BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 29/07/2002

AZIENDE, RISORSE UMANE E MERCATI: NUOVE RIFLESSIONI DAL "FRONTE" DEL MANAGEMENT POSTMODERNO

di Gian Luca Rivalta

Nel contesto culturale del "management postmoderno" [1] credo che l'avvio del discorso sul cosiddetto Human Resources Management (HRM) richieda necessariamente "qualche parola di commiato", espressione che prendo a prestito dall'amico umorista Dino Aloi di Torino, con le quali intitolava l'editoriale del primo (e ultimo) numero della rivista Sbadiglio. Umorismo contro la noia quotidiana.  E queste parole, qui, danno forma ad alcune domande fondamentali.

Le aziende sono luoghi di esperienza umana?  Costituiscono, esse, sistemi di situazioni spaziali e temporali entro cui gli esseri umani sperimentano particolari tipi di fenomeni sociali?  Le aziende sono spazi d'azione umana e, quindi, contesti entro cui gli esseri umani svolgono attività lavorativa e di socializzazione, elaborando particolari stati mentali?  Si tratta, in sostanza, di luoghi di realizzazione e soffocamento del potenziale umano, luoghi di gioia e di sofferenza per le persone che ci vivono?

Vediamola da un altro punto di vista.  Le aziende possono esistere, oppure, hanno motivo di esistere, al di fuori di un intervento umano?  L'azienda richiede necessariamente la presenza della "carne" umana, implica indissolubilmente il consumo e, d'altra parte, in qualche modo, la produzione delle sue "risorse umane"?  E quali sono queste risorse umane?  I lavoratori?  I dirigenti e quadri?  Gli imprenditori?  I clienti e i fornitori?  E, d'altra parte, tornando alle domande precedenti, l'azione sociale umana implica necessariamente l'azione aziendale?

Sappiamo tutti bene, molto spesso per esperienza diretta, che le aziende, oggetti qui non ancora ben definiti, ma intuitivamente a noi noti, sono in grado di compensare anche molto positivamente l'inevitabile turn over delle loro risorse umane (chiamiamole ancora così, per il momento).  La stessa cosa accade anche di fronte alla "fuoriuscita" di importanti manager, se non addirittura e in modo sorprendente nel caso della "scomparsa" dell'imprenditore (nel caso delle aziende di produzione, le cosiddette "imprese").

D'altra parte, meccanismi dal nome elegante come per esempio il cosiddetto "outplacement" sono stati creati non certo per alleviare la sofferenza del "distacco", dell'allontanamento, da parte delle aziende: normalmente, la fuoriuscita dall'azienda di un certo personale, fuoriuscita non decisa primariamente da quest'ultimo, crea problemi più che altro alle persone, che si ritrovano magari di punto in bianco nel bel mezzo della strada (strada che purtroppo solo raramente sanno riconoscere come la loro potenziale strada del successo, con gran dolore, magari, della loro famiglia e dei loro bambini).

Meccanismi da un certo punto di vista meno nobili e più drastici sono invece quelli di cui fa parte, per esempio, il tanto discusso "mobbing": le persone "aziendalmente" scomode vengono invitate indirettamente, ma in modo altamente esplicito, ad allontanarsi da quella organizzazione.  Ma sono davvero le aziende a ricorrere a tali meccanismi?  Perché non dovremmo chiedercelo, rispetto al fatto che, comunque, chi decide di utilizzarli è pur sempre un essere umano che agisce per mezzo o per conto dell'azienda di cui fa parte, azienda che "ha" il problema di quelle risorse umane da eliminare?

Sappiamo pure, del resto, che le aziende a volte vengono vendute.  E che dire, in questo ultimo caso, della sorte delle Risorse Umane aziendali?  Uno è pur sempre libero di non condividere la cessione a terzi dell'organizzazione entro cui si sente da sempre inserito a lavorare.  Essere liberi però non sempre coincide con la consapevolezza di questo status: succede che, in qualche modo, alcune risorse umane, la maggior parte, vengono cedute con l'intera azienda "chiavi in mano", ad integrazione del complessivo patrimonio contabilizzato di quell'organizzazione, per cui l'acquirente paga un prezzo, comprensivo dei costi del quasi sempre inevitabile piano di ristrutturazione e tagli successivo all'acquisizione.

