BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/02/2003

E-SELFGOVERNMENT

di Stefano Rosato

Vorrei tornare su alcuni concetti fondamentali per l'epoca che stiamo vivendo, sui quali si è più volte soffermato Francesco Varanini, anche recentemente su Bloom! (E-GOVERNMENT, FORMA-STATO E 'DEMOCRAZIA ELETTRONICA', 30 dicembre 2002). Francesco Varanini sostiene che le scelte infrastrutturali, di software e di approccio tecnologico alle problematiche delle comunità non sono neutrali, ma espressioni di differenti mentalità e di diversi interessi politicamente determinati. Seguendo la lezione di Michel Foucault, potremmo dire che la relazione fra potere e sapere (per sapere dev'essere qui inteso tutto l'insieme delle pratiche e delle forme gnoseologiche e tecnologiche che articolano la conoscenza teorica e le sue applicazioni concrete, in altre parole sia le strategie che le tattiche conoscitive, ovvero la filosofia e la scienza politica) è strettamente biunivoca, nel senso che ogni specifico potere esprime un certo e preciso sapere, e viceversa. Quindi il sapere, nel senso lato sopra esposto, non può essere mai neutrale, ma si presenta sempre come ideologicamente, e quindi politicamente, orientato.

I grandi aggregati tecnologici fisicamente allocati nel vecchio centro elaborazione dati, nella forma del main-frame, cioè della cornice, del riquadro principale, hanno a che fare, come nota Francesco Varanini, con il concetto di stato moderno, del quale altro non sono che una delle tante espressioni. Ne portano infatti, in nuce, tutta l’orrida essenza: il riquadro, la cornice, come bordo che separa l’interno dall’esterno, consente la definizione del Sé per contrasto nei confronti dell’Altro; il main, il principale, che definisce le gerarchie del potere e dell’essere, fornisce a questo Sé la sua forma intrinseca, ordinando lo spazio intorno a un centro carico di simboli (e di orpelli), organizzato in modo tale da essere il luogo privilegiato di rappresentazione del potere e di emanazione del sapere. Come lo Stato, il main-frame emerge così come un che di assolutamente autoreferenziale, un centro che definisce quello stesso esterno che lo definisce. In questo circolo vizioso consiste la sua essenza.

L’esterno, l’Altro, e, dunque, svelando la metafora, la rete come connessione di estraneità, sono, nella logica del main-frame, delle mere negatività, delle lateralità accessorie che non occupano alcun centro, non possiedono alcuna localizzazione visibile, e sfuggono, quindi, a qualsiasi geo-grafia. La loro assenza radicale di fisicità è, per il centro, un elemento caratterizzante e pericoloso. Come, normalmente, per il potere Stato-centrico è la virtualità: esso, infatti, ha bisogno di procedure di definizione dell’identità molto precise e complesse, che garantiscano la riconoscibilità immediata di tutti i soggetti da parte dell'autorità. Per esempio: è evidente che la new immigration dei nuovi soggetti sociali, dei nuovi altri, nei paesi occidentali presenta molte delle caratteristiche proprie alla grande rete (cfr. Saskia Sassen), inclusi la perdita e il mescolamento dell’identità, che diviene, da individuale, sempre più collettiva nel senso di un’a-spazialità pervasiva, nella forma del rizoma, che è, ad un tempo, interna ed esterna, dell’individuo con sé stesso – che così diviene dividuo – e dell’individuo in relazione alle comunità con le quali intesse rapporti; per questo il potere compie sforzi titanici per assicurarsi la capacità di identificare chi non è identificabile per definizione, come i sans-papiers. L’esistenza, per lo Stato, è definita con modalità burocratiche; affidata alla carta (documenti, codici fiscali, carte di credito), deve sempre essere possibile richiamarla e dimostrarla e ad essa deve corrispondere una modalità fisica, concreta, diversa da quella dei sogni e dei pensieri.

Per rispondere alla medesima esigenza organizzativa e di disciplinamento/controllo dell’accesso e dell’identità, esistono, nel mondo del main-frame, la password e la user-id, che certificano l'esistenza legalizzata del soggetto che ad esso intende connettersi. Tale esistenza legalizzata si riferisce alla fisicità del soggetto riconosciuto: è proprio lui, in carne ed ossa, anche se si connette tramite un processo che contiene molti elementi di virtualità, la cui concretezza, peraltro, è denotata dal concetto di autorizzazione e da tutto ciò che esso implica. Così il soggetto esiste in quanto una specifica autorità lo definisce come esistente. In altre parole, il centro traduce nel suo linguaggio fisicamente determinato il virtuale, lo oggettiva, per così dire, lo de-potenzia, rendendolo puro atto. E’ il gesto del dio aristotelico, per il quale la potenza (Spinoza), il mondo del possibile (si veda il Guénon difficile degli Stati molteplici dell'essere), sono già realizzati, o meglio, poiché questa riduzione di possibilità avviene nell’ambito del business di una multinazionale, l'IBM, che opera con notevole insistenza al livello governativo, della relazione con singoli Stati, reificati. E' un'operazione di volgarizzazione, come tutte le traduzioni malfatte che perdono l’intima essenza dell’originale, che, invece, andrebbe ricreata in una lingua diversa.

