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Pubblicato in data: 27/01/2003

L'ECONOMIA DEL DONO E L'IPOTESI DEL MANAGEMENT POSTMODERNO: DIVAGAZIONI, DUBBI, SPERANZE

di Gian Luca Rivalta

Francesco Varanini, in L'Economia del dono, afferma: “La politica della determinazione dei prezzi è influenzata dal dono: si pensi alle politiche di sconto. Lo sconto non è solo un parziale corrispettivo di economie di tempo e di spazio. È funzionale a un rapporto di fiducia, creato o da creare. Lo sconto è un caso particolare del dono. (E si pensi ad omaggi, concorsi a premi, campioni gratuiti, ecc.).

Dove il prezzo non riesce a fare la differenza, la differenza è fatta dall’aggiunta di dono. A parità di prezzo e di prestazioni del prodotto o servizio ceduto, prevale chi aggiunge dono”.

Nel sistema manageriale denominato NS & BAM/P (Nice Satisfactory and Business Areté Management / Program, abbreviabile in seguito anche con "nbp") questa distinzione viene formulata attraverso il concetto di VSN (Value & Service Network) che pretende di generalizzare, da un punto di vista postmoderno, l'idea di "mercato".

Il termine "servizio" qui non viene utilizzato come nella normale accezione: qualcosa che equivale ai prodotti, ma che è di natura prevalentemente "soft" (una merce, quindi, che costituisce di fatto l'oggetto di una transazione di mercato, qualcosa che viene venduta e acquistata dietro corrispettivo in denaro).  Per "Servizio", noi intendiamo invece qualcosa che si aggiunge “a gratis” alla merce (prodotto/servizio) oggetto della transazione di scambio (basato sul prezzo).  Quest'ultima, la merce, viene da noi indicata con il termine "Valore", poiché costituisce un quantum di arricchimento nel "patrimonio di disponibilità" proprio di chi effettua l'acquisto.  Il concetto di "valore", in questo senso, d'altra parte dovrà essere precisato specialmente in merito alla necessaria consensualità espressa dallo specifico mercato (VSN) di riferimento.

"Value" = Valore
"Service" = Servizio
"&" = la fredda e meccanicistica considerazione economica potrebbe azzerare il valore di questo “operatore boolenao” nel senso che ridurrebbe lo scambio al mero “Valore”; la fin troppo calda concezione filantropica potrebbe farlo, invece, nel senso che ridurrebbe il tutto all’idea di “dono”.  La concezione postmanageriale del NS & BAM/P, basata sulla dimensione aziendale della sincronicità, vuole, d’altra parte, che in ogni istante il pensiero strategico dell’attore economico-aziendale sia concentrato verso il perseguimento del giusto equilibro tra i due oggetti
"Network" = qualcosa di molto più interconnesso, reticolare, complesso di un “semplice” mercato.

Credo proprio che il concetto nbp di "Servizio" possa equivalere all'idea di "Dono" che Varanini ci porta nel testo citato.

D’altronde, osserva giustamente Varanini, “Chiusi nel vecchio schema di Economics che si fondano sull’esistenza di un prezzo, e sulla ricerca di un ‘margine’di guadagno, si dice: se si dona, dove sta il ritorno?”. L’idea di dono e di economia del dono, almeno ancora per oggi, ci obbliga perlomeno a chiederci “Perché aggiungere un dono al prodotto che vendo/acquisto?”: quale ne è la motivazione?

Inevitabilmente, affinché non si tratti di semplice (anzi, banale) tattica commerciale, il Servizio/Dono deve essere sincero, pena la perdita del significato stesso del termine.  Come faccio, in quanto abitante dell’attuale mondo economico, a sincerarmi delle intenzioni?  Qui è necessario entrare repentinamente nel discorso dell'etica negli affari e del tema della fiducia: si parla di un “rapporto di fiducia, creato o da creare”, dice Varanini.