La condizione delle risorse umane d'azienda è di così difficile indagine che, molto spesso, la riflessione su tale argomento, se non tendente alla iper-complicazione in ambito dottrinario e accademico (così lontano dalla "termodinamica" aziendale, dalla "carnalità" quotidiana del lavoro, che facilmente arriva a rasentare la fantascienza), diviene presto pura espressione di due atteggiamenti molto diffusi tra le risorse umane stesse e che così battezziamo:

A volte, vivendo a contatto con colleghi, clienti, fornitori e concorrenti è facile scoprire come si siano nel tempo ristretti fino all'inverosimile i margini di azione per un sano atteggiamento misto di pessimismo ottimistico (vero motore della creatività evolutiva e generativa a lungo termine) e di ottimismo pessimistico (vero motore della dinamica dell'equilibrio e della cura dei particolari nel breve termine).  Pessimismo e ottimismo divengono, così, risorse attitudinali e comportamentali sempre più rare da rinvenire nelle Risorse Umane e al contempo sempre più indispensabili per le aziende che quelle risorse umane concernono.

Chi si ricorda della bella poesia citata da Peters e Waterman nel loro classico In search of excellence? [2]   Oggi, ancor più che allora (era il 1981 o giù di lì) e almeno nel mondo industrializzato, siamo tutti permeati nel profondo di istanze e (pseudo)valori propri della "postmodernità", vivendo di fatto in un contesto estremamente tecnologicizzato e versando volenti o nolenti in una condizione che è "post-": post-industriale, post-capitalistica e, di nuovo, in sostanza, postmoderna.  Ma oggi, e un'altra volta forse ancor più di allora, molti di noi possono scoprire in quella poesia il modello descrittivo del loro stato di vita aziendale: un po' come dire "fuori leoni, dentro co...".  E così sorgono quei particolari stati, per così dire, dissociativi della personalità che molti di noi, risorse umane di qualche azienda, possono sperimentare, con i sintomi psicosomatici più disparati, sulla propria pelle.

Molta disciplina del management è andata verso la ri-valutazione del fattore umano in azienda, con l'evidente obiettivo di porlo al servizio della missione aziendale.  Non molto, però, degli approcci manageriali della tradizione aziendalistica razionale mi sembra più adeguato alla condizione socio-economica postmoderna, anche di quelli che vengono molto spesso promossi, non si sa bene per quali meriti effettivi, al rango di "rivoluzioni culturali", di "cambiamenti di paradigma" dell'agire aziendale e imprenditoriale.  Questa è la sintesi che mi sembra emergere dai miei ultimi 19 anni di lavoro in diverse realtà organizzative, di ricerca nel contesto delle metodologie di management e dalle esperienze di vita aziendale che posso conoscere indirettamente.

Che si parli di learning organization, di company wide quality control, di empowerment e responsabilizzazione, di leadership diffusa, di appiattimento della gerarchia, di adhocrazia, di project management e workgroup, di just in time, di supply chain management, di kaizen, di BPR o ERP e così via, non riesco più a individuare in nessuno dei citati approcci, nei loro metodi, nei loro modelli e nelle loro filosofie (se ci sono realmente) elementi compatibili con tutti i più elementari criteri fondanti e definenti l'orizzonte socio-culturale postmoderno.  E questo grave fatto lo devo ammettere con il senso pratico delle cose che servono realmente in azienda (come ho potuto apprendere da alcuni bravi manager e imprenditori), pur dopo diversi anni passati a promuovere con convinzione quasi dogmatica e a sviluppare entusiasticamente approcci di quel tipo.

Ma non credo si possa, peraltro, escludere a priori che, in buona parte, questa non idoneità del metodo dipenda anche dal fatto che chi quel metodo lo deve mettere in azione all'interno del reticolo organizzativo aziendale è pur sempre un essere umano o, forse, un gruppo di esseri umani.

