BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 29/01/2007
IL NEUROMARKETING
La morale nasce dalle sinapsi?

di Marco A. Rovatti

Un treno impazzito corre a folle velocità sui binari! Se non cambia direzione andrà sicuramente ad investire quelle cinque persone! Se nessuno farà niente quelle persone moriranno! Il solo modo per salvarle è azionare quella leva laggiù! Solo così il treno può essere deviato! Chi andrà ad azionare la leva morirà, ma avrà salvato la vita a quelle 5 persone…

Andresti ad azionare quella leva? Ti sacrificheresti?

Stessa situazione. Stesso treno impazzito. Stesse cinque persone in pericolo. Questa volta l’unica possibilità che hai è spingere giù dalla passerella il tuo vicino. Cadendo sui binari morirà, ma con il suo corpo arresterà la folle corsa del treno!

E questo lo faresti?

Fino a qualche decennio fa erano i filosofi morali a spiegare il perché di certi atteggiamenti di fronte a dilemmi etici. Erano le uniche figure professionali a stabilire quali prove fossero moralmente più difficili di altre. Da qualche anno non è più così. Grazie allo sviluppo sempre maggiore di tecniche non invasive di neuroimmagine, le neuroscienze hanno fatto enormi passi avanti. Articoli scientifici pubblicati su prestigiose riviste specializzate hanno più volte testimoniato come una semplice tecnica, quale la risonanza magnetica funzionale (fMRI), permetta di visualizzare i sentimenti. Nei loro studi i ricercatori, osservando l’attivazione di aree cerebrali in volontari sottoposti a diverse situazioni, hanno iniziato a capire che esistono delle basi neurali nelle scelte morali che prendiamo ogni giorno. Nella risoluzione dei due dilemmi sopra citati, i ricercatori avrebbero visto “accendersi” zone cerebrali completamente diverse. Sacrificare la propria vita per salvarne delle altre richiede pensieri provenienti da substrati emotivi ben diversi da quelli fomentati dalla possibilità di uccidere una persona. Anche se il nobile scopo finale è sempre il medesimo.

S come cultura
“Ognuno ragiona con la sua testa!”. E’ talmente vero che lo dicono anche gli scienziati. Il cervello è caratterizzato da milioni e milioni di connessioni sinaptiche che collegano i neuroni tra di loro. Grazie a questa fitta rete siamo in grado di memorizzare avvenimenti, imparare, provare emozioni. Le sinapsi del nostro cervello, però, non sono come le maglie fisse di una rete. Le connessioni sono estremamente plastiche: si sciolgono e si formano in continuazione rispondendo alle esperienze che viviamo. Addirittura è stato dimostrato che il modo stesso con cui si fanno le varie conoscenze determina il tipo di allacciamento sinaptico tra alcuni neuroni piuttosto che tra altri. Rita Levi Montalcini è stata premiata con un Nobel proprio per queste ricerche in brodo colturale di colonie di neuroni. Possiamo, quindi, dire che quello che siamo, i comportamenti che adottiamo, sono il frutto delle interconnessioni nervose che si creano nel nostro cervello. E visto che le sinapsi sono diverse da cervello a cervello, anche i comportamenti che ne risultano sono diversi da persona a persona. Ognuno di noi è unico. E questo si esplica nei diversi modi che ognuno di noi ha per fare la medesima cosa: ogni cervello allaccia sinapsi in modo peculiare. 

La Neurotica

Adina Roskies, neuropsicologa dell’University of California di San Diego, ha pubblicato un interessante saggio sulla rivista Neuron. Viene presentata in maniera critica la neuroscienza dell’etica, che per la prima volta viene definita neuroetica. Nel suo scritto la professoressa Roskies pone delle questioni di natura fondamentale su come il cervello prende delle decisioni e qual è il substrato neurale della rappresentazione dei valori. Ma come per ogni cosa che riguardi l’uomo, o più in generale la vita, non è possibile separare i progressi delle conoscenze scientifiche, dalle implicazioni etiche che ne conseguono. Riconoscere fondamento al dictat della scienza sull’unicità degli atteggiamenti che ognuno di noi possiede, vuol dire accettare il fatto che siano proprio le esperienze a formare il nostro modo di reagire ai vari avvenimenti. Questo, però, ci obbliga a profonde riflessioni su temi spinosi come il libero arbitrio e la responsabilità davanti alla legge.

Facciamo un esempio.
È dimostrato scientificamente che un uso prolungato di sostanze tossiche induce dei cambiamenti significativi a livello delle funzioni cerebrali. Queste alterazioni durano nel tempo anche dopo che l’individuo ha cessato il consumo di droghe. È noto anche che questi cambiamenti cerebrali possono avere numerosi ripercussioni sul comportamento del soggetto, tra cui un bisogno compulsivo di droga. Il cambiamento del comportamento (altrimenti detto dipendenza) non svanisce nemmeno sotto la gravità dei pesanti effetti collaterali. In questo caso è giusto ritenere l’individuo legalmente responsabile della sua dipendenza alle droghe?

Come reagiremmo se improvvisamente dovessimo scoprire che le nostre scelte, sia che siamo tossicomani o no, avvengono sotto la costrizione di sostanze chimiche sintetizzate dal nostro cervello, o semplicemente, da come le connessioni cerebrali si sono formate in base alle nostre precedenti esperienze? Questa è la domanda fondamentale che alimenta la neonascente neuroetica.

Una nuova frontiera: il neuromarketing.
La risonanza magnetica funzionale permette di visualizzare in modo semplice, immediato e non invasivo, le risposte del cervello a determinati stimoli. Con una brillante scala di colori si identificano le zone cerebrali che si accendono quando veniamo posti di fronte a delle scelte. Perché non utilizzare la fMRI per rilevare le reazioni del nostro subconscio allo stimolo della pubblicità?

Una società americana è stata costituita nel 2002 da un gruppo di esperti di neuroscienze e di marketing proprio con questo obiettivo: questa strana joint venture vuole scannerizzare il cervello umano per sviluppare messaggi pubblicitari più efficaci. Il fine meschino di questa ricerca è quello di influenzare i comportamenti dei consumatori aumentando le vendite delle aziende che stanno sponsorizzando il lavoro.

Si sta quindi creando un ponte tra business e scienza, un nuovo filone nel mondo del marketing. Non ci saranno più ricerche di mercato tradizionali, basate sulle intenzioni o le impressioni dei consumatori, ma sulle reazioni spontanee e inconsce che il nostro cervello ha davanti ad un prodotto.

Dobbiamo quindi pensare di non poter avere più scelte spontanee?

Dobbiamo veramente credere che, in futuro, ogni nostra scelta non nascerà dal nostro libero arbitrio, ma da una serie di stimoli chimici non controllati da noi?

Ma se in fondo, il libero arbitrio, non foss’altro che stimoli chimici?
Se Cinecittà fosse interessata… ho pronta una sceneggiatura.

Pagina precedente

Indice dei contributi