Ma entriamo in questo discorso repentinamente proprio così come ne usciamo, anche perché bisognerebbe essere maggiormente titolati per approfondirne l’esame dell’enorme complessità che lo caratterizza.  Infatti, almeno dal lato puramente operativo e descrittivo della fenomenologia aziendale, il management postmoderno non ha bisogno di questa ipotesi.

La "fiducia" in termini di risorsa economica, nel contesto postmanageriale, viene d’altra parte intuitivamente descritta in una pagina, almeno, del Diario di Cube (Excelandia: la nausea aziendale), della quale trascriviamo qui alcuni frammenti: “Purtroppo, […] chi fa il falso in bilancio… chi frega gli azionisti, i piccoli risparmiatori… i dipendenti, i dirigenti… gli imprenditori, i clienti, i fornitori… la società umana di contorno […], non sono le aziende a fare tutto questo.  Chi fa il falso in bilancio… chi decide queste cose… sono le persone…  sono esse che hanno degli obiettivi da perseguirsi attraverso il ricorso alle aziende.  Le aziende, l’unica cosa che desiderano (l’unico loro fine) è continuare a vivere in quanto sé stesse!… E forse neanche se ne rendono conto…
Chi inquina sbattendosene, invece, più che consapevolmente… deliberatamente, ma anche, a volte, ingenuamente… chi spreca, chi brucia capitale, chi disillude i dipendenti, i capi, gli altri… ma anche chi acquisisce quote aziendali solo per speculare finanziariamente… chi fa giochi strani in azienda, magari anche come dipendente… sempre loro: le persone, gli umani!   In queste cose le aziende c’entrano assai poco, anch’esse sono poi,… nel medio-lungo temine, fregate,… anch’esse […]
Né l’etica é cosa per le aziende,… non è una cosa tecnica ed economica… l’etica è per gli umani… almeno, spero che lo possa essere ancora… Ma l’atteggiamento etico delle Risorse Umane può considerarsi a sua volta una risorsa economica […]
…E’ così ovvio che…
Caro Diario… ti vedo perplesso… di nuovo, siamo alle solite: questo,… ciò che ti ho scritto… niente a che vedere con un pericolosissimo certo lassismo… un lasciar correre, anzi… giustificare entro un quadro teorico riformatore le malefatte di alcuni, molti… troppi, direi… Sai, vorrei dedicarti un’altra sublime lezione che Wobuma mi ha impartito un giorno su questo tema, proprio mentre mi accingevo a “insegnare” al povero Papalagi cose come la valenza aziendale dell’etica negli affari e della tutela degli stakeholder… la strategia della fiducia… la responsabilità sociale,   il loro valore strategico per il successo aziendale… altre belle, sonorissime, “pippe” inventate,… cioè, distorte, da noi eccellenti abitanti aziendali della Excelandia…
Nell’azienda vivente,… quella che mi ha fatto conoscere Wobuma… come in un organismo umano, animale… lì non c’è alcun bisogno di sviluppare la propensione alla fiducia, magari attraverso l’impegno etico verso le altre aziende, i clienti, chi lavora, gli azionisti, l’ambiente,… lì, ogni organo che compone l’organismo in vita, funzionante,… ogni organo non ha bisogno di tante propensioni indotte per fidarsi degli altri (organi): la fiducia c’è di fondo ed è condizione necessaria per il corretto funzionamento della cosa… anzi, nessuno ne parla, tutti ne dimostrano coi fatti cosa vuol dire… davvero difficile immaginare un fegato che non si fida del cuore e delle dita delle mani… ogni pezzettino più piccolo dell’organismo è collegato ad ogni altro, più o meno direttamente, attraverso opportuni agenti mediatori…   Lì,… e chi se ne frega della propensione alla fiducia?!?… lì tutto deve funzionare correttamente, altrimenti… ciccia!  E’, caro Diario, anche questo un esempio di vera leadership postmanageriale,… frattale, ologrammatica, ipertestuale…automatica e capillare… Comunque, Caro Diario, ricorda sempre la “Legge della giungla n. 3: se ha l'aspetto di una tigre e ruggisce come una tigre, allora scappa!” [1] ”.

