelte egualmente intollerabili (ad esempio scelta tra vergognosa indifferenza ed uso della forza militare in difesa dei diritti umani).

Il vuoto significa che le istituzioni "vincenti" (NATO, stato sociale, identità nazionale, mercato) hanno perso i loro fondamenti ed evidenze storiche.

Ambivalenza e vuoto significano che la situazione non è soltanto "disperata" ma anche intellettualmente e politicamente aperta e quindi, in definitiva, aperta a nuovi scenari e sviluppi.

La democratizzazione della famiglia

Nel terzo saggio l’autore affronta il tema della famiglia. In particolare ci si domanda se dagli indicatori di trasformazione della famiglia (alto numero di divorzi, diminuzione delle nascite, dimensioni extraconiugali, ecc.) non si possa desumere che anche nella famiglia siano entrati i meccanismi dinamici della libertà politica, nucleo fondamentale della modernità, e quindi non si possa parlare di democratizzazione della famiglia.

Beck precisa prima alcuni concetti sulla sociologia della libertà politica e quindi li applica alla famiglia, soffermandosi in particolare sulla componente figli.

Il concetto fondamentale è che la libertà non può essere concessa ne’ garantita (…) ma deve essere conquistata dai cittadini. Non è lo stato a concedere ma semmai è la decisione del cittadino che legittima democraticamente le istituzioni.

Si sottolinea qui la diversità tra libero arbitrio e libertà politica, tra libertà come idea e libertà come realtà sociale evidenziando, in sostanza, la contraddizione tra libertà potenziale e libertà effettiva.

Questa distinzione viene poi completata sottolineando come non si debbano confondere la dimensione di libertà giuridica con quella di libertà sociale. In particolare il riconoscimento dei diritti di libertà in campo giuridico aiuta ma non garantisce la libertà, mentre una resistenza, anche in presenza di negazione della libertà giuridica, è sempre possibile ovunque.

Per il sociologo tedesco lo spirito della democrazia entra nella realtà sociale divenendo forma di vita, oltre che di governo, solo con la socializzazione e l’azione.

La socializzazione attraverso scuola, educazione famigliare, televisione, ecc. porta nei giovani all’allentamento o alla dissoluzione delle condotte di vita tradizionali ed a crearsi oggettivandole delle proprie norme. L’interiorizzazione non è però sufficiente, la libertà si concretizza nella realtà sociale soltanto con l’azione, ovvero con la pratica e la verifica concreta delle libertà politiche.

Beck introduce quindi la distinzione tra diritti di libertà nelle culture della differenza e diritti di libertà nelle culture dell’uguaglianza.

Le prime risolvevano la questione del chi e del perché ha accesso a quali libertà in termini ontologici, ossia in termini di differenze sostanzialistiche di essenza o di specie. Alla base di questa concezione ci sono tre elementi: concezione delle realtà come insieme di mondi separati, autorità della natura e quindi categorie date a priori, strutturazione a "matrioska" che si adatta al concetto di identità nazionale.

Con la seconda modernità l’approccio ontologico si logora e le strutture dell’identità tipiche della società industriale e dello stato nazionale perdono la loro evidenza naturale (basta pensare ai cambiamenti nei rapporti tra i due sessi o alle conseguenze della mobilità sui concetti di identità etnica o appartenenza razziale).

In sintesi nel passaggio alla seconda modernità (…) si creano dappertutto posizioni multiformi e contraddittorie, forme miste e nuove identità che distruggono dall’interno il modello di appartenenza univoco e trasparente che aveva trovato la propria sintesi nello stato nazionale.

Le distinzioni sul concetto di libertà vengono quindi portate da Beck all’interno della famiglia. Ricordando come questo sia già stato fatto nei confronti della condizione delle donne, si fa un passo ulteriore ponendo al centro dell’analisi il diritto dei figli alla propria vita.

Dopo aver citato alcuni casi in cui lo Stato (ad esempio: Svezia) ha iniziato a garantire forme d’autodeterminazione del minore, Beck rileva come nell’esistenza giovanile la rivendicazione della propria individualità si sia in ogni caso affermata negli ultimi due decenni.

