BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 22/09/2008

 

OTIUM: ISTRUZIONI PER L'USO

di Massimo Reggiani (1)

Scipionem…dicere solitum scripsit Cato… numquam se minus otiosum esse, quam cum otiosus, nec minus solum, quam cum solus esset”
(Catone ha scritto che Scipione era solito dire che non era mai meno disimpegnato di quando era disimpegnato, né meno solo, di quando era solo)
Cicerone, De Officiis, libro III, cap. I

 

Siamo sempre 'impegnati',e ci facciamo anzi un punto d'onore, non di rado, di stare a lavorare fino a tardi. E in fondo ci piace dire che 'siamo molto presi'. Si arriva per questa via a dire che 'l'ozio è un vizio'.
Ma sappiamo anche che il confine tra 'tempo di lavoro' e 'tempo libero' è sempre più sottile. E sappiamo anche che le 'buone idee' difficilmente vengono in mente quando si sta accanitamente 'lavorando'.
Interessanti quindi per noi i percorsi che possono condurci ad un ragionevole e praticabile 'ozio'. Anzi, 'otium'.

La parola 'ozio' non gode di buona fama in lingua italiana, né a livello popolare (dove i proverbi di tono negativo si sprecano, valga per tutti “l’ozio è il padre di tutti i vizi”), né a livello professionale (dove l’enfasi alla 'performance' e il diffuso orientamento economicistico fanno considerare l’ozio poco meno che un attentato alla produttività delle aziende e del paese), né, persino, a livello morale (dove ogni etica, a partire da quelle religiose, vede con grande sospetto l’atteggiamento ozioso, squalificandolo come futile, ignavo, pericolosamente poco orientato al bene comune).
Proprio perché qui non si vuole certo difendere questo tipo di ozio, preferisco tornare alla parola latina da cui deriva etimologicamente, otium, che ben altro significato aveva, pur accanto a quello, biasimevole e negativo, che ha assunto in italiano. E vorrei trattare brevemente dell’otium, intendendolo come un approccio diverso all’utilizzo del proprio tempo, considerandolo non solo come un’ottima alternativa all’insensato e assatanato muoversi indaffarato quotidiano, ma soprattutto come una via importante di miglioramento delle proprie capacità e della propria qualità della vita, senza che questo intacchi più che tanto, o faccia fallire, impegni lavorativi e risultati in cui ciascuno di noi è coinvolto. Anzi, vorrei qui sostenere che il ritorno all’otium potrebbe essere una possibile soluzione da proporre a quanti (livelli manageriali e no) si trovano stressati e eccessivamente concentrati sul task, per ridar loro, non dico serenità e tranquillità d’animo (ma perché no?), ma almeno rigenerazione di energie e allargamento di visione, e forse anche arricchimento di capacità e di incisività sul reale. Insomma: otium come modalità di empowerment (se vogliamo utilizzare la nostra abusata terminologia).