Insomma, mi sembra, abbiamo uno scenario che a mio avviso potremmo così descrivere sinteticamente:

  1. ci sono entità che chiamiamo aziende e che, per la scuola italiana dell'Economia aziendale, consistono nel sotto-sistema di accadimenti economici interni ad entità maggiori chiamate "istituti" (gruppi di persone che perseguono obiettivi e interessi comuni).  L'Economia aziendale distingue tre tipi fondamentali di istituti: le imprese di produzione, le famiglie e le pubbliche amministrazioni
  2. ci sono entità che chiamiamo persone, gli esseri umani, che fanno parte di gruppi (gli istituti) e che attraverso, o per conto di, questi gruppi forniscono risorse di varia natura (denaro corrente, capitale di risparmio, forza lavoro, ecc.) alle aziende
  3. le persone e i gruppi di persone ricevono, a loro volta, dalle aziende beni di diverso tipo (denaro, prodotti e servizi, risorse psicologiche, ecc.)
  4. le aziende operano all'interno di mercati che costituiscono sistemi dinamici di scambio di risorse, le quali, in forme diverse, consistono di molteplici aggregazioni di "elementi termodinamici": materia, energia, lavoro/attività e, se proprio vogliamo (ma avrei parecchie riserve in merito), informazioni
  5. le aziende svolgono delle attività e prendono delle decisioni e la espressione concreta di tali processi di realizza principalmente per mezzo dell'azione lavorativa umana, nell'ambito delle funzioni aziendali di base: imprenditorialità (business), amministrazione (management), lavoro (work)
  6. le aziende possono acquisire le funzionalità di work, business e management anche all'interno dei loro mercati di riferimento rivolgendosi, quindi, ad altre aziende considerate come fornitori di servizi (è questo un caso particolare del precedente punto 4.).

Dove stanno, in tutto ciò, le cosiddette Risorse Umane aziendali?  Dentro alle aziende?  Nel mercato del lavoro?  Nei gruppi umani detti anche istituti?   Sono (o sono riconducibili a) "semplici" aggregati di materia/energia/lavoro?  Per estensione potremmo a questo punto chiederci anche: le Risorse Umane esistono?

Ho iniziato questo articolo con alcuni quesiti e allo stesso modo lo sto concludendo.   E' proprio a partire anche da quest'ultimo dubbio (le Risorse Umane esistono?) che anni or sono ho iniziato a indagare sull'esistenza del paradosso fondamentale della vita aziendale: l'eccellenza aziendale dipende dal contemporaneo trionfo del fattore umano e del controllo di gestione.  Ma di questo potremo parlare in altri articoli.

Nessun pericolo, comunque, per tutti i professionisti che operano nel campo delle Risorse Umane, anzi!
”Le Risorse Umane sono morte?  W le Risorse Umane!”



[1] Management postmoderno?  La sua prima esplicita presenza europea sul Web si è trasferita su www.wobuma.net, con il primo libro fantaziendifico: Excelandia. La nausea aziendale.

[2] Sono questi uomini e queste donne
i Lavoratori del mondo?
o è un giardino d'infanzia di bambini cresciuti
troppo in fretta: i maschi schiamazzanti e maneschi
le femminucce col risolino sciocco?
Che succede al momento dell'entrata,
lì al cancello della fabbrica?  Sono
le guardie, il mostrare il tesserino... l'odore?
c'è un occhio invisibile
che ti trapassa e ti trasforma
fin nel profondo?  Un'aura
o un etere che ti lava il cervello, l'anima,
e ti impone: “Per otto ore
sarai diverso”.
Cos'è che in un istante
fa di un uomo un fanciullo?
Attimi prima era un padre, un marito,
proprietario di cose a lui intestate,
elettore, amante, adulto.
Se parlava, c'era almeno qualcuno ad ascoltarlo.
I venditori gli facevano la corte,
l'assicuratore si appellava
alla sua responsabilità per la famiglia
e magari della sua chiesa era pilastro...

Ma questo era prima che sfilasse
davanti alla guardia nel casotto,
che salisse i gradini,
appendesse la giacca e
pigliasse il suo posto alla catena.

[T. Peters e R. Waterman Jr, citando un loro amico della General Motors. Vedi: In Search of
Excellence
, 1982,
trad. it.  Alla ricerca dell'eccellenza, Sperling & Kupfer, 1993]

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