Il periodo giovanile diviene sempre meno fase di transizione e sempre più vera e propria biografia giovanile, i cui obiettivi sono individualizzati e dove non è più possibile da parte dei genitori inculcare obiettivi e certezze a priori.

I giovani creano una propria forma individuale di morale, conquistano e costruiscono in autonomia la propria vita difendendola dagli attacchi degli adulti. Allo stesso tempo, essi sono consci che la propria vita ha bisogno di legami sociali e per questo amico e gruppo sono concetti che diventano centrali nella loro esistenza.

Sotto questo aspetto l’autore conclude che la socializzazione è possibile solo come autosocializzazione.

D’altra parte la vita dei giovani è immersa in mondi, concezioni ed esperienze contraddittorie e spesso inconciliabili tra loro come scuola, televisione, genitori, simboli dei gruppi locali, ecc. Questo li porta a diventare artefici del proprio sé trasformando la propria vita in un bricolage, una ricerca non definitiva ma interminabile della propria vita.

Altro aspetto sottolineato è il fenomeno della standardizzazione: all’interno di tutto lo scompiglio della società, i giovani non hanno timore di essere normali. Si tratta di un’autonormalizzazione costruita all’interno del loro gruppo dove i giovani stabiliscono, mettendo insieme vari frammenti, cosa è normale, giusto, "in".

Tutto questo ha delle conseguenze notevoli all’interno della famiglia nei rapporti tra le generazioni: il futuro sfugge agli adulti mentre i giovani, mentalmente più aperti, acquistano potere. Si genera così un contraddittorio in cui gli strumenti sono l’accordo e la trattativa e dove tutto va giustificato e discusso.

La difficoltà di questa situazione fa sì che nei rapporti si faccia strada un’ignoranza riflessiva, o al massimo di indifferenza tollerante, in cui principi e ragioni delle decisioni di ognuna delle parti non sono discusse ma accettate in un misto di fiducia e sfiducia. L’impressione è che il conflitto sia evitato lasciando fare agli altri ciò che vogliono.

L’autore conclude affermando che, per il momento, non si può ancora parlare di una vera democratizzazione della famiglia giacché il venire meno delle strutture tradizionali ha posto sì in primo piano la trattativa, la giustificazione, ma non ha veramente introdotto i principi del dialogo, dell’ascolto e dell’assunzione di responsabilità reciproca.

Padri della libertà

Tema del quarto saggio è la libertà politica, concetto fondamentale per la proposta sociale di Beck. Per definire la propria visione l’autore utilizza i contributi, ritenuti fondamentali di Alexis de Tocqueville, Immanuel Kant, Friedrich Nietzche e Gottfried Benn.

L’epoca dell’uguaglianza: Alexis de Tocqueville

L’unione di motivi religiosi del cristianesimo e della religione ebraica in connessione con temi della filosofia greca danno origine nell’età moderna ad un movimento politico inarrestabile: l’avvento della democrazia nel mondo, una rivoluzione ormai sottratta al potere ed alla volontà dell’uomo stesso.

Per l’autore l’analisi di Tocqueville crea una lingua attraverso cui l’età della democrazia può osservare, giudicare e criticare se stessa.

Alla base dello strapotere dell’epoca democratica c’è la nascita dell’uguaglianza delle condizioni: le condizioni di vita delle varie nazioni, classi, individui sono sempre più simili, superano l’economia universale delle differenze ontologiche in cui ognuno era intrappolato all’interno delle proprie categorie di appartenenza.

Si inizia così una nuova forma di identificazione basata sulla reciprocità, dove la superiorità dell’altro non è più di sostanza ma deve essere conquistata ed esercitata e può sempre essere invertita. Tutto passa attraverso la discussione, la scelta e la giustificazione e perde le sue ovvietà tradizionali.

Questo processo di accertamento di sé attraverso il confronto con l’altro provoca enormi mutamenti nella vita quotidiana e nell’agire sociale, diventando una delle ragioni degli sconvolgimenti e delle paure dell’epoca moderna.