Ma andiamo con ordine, ripartendo proprio dalla parola
Si diceva dell’etimologia latina. Otium ha come significato prevalente quello di “tempo libero da impegni ufficiali”, a cui si associa molto spesso l’idea di fattiva riflessività e di studio, di dedizione ad attività non solo del tipo che oggi potremmo chiamare 'intellettuali', ma anche e soprattutto connesse, in senso lato, ad interessi personali e privati. E’ il 'tempo per sé', sottratto all’impegno sociale ed 'economico', un tempo che viene quasi sempre descritto come ricco e importante. A questo significato se ne associa spesso un altro, legato all’idea di calma, serenità, ascolto di sé e del mondo: otium come tranquillità dell’animo, silenzio, pace, in cui maturare le proprie riflessioni. Così per Ovidio otia nostra sono le poesie che ha scritto; così ne parla Cicerone nella citazione d’apertura, ma anche in numerosi altri passi (non inertia neque desidia, sed otium moderatum atque honestum), e con lui molti altri autori classici. Certo, anche per i latini rimaneva ben presente il significato spregiativo e negativo (dagli ozi di Capua di Annibale, alle otiosae sententiae e otiosissimae occupationes), ma quello che ci interessa di più (e che più si ricorda) è proprio l’otium come tempo sottratto all’invasività del mondo esterno, ma non da esso astratto; anzi, durante l’otium si può pensare con più tranquillità e forse con più efficacia ed inventività a quel mondo esterno con cui siamo comunque in contatto (di pensiero, ma oggi anche, per mezzo della tecnologia, di connessione reale). I latini contrapponevano l’otium al negotium (oggi potremmo dire: al business), ma più precisamente a quello che chiamavano (si legga Seneca) l’iners negotium,, l’inefficace darsi da fare, l’inutile adoperarsi; oggi possiamo parlare  delle occupazioni senza valore aggiunto, dell’immersione immemore in una routine lavorativa che ha perso via via senso, della quotidiana attività ripetitiva che assorbe tempo e che si declina sempre più in semplice iperattivismo e in dedizione totalizzante, dove riflessione pacata e ragionamento sottile sembrano lussi da debosciati intellettuali fuori dal mondo.
Dunque i tempi sembrano diventati (di nuovo?) propizi a riprendere l’abitudine dell’otium e a declinarla in sintonia con le nuove possibilità che il contesto offre (a chi le vuole e può cogliere). Il negotium appare sempre più iners e molti stanno cedendo (anche inconsapevolmente, anche con gioia masochistica) alla sua dittatura.
Oggi, dunque, per una persona che lavora con livelli di qualche responsabilità (dentro e fuori le aziende, da dipendente o da libero professionista), quali forme può assumere l’otium? E quali sono le condizioni che ne permettono l’utilizzo, in modo il più possibile gratificante ed utile (quelle che qui chiameremo le sue 'istruzioni per l’uso'?

Due forme di otium
Propongo due forme di “otium” possibili:

a) l’otium breve, che corrisponde, più o meno, a quello che viene definito il 'periodo sabbatico'; un’istituzione-possibilità molto praticata all’estero, molto meno in Italia, sia per vincoli contrattuali, sia, e più spesso, per autolimitazioni da parte di chi potrebbe accedervi (quindi più per problemi culturali che “tecnici”). La 'sabbaticità', come sappiamo, è un’uscita temporanea e delimitata (di solito un anno, ma perché non utilizzarla per periodi anche inferiori: un semestre, una stagione, due mesi?) dal mondo lavorativo cui si appartiene. Di solito si considera la sabbaticità come legata a progetti personali particolari, “speciali”, che possono finalmente trovare soddisfazione in un periodo di tempo sottratto al lavoro “normale”. Trovo che questo sia già un motivo per limitarne la diffusione. Se  invece si intendesse il periodo sabbatico come un periodo di otium, tanto più necessario, quanto più non esistono “altre e speciali attività” da svolgere, da dedicare a sé e alle proprie capacità riflessive, da coltivare attraverso altre modalità di interconnessione col mondo, ma che non escludono anche pensieri e azioni legate al lavoro da cui ci si è staccati, l’otium breve potrebbe trovare nuove e più diffuse abitudini di pratica. Il tempo di questo otium sarà da riempire di studio, di riflessione, di confronto con altri e insospettati interlocutori, di viaggi, di nuove modalità di rapporto famigliare e amoroso e di quanto ancora può aiutare a rivitalizzare e ad arricchire la mente. Ma, come si accennava, non è escluso da esso ogni riferimento al lavoro. Non c’è, insomma, una 'normalità quotidiana' da opporre a 'progetti e desideri speciali'; c’è piuttosto una 'quotidianità assediata' e una 'quotidianità liberata', una quotidianità soffocata spesso da impegni poco gratificanti (oltre che poco voluti), e una quotidianità di impegni più gratificanti (oltre che scelti e voluti). Così l’otium breve potrebbe, non foss’altro, far sperimentare un diverso modo di organizzare la propria relazione (anche professionale) con il mondo esterno

