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Gianfrancesco Prandato

Del consenso e del potere di Empire

recensione a:
Michael Hardt e Antonio Negri, Empire,
Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts e London, England, 2000

 

Premessa
Confesso che è difficile leggere un libro di Antonio Negri senza una sottile forma di pregiudizio per il passato che lo contraddistingue. Io ho l'età per ricordare cosa quest'uomo ha rappresentato, forse anche oltre la sua volontà, e i ricordi, nonostante la prospettiva del tempo non sono divenuti positivi.
Tuttavia ogni opera e ogni epoca ha una loro storia e ogni libro deve essere giudicato per quello che è, anche oltre la volontà del suo autore. Questo libro poi, ha una storia particolare, non e' stato pubblicato in Italia, in cui pare non abbia trovato un editore, ma è un successo negli Usa e in Francia. Per capire quanto importante sia basta visitare il sito www.amazon.com e vedere lo spazio e l'esposizione che gli è data.

Il libro
Empire è un opera contraddittoria che, nonostante punti irritanti e idee totalmente campate in aria, segna, o forse meglio, tenta di segnare, un punto di svolta nel pensiero del decennio in cui entriamo. Il punto migliore del libro è appunto questo, la sua vastità, in termini di pagine e di programma, la sua dichiarata ideologicità, in contrasto con tutti i requisiti del pensiero dominante, il suo essere un progetto e un prodotto totalmente visionario, ideologico e a tratti profetico. Uno sforzo poderoso, alto, importante che richiede attenzione, comunque, e che è incomparabilmente più ricco di tutto quello che ho letto sulla globalizzazione fino ad ora. Il libro tenta di delineare il profilo del nuovo governo mondiale, che definisce come Empire, un superstato, o meglio un supersistema, guidato dagli Usa, ma che comprende tutti, paesi industrializzati e paesi poveri, che mescola il progresso e il passato, che disegna la vera fine della storia e le nuove regole di convivenza del pianeta. Progetto ambizioso, come dicevo, a tratti irritante, per il tono quasi profetico che usa, ma con una innegabile dose di fascino.

Contenuti
E' quasi impossibile condensare i contenuti di questo libro che per vastità e ambizione è un'opera che ha rari eguali. Per cui l'esame che ne faccio è sommario e relativo solo a quello che mi sembra innovativo.
Il testo definisce la nascita e il funzionamento di Empire. Ne definisce le regole, e cosa importante, le distingue dall'imperialismo, che giudica una fase superata della storia mondiale, una fase in cui i mondi, primo secondo e terzo erano ancora distinti. Oggi, con l'avvento di Empire i confini sono sfumati (Blur, titolo di un famoso libro (1), è la parola usata in inglese), le nuove regole del dominio sono incorporare, differenziare e gestire.
Incorporare è la più interessante delle visioni, è la più avanzata versione della postmodernità. E' la motivazione per cui la diversità è valorizzata e spinta nelle grandi Corporation e rappresenta uno dei cardini portanti di Empire. L'accettazione dei diversi è quindi un valore di inglobamento su cui si fonda il potere di questa nuova entità.
Inglobare, dare a tutti una speranza di miglioramento, di visione comune, qualcosa da perdere, è una visione dell'Empire, ma che sicuramente non appartiene all'apparato della destra imperialistica e viceversa è più vicino alla sinistra liberale. Questo è uno dei grandi apparenti cortocircuiti della storia delle idee e della politica, ancora poco compreso.
Incorporare è solo il primo passo per poi differenziare su una scala diversa, meritocratica e non su idee o razza, come veniva fatto precedentemente in un contesto "imperialistico" e non ancora "imperiale". Ed è un poco l'immagine dell'America, con i suoi tratti positivi, di progresso e di modernità, in senso di avanzamento che gli autori, pur non condividendo, riconoscono, anche se da una prospettiva che si dichiara ancora comunista.
L'altra conseguenza è il superamento degli stati nazionali, che secondo gli autori perdono di peso e di consistenza a favore di un contesto di mescolanza di democrazia e oligopolio.
E questo è un punto molto controverso del libro perché chiaramente gli autori riconoscono in questo, con impianto tipicamente e dichiaratamente marxista, un altro progresso nella storia dell'umanità. In questa parte "smascherano" e criticano apertamente le ideologie favorevoli ad una preservazione artefatta e conservatrice della biodiversità culturale, rappresentata dal localismo e dall'esaltazione del no branding e no global. Le smascherano perché ne delineano i limiti e i pericoli, contrapponendosi così a parte del fenomeno antiglobalizzazione.
Altro punto di analisi interessante è il ruolo di Internet e di governo del sapere consenso conoscenza che la rete rappresenta. The Net è, secondo gli autori, uno dei sistemi portanti del consenso e del potere di Empire, perché il suo sviluppo, pur decentrato e atomizzato, richiede un controllo fortemente centralizzato e pianificato.
Il consenso, il potere, passa quindi nelle mani di un insieme di nazioni a un insieme di entità, non chiaramente definite, che mantengono un privilegio, un dominio del potere. Si passa dalla sovranità all'immanenza, a una sorta di alone non esplicito, incombente, che si evolve senza nessuna nostalgia per il passato.
Infine c'è una analisi dei nuovi meccanismi di dominio, che sono nell'ordine le bombe, i soldi e l'etere, rappresentati in una metafora fortemente visionaria in tre città americane, Washington, NY e Los Angeles.
Per cui alla fine questo Empire diventa l'estensione del modello aperto della società che si va pian piano delineando negli Usa. Un sistema a cui gli autori riconoscono un grado di supremazia che finiscono per definire in qualche modo come migliore, e per questo si sono attirati molte critiche specie da sinistra. Gli Usa sono definiti come il fulcro centrale di questa entità, ma Empire va oltre gli Usa, finisce per inglobare anche gli Usa, per cui questo sentimento di contrasto contro gli Usa, tipico di molta sinistra, viene definito come sfocato e solo parzialmente condiviso.

