Giulio Scaccia LE ZONE DI CONFINE E L'ANTROPOLOGIA DELLA PERFORMANCE recensione
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Il libro di Victor Turner, Dal rito al teatro, pubblicato nel 1986, contiene una serie di concetti interessanti ed operativi, che permettono una riflessione e un confronto, metaforico e non solo, con le attuali tendenze.
Il metodo antropologico di Turner, figlio di tante contaminazioni, è caratterizzato mai da un modello unico e da griglie precostituite, bensì da modelli in trasformazione, aperti a nuove opzioni e a riconsiderazioni frutto dell’osservazione e dell’esperienza.
In opposizione alla staticità conservatrice struttural-funzionalista, dall’ampio arco che va da Durkheim ai canoni classici dell’antropologia sociale britannica della Scuola di Manchester, Turner cerca di individuare la componente dinamica e processuale delle relazioni sociali, il sorgere di principi e valori antagonistici ed oppositivi atti a rimodellare l’intera struttura sociale. Il suo approccio riesce a cogliere le smagliature e le distonie tra affermazioni e comportamenti, posizioni sociali precostituite e crisi, preludio delle trasformazioni. In queste sacche di mutamento, si annidano i germi del cambiamento e da qui la ripresa e lo sviluppo del ricco concetto di liminalità.
Mutuato da Van Gennep il termine liminalità indica la zona di margine e di confine, anticamera del passaggio a nuove aggregazioni sociali e culturali. Offre alla comprensione il senso di “attraversamento”, estendendone il significato in energia in movimento, che recupera la ricchezza e la processualità delle dimensioni individuali e collettive.
Va altresì ricordato che Van Gennep nei suoi rites de passage considerava la soglia, appunto “limen”, punto intermedio tra la fase che precede “preliminare” e la fase successiva il “post liminare”. Da qui parte Turner nell’introdurre il concetto di “dramma sociale”, e sulla scia di Van Gennep, considera la fase preliminare come senso di “rottura” (di relazioni, di interazioni); segue la “crisi” dove tutto è indeterminato, tutto è limen soglia, zona di confine, zona di attraversamento, infine la fase “post liminare” che può indirizzarsi in una nuova “aggregazione” o ad una “rottura”.
Il liminale rappresenta quindi un contesto di ibridazione sociale e culturale, zona di confine in cui potenzialmente possono sorgere nuovi modelli, paradigmi, in cui la creatività inscena la sua danza. Ed il teatro, nella suo aspetto produttivo, riesce a dare una forma a questi momenti di passaggio e per il confronto/scontro con il pubblico è laboratorio, avanguardia di cambiamenti importanti e di routine sociali consolidate.
Turner nell’introdurre il concetto di “dramma sociale”, considera la fase preliminare come senso di “rottura” (di relazioni, di interazioni); segue la “crisi” dove tutto è indeterminato, tutto è limen soglia, zona di confine, zona di attraversamento, infine la fase “post liminare” che può indirizzarsi in una nuova “aggregazione” o ad una “rottura”..
Il concetto di liminalità oggi, studiando le organizzazioni o vivendo le dinamiche e le emozioni all’interno di un’aula, risulta più diluito e meno marcato. Quello che si osserva è una carenza di confini definiti, una perdita delle appartenenze di gruppo e collettive e, per cogliere questi “passaggi”, bisogna acuire la consapevolezza: sia di chi osserva, sia di chi ne è protagonista. Nell’epoca di un infinito presente, in cui spesso l’individuo è solo e circondato da contraddizioni, solo una forte consapevolezza può fornire le chiavi per leggere e cavalcare i germogli del possibile cambiamento.
Al centro sono gli individui, le dinamiche relazionali: in virtù di questo, Turner introduce un concetto caro a Dilthey: l’esperienza vissuta, in tedesco Erlebnis, letteralmente “ciò che si è vissuto fino in fondo”. L’esperienza vissuta, talmente ricca da essere difficilmente inchiodata a categorie formali e al contempo avente in sé una tendenza alla forma. Un Erlebnis che consente di elaborare una connessione strutturale tra il prima e il dopo, tra unicità e molteplicità, tra somiglianza e differenza, fino ad arrivare al momento che include l’attraversamento tra “dramma sociale” e “teatro”: la performance.
L’antropologia della performance è antropologia dell’esperienza: ogni tipo di performance culturale è spiegazione ed esplicazione della vita stessa: “mediante il processo stesso della performance ciò che in condizioni normali è sigillato ermeticamente, inaccessibile all’osservazione e al ragionamento quotidiani, sepolto nella profondità della vita socioculturale, è tratto alla luce”.
Il richiamo qui è alla capacità del formatore di “tirar fuori” le emozioni, il vissuto, ciò che è presente all’interno di sé e dei partecipanti e che emerge, spinto fuori: un’esperienza vissuta è già in se stessa un processo che “preme fuori”, verso un’espressione che la completi. Qui Turner ci viene in aiuto, esplicitando sempre meglio il concetto, a partire dalla radice indoeuropea – per - “tentare, azzardare, rischiare”, per poi passare al greco peira “esperienza”. Quindi dal “fare”, “tentare” per “esperienza” si risolve che "il termine performance deriva dall’antico francese parfournir che significa letteralmente “fornire completamente o esaurientemente”. To perform significa quindi produrre qualcosa, portare a compimento qualcosa, o eseguire un dramma, un ordine o un progetto. Ma secondo me nel corso della ‘esecuzione’ si può generare qualcosa di nuovo. La performance trasforma se stessa (…). Le regole possono ‘incorniciarla’, ma il ‘flusso’ dell’azione e dell’interazione entro questa cornice può portare ad intuizioni senza precedenti e anche generare simboli e significati nuovi, incorporabili in performance successive”. La performance è dunque la conclusione adeguata di una esperienza, non statica ma mutevole e generativa.
La performance ha un carattere sperimentale e allo stesso tempo critico: attraverso l’agire psicofisicoè possibile vivere e portare a compimento un’esperienza e nella messa in scena del nostro corpo è possibile riflettere sull’esperienzastessa.
A livello più generale la performance costituisce una forma, una sorta di storia che un individuo o un gruppo racconta a se stesso e su se stesso: questo facilita la lettura del proprio vissutoattraverso il rivivere l’esperienza stessa, oppure permette di vivere situazioni nuove secondo modalità inedite; inoltre favorisce una riflessione critica sul reale, permettendo di effettuare un’esplorazione all’interno dei simboli culturali, fornendo il significato ai conflitti del presente. Ritorna qui l’esigenza e l’importanza di una osservazione di se stessi, oggi spesso smarrita. Attraverso di essa, l’individuo si accetta, si scruta, decide di forzare alcuni limiti e barriere, scopre dentro di sé la motivazione ed il desiderio di crescere.
Osservo una quantità di significati, diretti o metaforici, riguardo l’attività di formazione e sviluppo. La lettura del testo può dare un ulteriore stimolo o dibattito su temi quali il cambiamento, le contaminazioni e le connessioni tra esperienze in un’epoca instabile, di rapidi confronti interculturali e in cui si fatica a dare un senso all’agire.