 

b) l’otium diuturnum,  inteso come un diverso modo di  impostare l’alternanza lavoro-vita privata, o, se si vuole, lavoro-“tempo libero”. E’ un otium, forse, riservato ad un numero più ristretto di persone, ma certo è in crescita la popolazione di coloro che stanno sperimentando l’uscita non solo dal fordismo industriale, ma persino dal post-industriale strutturato ( e si pensa, 'in alto', a professionisti o manager sempre più richiesti di autogestirsi il tempo in modo non semplicemente produttivo, ma soprattutto innovativo e ad alto valore aggiunto per sé e gli altri; e, 'in basso', a precarizzati di tutti i tipi, a tutta la fascia di coloro che non hanno contratti stabili, a coloro che dovrebbero, per riuscire ad andare avanti e a trovare spazi sempre più gratificanti, investire su se stessi, prima di aspettare che qualcun altro pensi di farlo per loro). E magari anche a coloro che avendo “assaggiato” l’otium breve di cui abbiamo trattato sopra,  hanno preso gusto e non intendono ritornare a ritmi lavorativi e di vita uguali a prima. L’otium a cui ci stiamo riferendo è una gestione del tempo in cui, potremmo dire, non si sta mai veramente lavorando a tempo pieno, né si è mai totalmente in vacanza. E’ un mix intrecciato, da una parte, di riflessione distaccata, studio, letture, ricerca, di attività apparentemente a-economiche e a-utilitariste, ma in realtà, oltre che piacevoli e rilassanti, anche arricchenti e capaci di allargare gli orizzonti e innescare progettualità e innovazione inventiva; dall’altra, di contatti e operatività professionale specifica, organizzati secondo un’agenda molto flessibile, totalmente al di là degli 'orari ufficiali', ma anche molto attenta a ricavare spazi e tempi per l’altro tipo di attività. I due aspetti sono fusi insieme e si compenetrano a vicenda, senza confini precisi tra uno e l’altro. Nelle 'pause' si può ragionare di 'lavoro', e durante il 'lavoro' si possono avere 'pause'. In questo caso l’otium dà perfettamente ragione al passo di Cicerone  citato in apertura: è un otium che riflette un tempo impegnatissimo, niente affatto 'ozioso', in cui anche i momenti di solitudine fisica possono essere impiegati per un contatto con il mondo, e il contatto con il mondo non è mai lasciato all’invasività. Il 'tempo libero' si trasforma in 'tempo liberato', e non viene contrapposto a null’altro. Il vero punto cruciale sta nel riuscire per quanto possibile a mantenete il pallino della situazione in mano, nell’essere il più possibile 'padroni di se stessi' (nel duplice senso: della consapevolezza vigile, e della gestione del tempo). In questo secondo senso l’otium potrebbe diventare un possibile paradigma della società attuale, che richiede  nuove capacità e nuovi e continui investimenti di energie, che abbisogna di passioni gioiose (contrapposte alle passioni tristi di cui si parla nel bel libro di Benasayag e Schmit (2)), ma che rischia invece di indurre comportamenti antichi di passività e di acredine, o, viceversa, di impegno forsennato e di totalizzante adesione ad obiettivi produttivistici.

'Condizioni d’uso'
L’otium, così come si è provato a descriverlo, richiede però alcune 'condizioni d’uso' che ne permettano la reale fattibilità. Proverò ad indicare qui quelle che ritengo fondamentali.