Per Tocqueville lo spirito della modernità occidentale sta nella rivendicazione dell’eguaglianza che esprime e compendia l’eredità religiosa, filosofica, metafisica, umanistica, romantica e razionalistica della cultura europea. Allo stesso tempo il passaggio avviene con una frattura tra tradizione cristiana e modernità politica attraverso il fenomeno della giustificazione terrena del potere che inizia con la rivoluzione francese ed americana.

L’autore pone poi l’accento su un altro punto centrale del pensiero di Tocqueville secondo cui la medicina contro le anomalie della libertà è più libertà politica.

La libertà è qui intesa come facoltà del dare inizio (Hannah Arendt), che presuppone quindi una qualche società ma che non giustifica l’assolutizzazione di quella esistente in quanto tale. L’accento è posto sulla capacità innovativa dell’agire umano che rompe la normalità e al tempo stesso per questo genera anche paure.

D’altro canto uguaglianza non significa ne’ abolizione di gerarchie, ne’ uguaglianza materiale o abolizione delle differenze tra persone: uguaglianza delle condizioni è un sistema organizzato di differenze sostanziali che sta all’origine di una moltiplicazione delle molteplicità, in cui l’unica caratteristica irrinunciabile è l’uguaglianza di fronte alla legge.

A questo punto il problema si sposta su come sia possibile la coesione nel mondo dell’eguaglianza delle condizioni.

Idee per una modernità repubblicana dal punto di vista cosmopolitico: Immanuel Kant

Beck si riferisce qui al progetto della "pace perpetua" e di una repubblica cosmopolitica in esso contenuta.

Per evitare il rischio che la pace perpetua si raggiunga solo con l’annientamento del genere umano, Kant propone una rifondazione radicale del diritto internazionale basata non più sulla regolazione della guerra ma su un diritto della pace.

L’inizio della civiltà passa per la proclamazione dei diritti fondamentali politici e sociali dei cittadini, diritti che non devono essere concessi dall’alto ma conquistati attraverso l’arte della libera associazione e la prassi quotidiana della società civile.

Per Kant la predominanza dei diritti fondamentali è in grado di strutturare la società moderna: il quadro giuridico rende possibile la pace aprendo spazi per l’agire di persone di uguali condizioni. Questi spazi a loro volta consento lo sviluppo e l’esercizio della libera associazione.

E’ nel quadro giuridico che si fondano i presupposti che consentono al più debole di parlare al più forte su una base di uguaglianza. In questo caso le posizioni assunte dall’uno o dall’altro sono, in linea di principio, intercambiabili e comunque hanno lo stesso valore e potere.

Fondamentale per Kant è poi l’universalismo del rapporto giuridico. Si tratta di garantire un diritto cosmopolitico a tutti all’esterno ed di graduarlo a livello di contenuto all’interno. In definitiva un rapporto giuridico costituzionale valido sia in senso orizzontale sia in senso verticale.

Il problema della pace perpetua viene risolto con l’affermazione dei diritti fondamentali del cittadino che apre un contesto di azione politica garantita che esclude o rende improbabili due cose: una dittatura dello stato all’interno e uno stato di discordia, di guerra all’esterno.

L’individuo non è quindi in contrasto con le forme dell’agire pubblico politico orientato alla comunità, al contrario, "come" creare il senso di comunità tra liberi individui è un problema chiave per Kant.

La modernità repubblicana si fonda sulla salvaguardia dei diritti fondamentali che deve essere pensata e garantita dal basso verso l’alto attraverso l’uso dei diritti stessi. Non si tratta pertanto di un sistema istituzionalizzato ma di una libera associazione di individui che fa da garante alla costituzione repubblicana. Costituzione basata su tre principi: libertà dei membri in quanto uomini, dipendenza di tutti da un'unica legislazione comune in quanto sudditi, e infine legge dell’uguaglianza in quanto cittadini.

In questo contesto l’idea di libertà si esprime anche nella possibilità di negare il proprio consenso alle leggi (e alle istituzioni) e quindi libertà diviene anche diritto al dissenso.

