BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/02/2010

Lauro Venturi

LE DONNE E IL LAVORO: UN TEMA INTRIGANTE E RISCHIOSO

recensione di:
Donne senza guscio. percorsi femminili in azienda

Guerini e Associati, 2009

Il lavoro di Luisa Pogliana è quello di una registra di strada che, con una candid camera intelligente, osserva ed ascolta diverse donne che lavorano in ambito manageriale.
Si respira forte lo spessore della lettura psicologica e sociologica, che l’autrice dimostra di possedere appieno: però quello che prevale è un ascolto attivo, partecipato e coinvolgente.
Il percorso di Luisa Pogliana nel management femminile per me assomiglia all’andare di una viandante, che di volta in volta decide di continuare o di fermarsi laddove l’attrae qualche cosa di interessante.
Se non una vera e propria  flâneur, l’autrice è senz’altro molto più di una viaggiatrice che esplora il management femminile con un itinerario ben definito. D’altronde, per non avere dubbi, ci dice subito, con la dolce fermezza che la contraddistingue, che il progetto è fortemente maschile, un’idea troppo rigida di fronte alla quale trovarsi a disagio è sacrosanto.
Le centonovanta pagine (bibliografia e ringraziamenti compresi) del libro sono un percorso che sviluppa un diverso e originale  approccio al management femminile e al cosidetto diversity management.
E’ un viaggio che sa anche di “serendipity” e che vede Luisa Pogliana camminare attenta ma anche rilassata, seria ma anche affettuosa, insieme a tante donne intervistate, che portano con sé uno zaino pieno di esperienze concrete raccontate senza troppe corazze difensive. Di per sé un valore da giustificare il libro, questo.
È completamente allontanato il rischio del definire un modello di management femminile, che sarebbe il fallimento più grande di chi cerca una via originale al lavoro delle donne in azienda.
Troviamo persone (e quasi ci affezioniamo, vorremmo conoscerle…)  che interpretano il lavoro non solamente in chiave strumentale, ma di crescita personale e professionale. La soddisfazione di ciò che si fa risulta spesso più importante del guadagno e gli affetti vengono valorizzati, anziché negati, nella vita di lavoro.
Il lavoro quasi come uno spazio di libertà, non certo gratuita, nel quale crescere, scegliendo di volta in volta cosa sia meglio per sé.
E se l’azienda soffoca troppo le loro potenzialità, le donne dimostrano più coraggio, rispetto a noi uomini, nel tentare strade diverse, compreso il lavoro autonomo.
Nella vita occorre avere il coraggio di riordinare continuamente le priorità, accentando anche di essere più povere” afferma un’intervistata.
L’autrice commenta con garbo e con intelligenza le testimonianze delle donne che si raccontano in questo libro. Non è mai invadente ma nemmeno banale. Ad esempio, le riflessioni sulla gestione del potere in azienda e sull’approccio femminile alla carriera, sono veri e propri testi di management, umanistico se vogliamo, ma con il rigore assolutamente necessario per prendere queste considerazioni come riferimento nel proprio operare quotidiano.
Si capisce che mentre per un uomo la scelta di fare carriera sia praticamente obbligata, per le donne sembra quasi più frutto di una scelta.
E poi, forse, non è “carriera” la parola giusta per sintetizzare la crescita professionale delle donne. È più un percorso che si dipana, anche in base alla spinta dei casi della vita, per “essere qualcuna più che diventare qualcosa”.
Il lavoro e la crescita nel lavoro emergono, nel libro di Luisa Pogliana, non tanto come necessità di riconoscimento sociale, quanto come mezzi per realizzare se stesse,  in una continua ricerca di armonia tra gli obiettivi aziendali e quelli personali e familiari: l’agenda femminile è davvero “una pluralità di agende!”.

Gli obiettivi aziendali posti alle donne sono davvero, senza melense concessioni vetero – femministe, più gravosi: “affermarsi come donne vuol dire essere brave, ma competere con gli uomini vuol dire essere alla loro altezza, vissuta come superiore”.
In azienda una donna, per essere considerata al livello dei suoi colleghi maschi, deve avere dimostrato molto di più perché, senza “se” e senza “ma”, la donna sul lavoro è valutata con un metro più severo.
Non è solo un fatto di quantità, anche se di per sé è un bel problema per una donna stare al passo del “fanatismo maschile da prestazione che gestisce le riunioni all’alba o alla sera tardi”.
E’ anche un diverso modo di lavorare, mettendo maggiormente l’accento sull’efficacia e sui risultati concreti, più che dedicare tanto tempo alla promozione di se stessi e al “face time”, ore e ore funzionali all’immagine sociale, che assorbe tanto i dirigenti maschi.
È molto difficile che una donna diventi una workaholic, sia perché non può permetterselo, sia perché sembra, dal racconto che si tesse nelle pagine del libro, proprio in contrasto con la natura femminile. Però emerge come le donne debbano impegnarsi allo spasimo per…poter lavorare, “e non folleggiare o dedicarsi ad amenità varie”.