    1. Condizioni motivazionali

Sono le prime ed essenziali. Per attivare l’otium bisogna volerlo fare; se non è scelto liberamente non è otium; bisogna maturare “dentro” il desiderio di farlo, vedendone i vantaggi e non solo le difficoltà. Ma bisogna anche essersi allenati nel tempo ad una non totale identificazione nel lavoro professionale, aver mantenuto spazi di interessi 'laterali' e diversi, aver sperimentato e tenuto in vita “spezzoni” di lavoro complementari a quello principale ed 'ufficiale', bisogna magari riprendere in considerazione sotto altra veste quelli che si chiamano gli 'hobby' e che per molti sono addirittura una ragione fondamentale di sopravvivenza e di 'sfogo': perché non pensare che anche gli hobby possono contribuire al lavoro o diventare essi stessi 'lavoro'? Spesso negli hobby mettiamo il meglio di noi stessi (l’entusiasmo, la capacità, la resistenza), che è poi quello che serve davvero. Occorre aver mantenuto nel tempo un atteggiamento da dilettante (3) (che prova diletto in quello che fa, ma anche che non si sente costretto nelle sole maglie di un’attività mono-specialistica; che rifiuta di diventare un “professionista” inteso come  possessore di un corpus chiuso ed autoreferenziale di conoscenze tecniche). Bisogna, in sostanza, sapere bene come si potrà riempire il tempo dell’otium, anche senza programmare tutto nei minimi particolari (come tutti i progetti veri, anche l’otium troverà poi cammin facendo una serie di circostanze attuative non prevedibili all’inizio).

    2. Condizioni tecnologiche

E’ un altro aspetto decisivo. L’otium ha nuove possibilità di attuazione, anche perché l’evoluzione delle tecnologie dell’informazione può offrirgli la base operativa che mancava in passato. Telefoni cellulari, ma soprattutto possibilità di collegamenti web ed e-mail sono punti essenziali di ogni buon progetto  di otium. Un computer portatile è lo strumento principe dell’otium (ma mai dimenticare la buona vecchia “carta”).  Si può rimanere in contatto, senza esserlo realmente, si può sottrarsi agli obblighi di presenza fisica e di domicilio fisso, si possono moltiplicare le possibilità di studio e ricerca, ma anche di divertimento. A patto, ovviamente, di rimanerne, anche in questo caso, “padroni” e non diventarne “schiavi”. L’otium sarebbe distrutto da una totale dipendenza da posta elettronica e telefono; ci devono essere confini e momenti di irreperibilità. L’otium prevede anche che ci si attrezzi, in alcuni momenti , al làthe biòsas (come dicevano, questa volta in greco, gli epicurei: “vivi nascosto”).

    3. Condizioni logistiche

Un buon progetto di otium è facilitato dall’esistenza di ambienti e luoghi adatti all’otium stesso; e non tanto sul piano professionale (anche se un ambiente lavorativo che favorisse la concentrazione e la possibilità di distacco sarebbe molto positivo), quanto sul piano personale-famigliare. Una casa accogliente, con ambienti separati e attrezzati alla bisogna (oltre l’immancabile computer, i propri libri, i propri giornali, i propri pezzi di carta, le proprie cose che ciascuno di noi considera indispensabili nel riconoscersi sé, insomma: i pezzi della propria identità); ancora meglio sarebbe avere la possibilità di una seconda abitazione (o terza, quarta, eccetera), una 'casa delle vacanze' da tramutare in 'casa di otium', e da abitare anche fuori stagione, lontano dalle abitudini quotidiane, e anche per brevi periodi (ovviamente tecnologicamente attrezzata, ma ormai stiamo andando verso un wireless generalizzato). Il distacco fisico e lo spazio adatto non sono componenti secondari per l’otium. Si tratta di entrare in una logica di 'pendolarismo attivo', sia in termini, metaforici, di attività (avanti e indietro tra lavoro e tempo libero, tra 'serietà' e 'divertimento', tra fare e pensare), sia in termini, reali, logistici (avanti e indietro da luoghi diversi; ma non solo il tradizionale spostamento casa-lavoro e viceversa; potrebbe appunto essere casa-casa, o anche lavoro-lavoro, se si riescono a moltiplicare, come sarebbe auspicabile, anche i luoghi di lavoro).