Su questo Kant basa la distinzione tra sistema democratico e sistema repubblicano di governo, derivato dal modo con cui il potere viene esercitato: il repubblicanesimo passa per la separazione tra potere esecutivo e legislativo, mentre il dispotismo lega i due poteri in modo che la volontà pubblica sia usata dal governo come sua volontà.

Per Kant tutte le democrazie sono dispotiche in quanto minano i diritti fondamentali invocando la volontà della maggioranza contro la pluralità dei singoli individui. Viceversa il repubblicanesimo si fonda sulla sovranità dei molti dove il dissenso e le sue forme di risoluzione sono alla fine l’unica forma di consenso.

Su questa base Beck afferma che il parametro di riferimento della modernità non è la volontà generale ma la possibilità che i molti siano sovrani.

Muovendo da questi concetti e dall’affermazione di Kant sul contrasto ineliminabile tra libertà e felicità, l’autore avanza la sua proposta di una repubblica ecologica.

Il concetto base di Beck è che la libertà unisce mentre la felicità separa. Infatti la pratica della libertà consente di sperimentare un crescita della libertà stessa. Il passaggio attraverso i conflitti e il loro superamento può consentire di sperimentare un individualismo "solidale".

La ricerca della felicità presuppone invece una lotta per la spartizione di un qualcosa (ricchezza, successo, ecc.) e, pertanto, diviene un gioco a somma zero.

Esiste allora una logica di crescita della libertà che potrebbe portare all’attenuazione, se non al superamento del pericolo ecologico insito nel mito della crescita economica.

La proposta è di sostituire la felicità materiale con la questione delle modalità con cui la libertà è possibile, esperibile e crea comunità, in breve la libertà come felicità.

L’autore ci propone di immaginare un mondo formato da repubbliche fondate sui tre principi di Kant. Questo secondo Beck creerebbe da un lato un quadro di riferimento entro cui discutere i vari conflitti e contrasti e dall’altro consentirebbe di comporli mediante il dialogo e la trattativa e non con il potere e la forza. In questo modo il sogno kantiano di una pace perpetua cesserebbe di essere utopia.

Ma vale la pena fare questo sogno?

Individualismo creativo. Conoscenza come creazione: Friedrich Nietzche

L’autore pone Nietzsche tra i padri della libertà per il suo concetto di ragione creativa, intesa come forma più alta di critica che sola può mantenere la promessa dell’autonomia di pensiero. Infatti questa al tempo stesso critica l’esistente e lo pone sotto pressione con l’alternativa provocatoria.

Per Beck il Superuomo di Nietzsche significa due cose: intima relazione tra libertà e capacità innovativa ed enorme fatica necessaria a superare il peso della mediocrità.

Zarathustra spezza le catene del passato (…) mediante il progetto di un’alternativa che è più di un alternativa in quanto mette in discussione l’esistente pensando il futuro in modo nuovo.

In altri termini, per Beck, una riforma della modernità richiede la capacità di pensare e porre gli obiettivi in modo nuovo.

Altro elemento del pensiero di Nietzsche che viene evidenziato è la potenza del linguaggio: Nietzsche è un virtuoso della lingua che non ha più solo una funzione rappresentativa ma trova giustificazione alle proprie affermazioni nella forma stessa del linguaggio.

Il richiamo è al costruttivismo creativo di Nietzsche ed il suo concetto di filosofi del futuro visti come uomini sperimentatori. Il filosofo nuovo è un inventore, uno sperimentatore che non si lascia intimidire da qualsiasi tipo di autorità (istituzioni, religione o qualsiasi verità preconfezionata); ed è proprio questa rivolta dell’individuo insita nel filosofo nuovo che, secondo l’autore, fa parte dello spirito di un Europa repubblicana degli individui.

Potere della parola, ovvero ruolo degli intellettuali nella seconda modernità: Gottfried Benn

Per Benn il linguaggio non è un mezzo espressivo, ma un modo per trovare il mondo, per inventare il mondo.