Una fiducia “automatica”, intrinseca, che peraltro sembra indispensabile non solo nei cosiddetti “mercati di sbocco” o verso le Risorse Umane, come descritto in un’altra pagina del Diario, ove, parlando di leadership aziendale, si cita Sun Tzu: “”Conduci gli uomini in una situazione senza vie d’uscita, e si considereranno morti.  Considerandosi morti, che cosa non saranno capaci di fare?  Nel pieno del pericolo, i guerrieri non hanno paura e ricorrono a tutto il proprio valore.   Se non c’è dove fuggire, staranno fermi; se sono impegnati fino all’ultimo, si batteranno fino all’ultimo; se non hanno alternative, lotteranno.  [...] Ridotti alla disperazione, si batteranno fino alla morte.  [...] In situazioni del genere gli uomini sono all’erta: non occorre sollecitarli; in posizione: non occorre schierarli; solidali: non occorrono patti; fidati: non occorrono ordini.  [...] Esposti a un pericolo mortale, tutti, dai gradi più alti ai più bassi, hanno lo stesso obiettivo.   [...] Una situazione disperata li spinge [...] a operare per la difesa comune” […]
Sono forse andato fuori discorso?  Come al solito?!?… può darsi, ma, sinceramente…
“Ma cosa sta dicendo quel pazzo?!?… Cosa c’entra la leadership, la capacità motivazionale ad agire per il vantaggio aziendale,… cosa c’entra con i fornitori e i concorrenti?  E poi, con i clienti le cose stanno in modo diverso che con i dipendenti… Si tratta di una tipologia diversa”… Ma allora mi viene da chiedere, in risposta,… “Cosa c’entra con i dipendenti?!?”… già, caro Diario,… e cosa c’entrano, a questo punto, in tutto il nostro discorso, i mercati, il marketing, l’ecologia… la motivazione?
COSA C’ENTRANO LE AZIENDE, ALLORA?!?”

Tiriamo di nuovo in ballo il testo di Varanini, in un punto davvero critico e illuminante: “Lo scambio non nasce, come oggi siamo forse portati a supporre, con la transazione monetaria (di cui l’e–commerce non è che l’ultima, banale incarnazione). Di questo, meglio di quanto fanno modernissimi guru e consulenti, ci parla un vecchio antropologo. Marcel Mauss nel Saggio sul dono (1925) si interroga a proposito della fonte della coesione sociale nelle ‘società arcaiche’, quelle società che talvolta –giudicandole inferiori– chiamiamo ‘primitive’. Ci parla proprio di questo –ancestrale, fondante– comportamento. Donando, stimolo nell’altro un comportamento fondato sulla reciprocità. L’altro non è obbligato a contraccambiare da nessuna legge, o da nessun obbligo contrattuale. Ma il ‘contratto sociale’ è più forte della legge e di ogni altra forma di obbligazione. Se qualcuno mi offre un dono, in qualche modo dovrò ricambiare.
Potremmo dire che questa stessa circolarità –il dono, e l’obbligo di ricambiare– è la vera legge in base alla quale funziona il Word Wide Web. Con il Web, così come nei sistemi economici studiati da Mauss –citiamo le sue parole– le persone ‘sono costantemente connesse reciprocamente e sentono di doversi tutto’”.

Internet e, soprattutto la nostra percezione della Rete, stano molto cambiando negli ultimi anni, ma non solo a rettificare con i fatti talune pretese deviazioni (peraltro spudoratamente strumentali, alcune, ai fini degli affari) buttate lì dalla “bolla” a cavallo dei due millenni.  Molte conferme arrivano invece alle ipotesi più filosofiche e organizzative che vedevano lo sviluppo della Rete come l’avvento del “Sesto potere” [2] , uno strumento e un’opportunità reale di costruzione del “villaggio globale” (nel senso della vita di comunità).