    4. Condizioni professionali

Quanto conta ai fini dell’otium la professione o l’attività lavorativa in cui si è coinvolti? Parrebbe relativamente poco nel caso dell’otium breve; si tratta ovviamente di negoziare le condizioni col proprio datore di lavoro o di preavvertire per tempo i propri clienti o interlocutori istituzionali (organizzandosi per non perdere i contatti); ma faccio fatica a pensare un qualche lavoro che non sopporti uno stacco di qualche mese (se non di un anno). A maggior ragione, quanto più il lavoro appartiene al mondo manageriale o della libera professione, tanto più dovrebbe diventare quasi una prassi personale programmarsi ogni tanto un periodo di otium, proprio per le ragioni dette sopra (ricarica motivazionale, allargamento di visione, incremento di capacità innovative e gestionali). Diverso sembra il discorso se si riferisce all’otium diuturnum; qui, in effetti, le possibilità si restringono a chi già oggi vive una condizione lavorativa sufficientemente autonoma e autocostruita/costruibile; tuttavia, poiché si parla tanto (e spesso a vanvera) di imprenditorialità diffusa e di atteggiamento imprenditoriale (anche per chi lavora in condizioni di dipendenza), potrebbe diventare sensato far diventare  progetto realizzabile anche un otium diuturnum, ritornando più padroni del proprio tempo e delle proprie capacità, e facendo diventare finalmente reale la già citata frase “investire su se stessi” (sottotitolo, en passant, di questa stessa pubblicazione). Costruire il lavoro come un puzzle di lavori e attività diverse, tenendo sempre saldo il bandolo della matassa.

    5. Condizioni economiche

Si è tenuto a bella posta per ultimo il discorso sugli aspetti economici, come possibili influenzatori di scelte d’otium. E non perché non contino; ma perché spesso ad essi si attribuisce un’importanza superiore al reale, tanto da farle diventare alibi per chiudersi nel cerchio dello scontato ripetersi della routine. E’ chiaro che ogni scelta di otium breve deve poter contare sulla possibilità di sostentamento e di “agio”, anche in assenza di introiti economici; ma anche qui si fa fatica a credere che non si abbia da parte quel che basta per andare avanti qualche mese senza stipendio (magari decidendo di rendere meno ricche le banche che ci illudono di fare il nostro interesse, e di rendere più ricchi noi stessi con i soldi loro sottratti). E’ pur vero che in periodo di otium potrebbero addirittura aumentare le spese, essendosi azzerate le entrate (proprio perché si può dedicare tempo, ma anche soldi, a quanto ci interessa di più, o a studi e approfondimenti comunque costosi); ma si ritorna alla condizione numero uno (la motivazione e il desiderio) e alla capacità di rendere economiche anche attività in partenza ritenute 'hobby'. Quanto all’otium diuturnum, è solo un modo diverso (più rischioso, meno garantito, ma anche più sfidante) di guadagnarsi da vivere, nel frattempo vivendo davvero. Se poi si possiede qualche bene faticosamente accumulato, è il momento di sfruttarne tutte le potenzialità (come, esempio tipico, il possesso di una seconda casa, di villeggiatura o di investimento che sia)

Le due situazioni di otium, con le condizioni indicate, possono dunque diventare,  non un’alternativa secca all’organizzazione attuale e tradizionale della vita lavorativa, ma un arricchimento di quella stessa organizzazione, che coinvolge però tutta la persona (e non solo il “sé lavorativo”) e spesso anche i famigliari e gli amici più stretti. Una piccola rivoluzione “soft”, che, per ritornare a Cicerone, permette di in otio de negotiis cogitare et in solitudine secum loqui, di modo che duae res, quae languorem adferunt ceteris, illum  acuebant, otium et solitudo (l’ozio e la solitudine, le due cose che  agli altri portano fiacchezza, ritempravano il suo spirito).


1 - Articolo pubblicato su Persone & Conoscenze nell' agosto 2006

2 - M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004.

3 - G. Biancardi, M.Reggiani, Il dilettante inarrivabile, Guerini e Associati, 2004.

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