La creazione di una comunità nell’epoca della dissoluzione attraverso l’arte della libera associazione ha per Benn un significato letterale. Il linguaggio non solo spiega, analizza, rappresenta, ma crea anche comunanze sociali con la forza del convincimento e delle immagini che esso genera, infatti è attraverso la parola che noi veicoliamo informazioni e scambiamo idee.

Secondo Beck, il linguaggio deve però essere di molti altrimenti la definizione di democrazia come sovranità di molti perde senso, essa deve includere per forza anche la sovranità del linguaggio. Infatti non ci può essere uguaglianza se il linguaggio resta in mano agli "specialisti" (giornalisti, manager, filosofi, ecc.).

Dato che le istituzioni e le strutture sociali sono create dall’uomo, è comprensibile che anche l’arte di creare legami sociali sia un’arte linguistica. Essa non è soltanto creatrice ma anche potere che apre lo spazio politico e, in questo modo, fa diventare l’uomo veramente umano rendendolo appunto politico.

Per Benn quindi il linguaggio crea e plasma la realtà, le parole e le frasi divengono la materia con cui si costruiscono le ovvietà che poi, a loro volta, istituiscono e orientano sia il sapere che l’agire sociale.

In questa accezione l’autore sostiene che il fatalismo odierno sia fondamentalmente una malattia del linguaggio, derivante dal continuare a girare intorno a concetti del passato in mancanza di un linguaggio con cui dare un senso ed una struttura al nuovo che ci sta investendo.

La questione dello stile diviene così fondamentale nella seconda modernità, infatti qualsiasi riforma della democrazia passa per una riforma del linguaggio della democrazia. D’altro canto ogni epoca storica ha avuto i suoi concetti chiave diversi in cui si sono rispecchiati i vari mutamenti politici.

Alla base della crisi della comunità c’è quindi una crisi di linguaggio e di pensiero: non disponiamo di una linguaggio adeguato alle sfide che ci minacciano ed alle possibilità che si aprono.

In questo senso il ruolo degli intellettuali sta nell’utilizzo del potere del linguaggio, così come espresso da Nietzsche e Benn, per forgiare i nuovi concetti necessari alla seconda modernità.

Il problema è creare un nuovo linguaggio che superi i limiti dello stato nazionale e del fatalismo del progresso della prima modernità e che consenta di discutere le questioni della seconda modernità globalizzata in un dialogo tra culture diverse.

In sintesi una riforma cosmopolitica della modernità e lo sviluppo ulteriore della democrazia sulla base dell’eguaglianza delle condizioni richiede necessariamente una riforma dei linguaggi delle democrazie degli stati nazionali ed un’apertura degli uni verso gli altri.

Origine come utopia: la libertà politica come fonte di senso della modernità

Nel quinto saggio l’attenzione è rivolta a cosa tiene insieme la modernità, a qual’è il collante sociale dell’età moderna.

Tratto centrale della seconda modernità sembra essere la sempre maggiore interiorizzazione dei diritti politici di libertà ed il loro graduale passaggio dall’ambito politico a tutti gli ambiti dell’agire sociale.

La società viene tenuta insieme da ovvietà condivise che, nell’epoca della modernità, da una parte sembrano escluse dal suo mettersi sempre in discussione e dall’altra esercitano una grande attrazione sugli individui.

In particolare, per Beck, nel mondo post-tradizionale, i tre modi tradizionali di dar vita a relazioni sociali perdono molta della loro consistenza ed efficacia:

- religione. La base della sua forza, ovvero l’accettazione delle miserie terrene in cambio di un benessere ultraterreno, non sembra attrarre più come un tempo, almeno per quanto riguarda la parte terrena;

- sacrificio di sangue. Storicamente uno dei collanti delle comunità politiche è stata la disponibilità alla violenza che ha scritto con il sangue i confini e le identità nazionali. E’ ovvio che il futuro non può più basarsi su un collante di questo genere.

- lavoro. Elemento forte di aggregazione nelle società post-belliche è stato il consumo di massa ed il dovere del lavoro ad esso connesso; come presupposto c’erano concetti quali lavoro per tutti, crescita economica, progresso tecnico, concetti che ormai vengono sempre più messi in dubbio.