Contro il centro, lo Stato, l’IBM, gli immensi apparati tecnologici di concentrazione del potere, la rete ci offre, invece, la possibilità di una nuova torre di Babele, nella quale gli standards operativi e concettuali non siano definiti dalle procedure burocratiche della nomenklatura, ma nascano, in una libera con-fusione, dall'azione di liberi soggetti che, fra loro, sono in costante (in quasi costante) connessione. Il filo che li collega, tuttavia, non prevede il riferimento a un unico centro, ma attraversa spazi e tempi assai diversi, molti centri e nessuno, contemporaneamente, molte periferie e nessuna. A sud di nessun nord, come diceva il grande libertario Charles Bukowski. La battaglia che dunque si apre è quella tra le nuove strutture della potenza diffusa e disorganizzata (anzi, dis-organica, priva di fisicità, refrattaria all’olistica felicità che deriva dai benefits concessi dai governatori del mondo amministrato, contraria per natura a qualunque armonia) e i tentativi di invaderle condotti dal vecchio Stato-nazione. In questo contesto dev’essere inserito e criticato il concetto di e-government, che traveste da servizio il proprio apparato di controllo e regolamentazione dell’esistente. Ciò che dev’essere comunque messo in discussione è il concetto di governo, in quanto, nel post-moderno generato dall’economia capitalistica, al suo livello più alto, esso non può che essere governance di processo e non istanza di controllo dotata di un portato disciplinante.

La scelta compiuta da multinazionali come IBM è del tutto contraria alla nuova impostazione imperiale del potere, in quanto fraziona all’infinito l’istante della trattativa con i singoli governi nazionali, recando su di sé le tracce di un passato ormai morto e sepolto, quello, di stampo addirittura ottocentesco, delle leghe e delle alleanze fra centri. Nella stessa logica si muovono, per esempio, Siebel e Sap; nella logica contraria la tanto denigrata Microsoft, la cui diffusione avviene per vie laterali ed eccentriche e la cui filosofia di base, al di là di quale possa essere l’intenzione del suo fondatore o l’interpretazione che ne restituisce l’ideologia di una certa sinistra invero codina, contiene molti elementi libertari (essenzialmente, al di là del fatto che il codice dei suoi prodotti sia ancora criptato, quelli tipici del mercato globale di massa, che è una delle più alte forme di libertà conosciute nel contesto umano).

I rischi impliciti nelle procedure di e-government dovrebbero semmai farci optare per una rapida e drasticissima riduzione del ruolo dello Stato nelle nostre società, condurci a forme sempre più diffuse e sofisticate di e-selfgovernment. Non deve tanto prevalere, come pensa Francesco Varanini, dal quale a quest’altezza il mio pensiero si differenzia fortemente, l’idea di uno Stato servitore, ma quella di una società fatta da individui che dello Stato non siano più servitori, che riescano in qualche modo a farne a meno quanto più possibile. Perché, per principio, è bene diffidare di chiunque si dichiari nostro servitore, tanto più se questo qualcuno possiede formidabili apparati di legiferazione e di controllo, la cui gestione è affidata a professionisti della cura del bene pubblico. Lasciamo che sia il pubblico a prendersi cura del proprio bene.

La sfera privata, quella dell’economia, dell’oiko-nomia intesa come corretta amministrazione della propria casa, è sacra molto più di quella pubblica, almeno per una filosofia della civiltà, in quanto lo Stato esiste esclusivamente per proteggerne l’indipendenza e l’autonomia. E intercorre una notevole differenza fra la forma di pressione pubblica sul privato che può essere condotta da singoli soggetti con modalità non violente (senza l’uso, legale o meno, della forza fisica) e quella gestita, invece, da quel policeman (Ayn Rand) che è e deve essere lo Stato. Se lo Stato è, infatti, un’istituzione repressiva per sua natura, è bene limitarne la sfera d’influenza ai momenti nei quali un’azione di tipo repressivo si mostra come assolutamente necessaria e non procrastinabile. In tutti gli altri casi, pretendere che questa istituzione sappia comportarsi educatamente, equivale a sperare che una tigre, fatta entrare affamata in un pollaio pieno di galline, spontaneamente si disponga a una salutare dieta dimagrante.

Ogni comunità, ogni società, così come ogni individuo, possiede l’inviolabile diritto alla discriminazione, che può esercitare se, come e quando meglio gli aggradi. Tale diritto, tuttavia, non può mai comportare l’uso della forza, che è esclusivo appannaggio dello Stato (ad eccezione di casi particolari previsti dalla sua legislazione, come la legittima difesa). Lasciare, invece, allo Stato il diritto alla discriminazione, che potremmo altrimenti definire come “governo”, in quanto implica la centralità del momento decisionale (che, appunto, de-cide, divide e quindi discrimina), significa accettare, in linea di principio, che l’arbitrarietà connaturata a qualunque atto discriminatorio sia appoggiata dal potere che deriva dal monopolio dell’uso della forza.

Questa forma di tirannide (diciamo infatti “Stato”, ma con ciò che cosa intendiamo di diverso da quell’élite che occupa, nel suo organigramma, tutte le posizioni di preminenza?) è il significato ultimo della parola “governo”, ed è del tutto assurdo pensare di rafforzarla integrandone l’insana tendenza al dominio con tecniche molto articolate come quelle informatiche, finendo così per giungere a una situazione nella quale, al contribuente, cioè a colui che mantiene lo Stato e il suo apparato repressivo, sfugge del tutto di mano il controllo sull’operato delle strutture pubbliche. A questo scenario indesiderato contrapponiamo l’idea di e-selfgovernment dell’era di Internet e delle comunità molteplici e diffuse che ne supportano lo sviluppo.

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