Un ritorno postmoderno (aziendalmente compatibile) al vero senso dell’economia e dell’ecologia… non dovrebbe neanche trattarsi di un’impresa così difficile.   Un altro articolo di Varanini (L'euro come talismano e il doppio senso del dono) dice: “Si pensi, in generale, a tutti gli scambi  che si fondano sull’idea di dono e di baratto. Le ‘persone comuni’ sanno benissimo donare e barattare. E sempre si torna al dono e al baratto come reale risposta alle crisi (come oggi in Argentina). Dono e baratto portano con sé l’idea di reciprocità, che è il fondamento di ciò che possiamo chiamare ‘valore relativo dei beni’”.

Sempre in Excelandia: la nausea aziendale (una pagina intitolata Del perché la vita aziendale è importante per gli esseri umani e sulla pervasività dei fenomeni economici e delle risorse in genere…), Cube afferma: “Diciamo che il costo potrebbe misurare, a tutto tondo, il livello di "sofferenza umana" legato all'oggetto a cui si riferisce... mentre il prezzo... credo sia più collegato al livello di "soddisfazione umana" che deriva dal possesso o dalla possibilità di accedere, fruire, di quell'oggetto... o, più precisamente, forse, della sua "funzione d'uso"”. 

Questo è lo spirito del management postmoderno (almeno nell’ambito NS & BAM/P): rivalutare l’economia del dono (propensione al back to basics), facendo ricorso alla giusta e necessaria tecnologia tecnico-economica (parafrasando M. Zeleny, [3] una “tecnologia superiore”, aziende ecc., e la relativa “rete di sostegno”), utilizzando le più adeguate tecnologie di supporto (propensione allo sviluppo tecnico-scientifico) in primis Internet e cose del genere.  Lo scopo?  Soddisfare le esigenze umane, comprese quelle delle generazioni future.

Il denaro non è tutto, ma è ancora una importante risorsa economica (ricca tra l’altro di molti “servizi” e comodità, come fossero dei “doni” intrinseci: estremamente “liquido”, trasportabile con facilità, intercambiabile, ecc.).   Resta però l'evidenza che ancorarsi all’idea di scambio monetario basato sul prezzo (in denaro), nella “società post-capitalistica”, come la chiama Peter F. Drucker, diventerà man mano sempre più fuorviante e dannoso.

Varanini chiude con: “Misurare il valore attraverso il denaro è facile. Anche per questo la convenzione è dura a morire. Dovremmo però abituarci all’idea di cambiare convenzione”.  In un altro contributo (Red Global De Trueque. Dinero, Crédito Y Sociedad), Varanini parla di una interessante implementazione sociale di una economia realmente basata sul baratto, portando utili esempi applicativi.

Il management postmoderno cerca di portare, da parte sua, un piccolo suggerimento tecnico per la futuribile migrazione dei paradigmi economico-aziendali, dato che pone alla base del funzionamento aziendale (imprenditoriale, manageriale e lavorativo) una concezione allargata del project management e del quality function deployment (oltre che l’idea del Combinatory Marketing), basata su presupposti costruttivisti entro cui il “valore & servizio” di una qualsiasi transazione economica implica il ragionamento, o meglio il dialogo consensuale (magari "intuitivo") sulla percezione della stessa.  Nella sua ricerca di ridurre le complicazioni ed elevare le complessità, l’nbp ha ridimensionato, per esempio, il famoso modello delle “5P” di Berry e colleghi (qualità progettata, prevista, percepita,…), definendo un nuovo modello delle “2P” o… della “P” (percezione).

Certo, è evidente, così facendo tutto diviene più complesso, ma quante complicazioni inutili potremmo evitare in futuro?  Forse è veramente ora di finirla con le divagazioni, i dubbile speranze!



[1] In questo passo Cube cita l'orso Baloo rivolto al piccolo umano Mowgli, in Cuccioli della giungla: nati per essere liberi, Disney.

[2] Ennio Martignago, Vittorio Pasteris, Salvatore Romagnolo, Sesto potere. Guida per giornalisti, comunicatori aziendali, formatori nell’era di Internet, Apogeo, 1997.

[3] Milan Zeleny, La gestione a tecnologia superiore e la gestione della tecnologia superiore, in Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, La sfida della complessità, Feltrinelli, 1994 (viii).

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