Per l’autore proprio il venir meno del benessere garantito ed i tentativi di difesa di questo portano alla minaccia dei diritti politici di libertà. Questa riduzione dei diritti di libertà costituirebbe però una rottura con la tradizione della libertà europea ed occidentale e bloccherebbe l’unica fonte da cui potrebbero sgorgare energie creative in grado di affrontare le sfide della seconda modernità.

Il nucleo della proposta di Beck passa quindi per il concetto di organizzazione autonoma degli individui intesa come capacità di afferrare e mettere in pratica i diritti di libertà.

Il problema dell’integrazione senza religione e sacrifici di sangue e con un erosione ormai certa del benessere diviene pertanto una questione di capacità democratica. Occorre conoscere ed accettare il fenomeno della individualizzazione, considerare che l’essenza della democrazie sta nel contrasto e nella messa in scena del dissenso.

Punto centrale è la modernità che significa diritti di libertà, pensati come una serie graduata di diritti fondamentali di tipo politico, sociale ed economico. La presenza o meno di questi fa da distinzione tra l’individualizzazione e l’atomizzazione.

Infatti la presenza dei diritti fondamentali crea le condizioni sistemiche che consentono agli individui di orientarsi ed organizzare la propria vita, le relazioni sociali e politiche ed, in questo caso, si parla di individualizzazione. Quando questi diritti mancano si ha invece l’atomizzazione. Per Beck la paura della libertà presente nella nostra società nasce proprio dalle esperienze di atomizzazione che si iniziano ad intravedere unite ad una democratizzazione della povertà, che porta anche individui inseriti in un contesto di sicurezza e ricchezza a temere il rischio di una loro caduta nell’atomizzazione.

Sulla base di queste considerazioni sul tema dei diritti fondamentali l’autore avanza anche la sua critica alla crescente idolatria del mercato e del neoliberismo che, a sua avviso, porterebbe verso l’atomizzazione della società.

In contrapposizione Beck ritiene che, a fronte dei processi di individualizzazione, occorra recuperare la solidarietà attraverso l’elaborazione di libertà politiche ovvero con l’arte della libera associazione.

Si tratta di autorganizzazione e autogoverno individuale derivante dalla trasformazione delle questioni pubbliche in questioni private. Una politica dal basso che, con iniziative autonome, prende in mano responsabilità e bene comune in concorrenza e/o contrasto con le istituzioni "ufficiali". Infatti il sentirsi responsabile per quanto accade "intorno" porta ad azioni ben precise. La libertà va dunque presa e praticata nella spazio sociale e politico associandosi con gli altri contro gli altri in modo puntuale su singoli temi ed in modo sempre diverso una volta dall’altra, senza seguire schieramenti dati a priori come accade nelle esperienze tradizionali.

Secondo Beck la paura della libertà non consente di vedere le potenzialità latenti che la libera associazione può avere nel creare legami e responsabilità nella cosiddetta democrazia post-tradizionale senza nemici. Esiste infatti una logica della crescita delle libertà che potrebbe porre in secondo piano o addirittura superare quella della crescita economica, così deleteria per l’ambiente.

La libertà politica diviene l’elemento distintivo della dinamica della seconda modernità in grado di trasformare continuamente le basi dell’agire umano, entrando in tutti gli ambiti e disgregando le strutture tradizionali.

La paura della libertà, che al tempo stesso nasce, deriva invece dal fatto che siamo tutti veri e propri analfabeti nella lingua e nell’arte di creare e tessere liberamente connessioni e legami sociali. Altra conseguenza di questa maggiore libertà è il cosiddetto cittadino brutto e cattivo, anch’esso creatore a sua volta di legami sociali.

Su quest’ultimo aspetto per Beck il solo rimedio è ancora più libertà per combattere questi eccessi di libertà attraverso esperienze in grado di risvegliare e rinnovare il senso di responsabilità degli individui.