Attraverso la sapiente lanterna dell’autrice, che connette ed espande con rispetto le testimonianze delle donne intervistate, si ha la forte impressione che l’occhio femminile permetta di cogliere più elementi creativi nel lavoro manageriale, rispetto alla fredda lettura di schemi e matrici che spesso lo caratterizzano.
Sarà perché nel lavoro molte donne utilizzano con più naturalezza il linguaggio dell’amore?
Sarà perché emozioni e desideri non vengono spazzati via da una corsa compulsiva a fare carriera?
Sarà perché l’universo aziendale femminile è fatto di persone e non di ruoli, di gente che non vuole rinunciare a ciò che è per diventare qualche cos’altro?
Sarà perché il cambiamento, che non viene mai da solo e mai dall’alto, è naturalmente una skill femminile?
Risposta non c’è, o forse chi lo sa…
Ma il libro di Luisa Pogliana non vuole dare risposte, né tanto meno modelli: propone chiavi di lettura.
E lo fa senza nascondersi dietro a dati oggettivi emersi da ricerche di qualità, pur dimostrando l’autrice di governare appieno questi strumenti, talmente familiari da darli per scontati.
Lo fa accogliendo con attenzione le testimoniane e dicendo il suo parere con robuste argomentazioni e tanto coraggio, schierandosi. Perché in fondo, ci dice Luisa, scegliere è sempre una crescita.
Il libro non nasconde quindi i problemi che le donne incontrano in azienda e portano in azienda: è “inevitabile nutrirsi delle bacche tossiche che la giungla offre ogni giorno”.
Si parte dalla forte incoerenza tra il dichiarato e l’agito, che caratterizza troppe organizzazioni, per chiedersi come mai il management femminile tenda ad essere confinato in ruoli di staff, “ghetto di velluto” dove si attua una segregazione orizzontale delle donne.
Oppure, si evidenzia che i ruoli assegnati alle donne hanno quasi sempre a che fare con la necessità di ascoltare le persone, come se per i dirigenti maschi questa fosse una perdita di tempo.
Si sviluppa poi il tema della difficoltà che le donne hanno a muoversi nella rete del potere aziendale. Anzi, spesso ne prendono le distanze, dimenticando che difficilmente l’azienda, soprattutto se di grandi dimensioni, si accorge di chi non si fa notare.
Dal libro emerge una concezione femminile del potere, fatto di libertà e non di dominio, di autorevolezza e non di autoritarismo, di indirizzo e non di controllo.
Il potere per le donne non è status né tanto meno autorità, ma potere di fare.
Altro tema delicato, trattato compiutamente, è la ricerca dell’approvazione del proprio capo, che a volte porta le donne in azienda a regredire al livello della “brava bambina” che riceve il premio di essere considerata l’unica e la preferita dal principe azzurro aziendale..
“Donne senza guscio” mette a nudo, senza violenza, l’insicurezza che l’universo femminile ha dentro si sé, un senso di disvalore che non si limita al personale ma dilaga in una svalorizzazione di genere.
Anche la scarsa solidarietà tra donne in azienda è trattata con grande onestà, così come il fatto che, spesso, stima ed apprezzamento siano di per sé considerati dalle donne come un riconoscimento sufficiente, rinunciando a doverose richieste economiche.
Nel libro si respira il soffitto che impedisce alle donne di crescere in azienda, di andare oltre i ruoli tradizionali. È un soffitto che non si vede, trasparente come il vetro perché non funziona in modo ufficiale.
Quello che mi ha colpito, però, è che non si trovano, in questi racconti, lamentazioni o recriminazioni, quasi che proprio non ci tengano a configurarsi come vittime.
Certo, vengono ritenuti efficaci supporti che aiutino le donne a dispiegare meglio, in azienda, le proprie peculiari risorse.
“Direi che è un bene avere un mentore a cui fare riferimento, esterno all’azienda”, afferma una protagonista, mentre l’autrice non lascia spazio a concessioni: “purché sia rispettata una condizione, sostegno e orientamento devono essere offerti da un’altra donna, perché un uomo non potrebbe capire che cosa veramente una donna si trova a dover affrontare”.
Da dirigente uomo che ha fatto un lungo percorso esperienziale e di studio per diventare counselor e coach, che ha scritto un libro intitolato “L’educazione sentimentale nel manager”, che ogni giorno cerca di coniugare l’orientamento al business con un sincero interesse per le persone, ho fatto fatica a digerire questa affermazione.
Ma alla fine, ascoltando senza (troppi) pregiudizi le autoanalisi, spesso coraggiose, delle donne che si raccontano, ho sentito davvero che più di noi maschi ricercano un “lavoro che sia di costruzione di vita, non di costrizione”.
Nel mio romanzo “L’ultima nuvola” ho trattato con intensità gli effetti perversi, per le persone e per l’azienda, di un orientamento ossessivo e maschile al lavoro e alla carriera. Però non avevo riflettuto che “quello che noi dobbiamo chiederci in questa azienda non è cosa proponiamo alle donne, ma che vita proponiamo a tutti”.
Sono quindi grato a “Donne senza guscio” per avermi insegnato qualche cosa, superando anche se solo in parte alcuni pregiudizi mettendomi in ascolto, senza obiettare prima di avere capito e sentito cosa volevano dire quelle parole.
“Perché un gruppo omogeneo che si è composto per cooptazione dovrebbe introdurre al suo interno il gene della diversità?”, si chiede verso la fine Luisa.
Perché se proviamo ad uscire dalle regole, lasciando briglia sciolta alla diversità, anche noi manager maschi potremo avvicinarci a nuovi punti di vista che ci renderebbero meno rigidi e meno obbligati a recitare copioni preconfezionati e limitanti.
E’ una sfida che, da uno a mille, dobbiamo accettare assumendoci la responsabilità individuale di muoverci anche in contesti avversi, senza scuse, perché è vero: “il destino non è che l’ultimo nome che diamo al nostro inconscio”.

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