Commento
Che lo si condivida o no, questo è un libro "epocale", nel senso che cerca di definire e sistematizzare un periodo e una evoluzione storica. I punti interessanti sono quelli che ho sommariamente definito nei contenuti, le critiche sono invece quelle che seguono.
Il libro non è un vero saggio, ma più che altro un sogno, una visione da intellettuali che ha solo un parziale riscontro con la realtà. Non c'è un solo dato a conferma delle idee espresse; ci sono invece, a profusione, citazioni filiosofiche e politogiche, da Sant'Agostino a Marx, passando per Machiavelli e Leibnitz. E' una scelta che fa del libro appunto un sogno di idee anziché una analisi di fatti.
E' facile scoprire enormi falle nei lucidi teoremi che gli autori propongono. Ad esempio la visione degli stati nazionali come entità ormai destinate al superamento è totalmente disconfermata se si legge una semplice statistica del peso dello stato nel Pil dei 7 paesi più industrializzati per gli ultimi 10 anni (2). La realtà è infatti l'opposto, lo stato pesa più di prima, e questo è confermato dal comportamento "Keynesiano" di Bush nell'attuale crisi.
La visione di Internet e dei suoi santoni come controllori, prima fra tutti Microsoft è del tutto pregiudiziale, poiché prende in considerazione delle tendenze non ancora chiaramente affermate, e non recepisce le nuove economie del dono, Linux per tutti, che la rete ha finito per affermare.
E ci fermiamo a due esempi per dimostrare il forte pregiudizio ideologico con cui gli autori approcciano il tema. Però è un approccio aperto visibile, affermato come pregiudiziale.

Questa opera mi ricorda due testi letterari, in equilibrio com'è tra una estrema lucidità e una totale visionarietà velleitaria . Il primo è un giallo di Bioy Casares e Borges, in cui c'è un investigatore che è carcerato (Isidro Parodi) che attraverso il racconto dei fatti che altri gli riportano finisce per risolvere i misteri investigativi (3). Gli autori sembrano nella stessa condizione, distanti dalla realtà, realmente poco interessati al mondo, per cui finiscono per delinearne degli aspetti strutturali in modo lucido. Il secondo sono i romanzi di Philip K. Dick, in cui tutto è verosimile, ma nulla è vero, tutto è sogno creazione artificiale, invenzione (4).


Note:

1 DAVIS, Stan; MEYER Christopher, Blur : The Speed of Change in the Connected Economy, Little Brown & Company, 1999; trad. it. Blur. Le zone indistinte dell'economia interconnessa; MCF, 1999.

2 E' facile trovare questi numeri nelle sezioni statistiche dell'Economist, o in www.ft.com

3 Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges (sotto lo pseudonimo di H. Bustos Domecq), Sies problemas para Don Isidro Parodi, 1942, Dos Fantasías memorables, 1946.

4 Vedi p. es. in Bloom Francesco Varanini, Per una critica del logo impuro, Philip K. Dick vs. Naomi Klein, o la parola fatta prodotto.

 

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