In definitiva, con la modernità che pone al centro la libertà politica, Beck vuole indicare una prospettiva che possa legare il passato ed il futuro della modernità occidentale e consentire di affrontare i nuovi problemi posti dall’era della globalizzazione.

Come i vicini divengono ebrei: la costruzione politica dello straniero

L’ultimo saggio Beck riprende la descrizione della seconda modernità soffermandosi in particolare su alcuni aspetti negativi derivanti dalla reazione "difensiva" alle nuove realtà che la società individualizzata crea.

Partendo dalla tragedia degli ebrei nel periodo nazista, l’autore analizza il processo con cui il nostro prossimo può essere tramutato in straniero e quindi in nemico. Egli afferma che quelle persone non erano di razza ebraica, ma semplicemente vicini trasformati in stranieri ed in questo modo espulsi dal popolo tedesco.

Questo concetto può essere generalizzato e quando si parla di turchi, zingari, asylanten, ecc. ci si riferisce a gruppi che non hanno solo una certa cittadinanza politica ma anche un’identità culturale diversa. Identità culturale che viene considerata come un qualcosa di sostanziale, dimenticando che in realtà essa è un costrutto politico e sociale.

Per prima cosa Beck definisce il significato sociologico del termine straniero.

La categoria straniero forza i concetti e gli stereotipi del mondo degli autoctoni ed è caratterizzata dalla contraddizione. Essa significa distanziamento dei vicini da parte dei vicini senza alcun accordo reciproco e presuppone una certa tranquillità e chiusura nelle forme di vita degli autoctoni.

Sotto questo aspetto l’irritante dello straniero consiste nel non riuscire a ricondurlo a nessuna delle "nostre" categorie, essi sono in sostanza autoctoni che non obbediscono agli stereotipi degli autoctoni stessi.

Dato che la tipicità non è naturale ma un costrutto sociale, gli stranieri sono una smentita dei confini netti e delle basi naturali su cui gli stati hanno fondato la loro identità e appartenenza.

Ad esempio si può citare la contraddizione palese, rispetto allo stereotipo del tedesco, dell’esistenza di afro-tedeschi che hanno cittadinanza tedesca, parlano il tedesco perfettamente ma hanno la pelle nera.

Altro aspetto della categoria straniero è la relatività, occorre cioè la presenza di un quadro di riferimento ritenuto oggettivo. Basta infatti varcare un confine per passare dalla condizione di autoctono a quella di straniero.

La razza è quindi una costruzione sociale dove lo straniero si contrappone o attraversa tutti i concetti dell’ordine sociale, mettendo in discussione la validità delle distinzioni e dei confini comunemente accettati. L’estraneità dello straniero presuppone un atteggiamento generalizzante con caratteristiche stereotipate e deindividualizzate, mentre, al contrario, il nostro comportamento e quello dei nostri simili viene spiegato in termini individualizzati.

La categoria straniero significa trasversalità, ambivalenza come modo di esistere.

Con il passaggio dalla modernità semplice a quella riflessiva il concetto di straniero si complica, infatti da una parte il concetto di autoctono perde chiarezza, dall’altra gli intrecci ed i contesti internazionali e sopranazionali sono sempre più complessi e numerosi.

Quando Beck parla di modernizzazione riflessiva intende lo stadio in cui la modernizzazione si trasforma mediante una rielaborazione del quadro di riferimento e delle categorie dell’ordine sociale della stessa società industriale moderna. La modernità riflessiva si basa su tre principi:

- insicurezza costruita. L’esistenza non è divenuta più rischiosa, ma i rischi nascono ed hanno una portata diversa dal passato. Le conseguenze dello sviluppo tecnico e industriale mettono in discussione la razionalità che fino ad ora ha consentito di fronteggiarle, viene quindi meno il patto della sicurezza che ha garantito nella società industriale il consenso nei confronti del progresso;

- globalizzazione. I pericoli per la civiltà non si possono più superare a livello nazionale o locale. Non si tratta di un problema soltanto economico, ma riguarda le conseguenze generate dalla possibilità di azioni a distanza consentita dall’evoluzione dei mezzi di comunicazione, delle reti informatiche e dei mezzi di trasporto.

La globalizzazione è un processo complesso che produce conflitti e nuove forme di definizione. In tal senso per Beck anche il riemergere di nazionalismi a livello locale e l’accentuazione di identità etniche locali sono prodotti della globalizzazione, anche se sembrano essere il contrario;

- dissoluzione della tradizione e individualizzazione. Le fonti di senso collettivo come identità etniche, classe, ecc. si esauriscono ed all’individuo spettano tutte le definizioni. Ad essi sta ormai il compito di affrontare sia i problemi della sfera globale sia quelli della sfera personale.

Per Beck però individualizzazione non significa solo dissoluzione della tradizione, ma anche possibilità di reinventare tradizioni. Quindi la definizione riflessiva si riferisce al carattere di riflessività della modernità, nel senso che dal logoramento e trasformazione dei presupposti e delle condizioni della prima modernità nascono nuove incertezze, trasformazioni e superamenti della sfera del sé.

In questo contesto diventa difficile stabilire chi siamo, infatti l’esistenza individualizzata è una vita mobile in tutte le sue sezioni sia orizzontali che verticali. In un certo senso la modernità riflessiva generalizza la categoria di straniero rendendola un’estraneità universale. Questo però non significa che il rapporto con gli stranieri sia divenuto meno problematico ma anzi è il contrario: l’identità si fa confusa, la globalizzazione fa crollare le barriere della lontananza e l’insicurezza costruita significa problemi dappertutto e nessuno che fa niente per risolverli.

Ci sono quindi sempre più persone che considerano il proprio mondo minacciato e per questo si mobilitano. Barricarsi, rinchiudersi in casa sono reazioni diffuse contro la paura di ciò che viene da fuori. Si assiste in definitiva ad una politicizzazione generalizzata del problema sicurezza.

Ne consegue che anche la costruzione sociale dello straniero nella seconda modernità muta, essendo mutati i contesti, gli attori, le istanze e le risorse.

Per l’autore l’indeterminatezza del concetto culturale fa sì che in Europa sia in atto un processo di sostituzione di questo con il concetto di straniero burocratico, quindi più semplice e chiaro da definire, molto meno indeterminato. Ed è proprio sul terreno del diritto degli stranieri e dei rifugiati che la minaccia dello stato forte ha trovato un’anticipazione.

Ma come avviene la trasformazione da straniero a nemico?

Per quanto detto in precedenza, la distinzione tra "noi" e lo "straniero" non deriva da nulla di naturale, da presupposti sociobiologici ma da un determinato ambito sociale in una determinata epoca. Essa va considerata e compresa nell’ambito di un determinato stato, nazione partendo dal monopolio della legittimazione della violenza da parte dello stato. In questa logica c’è una territorialità dell’identità concepita come un qualcosa di evidente che esclude la presenza di identità multiformi ed ambivalenti.

Per Beck quindi l’etnicità non è una variabile originaria della differenziazione sociale, ma piuttosto un’impalcatura politico-burocratica. Essa insieme all’immagine del nemico ha costituito una fonte di legittimazione dello stato moderno.

Con la modernità riflessiva la costruzione del nemico è politicizzata attraverso la politicizzazione della questione sicurezza e l’introduzione dello straniero burocratico in luogo di quello culturale.

Su questa base ci si poggia per ricostruire uno stato sicuritario con funzioni di protezione.

L’accento e la tensione devono quindi andare ai processi dell’opinione pubblica, della politica e dell’apparato amministrativo che creano lo straniero e su come evitare che ciò accada.

La frase "come i vicini vengono trasformati in ebrei" ha il significato di un processo attivo di costruzione, di una minaccia sempre incombente. Al tempo stesso essa è un’esortazione alla difesa ed allo sviluppo ulteriore di una società aperta e di uno stato di diritto liberale.

La proposta cui infine accenna l’autore è quindi un Europa degli individui: l’individualizzazione non è disgregante ma al contrario la lotta per conquistare una vita propria accomuna tutti gli europei e non dall’alto ma nel nucleo dell’autocoscienza di ciascuno di loro.

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