BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 08/04/2002

SU 'L'ORGANIZZAZIONE INTERSTIZIALE' - DI FRANCESCO VARANINI. QUALCHE NOTA

di Maria Elisa Sartor

Che cosa propone in sostanza Varanini? Un modello di osservazione delle organizzazioni che metta in evidenza le opportunità trascurate: le innovazioni mancate, una diversa gestione delle risorse umane.

Condivido nella sostanza l’importanza  di mettere sotto un cono di luce quanto non è stato sufficientemente osservato e considerato.  Ma vorrei aggiungere una  nota: le due opportunità trascurate di cui parla l’autore, le innovazioni mancate e  una diversa gestione delle risorse umane, in un certo senso,  sono strettamente legate le une all’altra. Infatti se si gestissero le risorse umane diversamente  da quanto non si faccia in realtà,  in stretto collegamento con la  gestione strategica della conoscenza organizzativa,   il management potrebbe  non rischiare di perdere le idee innovative che circolano fra le persone. Sono opportunità  che possono nascere proprio   da quei soggetti   di cui  non ci si accorge a sufficienza  durante la vita organizzativa, di cui  spesso si soffocano  le  potenzialità creative. Sono coloro che  non salgono nella scala del potere aziendale.  Il management   dovrebbe  essere  impegnato  a mantenere  la vitalità pensante e la vivacità  di  tutte le risorse di cui temporaneamente dispone. Tratti che vengono molto condizionati  anche dal  livello di soddisfazione generato dalla vita istituzionale e dal valore che la persona sente  le viene esplicitamente riconosciuto.   Proprio di questo, del grado di  soddisfazione dei propri collaboratori,  si deve occupare il top management o, per esso, nelle medio-grandi organizzazioni,  la funzione strategica della direzione del personale. Se ragionassimo in termini di ‘metafore’ o di immagini, facendo  nostro  lo  strumento di analisi organizzativa proposto e sviluppato da  Gareth  Morgan nei due  ultimi  decenni del secolo scorso,  potremmo dire che nell’articolo di Francesco  Varanini l’organizzazione viene colta sotto varie angolature critiche, più o meno le seguenti:

in termini di ‘faccia’ (il formale, il burocratico; l’esplicito, il visibile: la facciata liscia) - quello che la organizzazione pensa di sé e che vuole attivare di sé esplicitamente

in termini di ‘prigione psichica’ per chi  è parte della organizzazione  (qui si osserva come le persone vengano e si possano sentire   bloccate nella loro energia, imprigionate e rese almeno in parte  inattive)

in termini di ‘cervello’ che l’organizzazione  non riesce sempre  ad essere a pieno.  Nel senso che, sotto questo aspetto talvolta, contrariamente ai suoi interessi, l’organizzazione opera  nella direzione  di auto-lobotomizzarsi in un modo, sono io a dirlo,  idiota.  Ogni singola persona è potenzialmente un centro di elaborazione utile alla organizzazione, se non la si ignora, o, tanto meglio,   se la si lascia funzionare senza ostacolarla)

in termini di ‘metafora politica’: se le persone vengono bloccate è perché qualcuno esercita un potere che tende a non condividere con altri.

Sono del tutto convincenti  per me i passaggi dell’articolo ( cui rimando)  che riguardano:

1.       la descrizione di come funzionano di fatto le grandi organizzazioni. Si sente che l’autore ne ha fatto ampiamente e  direttamente  esperienza sviluppando una acuta  osservazione partecipante

2.       l’evidenziazione dell’incredibile spreco che si consuma nelle grandi organizzazioni

3.       il rimando alle modalità di crescita e di sviluppo delle imprese innovative

Qualcosa d’altro nel testo,  invece,  fa nascere domande, soprattutto se si considera  di adottare il modello proposto. Per esempio,  il fatto che sia soprattutto un modello che si basa sulla osservazione delle relazioni  intraorganizzative meno evidenti. Tutto bene, di per sé, per il metodo. E’ uno strumento  di  analisi scientifica.  

Ma se questo modello della ‘organizzazione interstiziale’ è da proporre alle aziende per offrire loro delle opportunità di miglioramento,  considerando anche le  opinioni più diffuse nel management (quelle meno confessabili  ma che serpeggiano nelle riunioni informali),  un metodo  basato sulla   osservazione dell’agire organizzativo  può essere riconosciuto  utile e quindi utilizzato  dalle aziende ? O si tratta di un modello   solo  per imprese modello  ?   Ci sono aziende di questo tipo in giro ? Sarebbe interessante verificare quale reale utilizzo poi  facciano di quanto viene in evidenza dalle analisi che le riguarda.

Alle aziende, per lo più,  non interessa osservarsi.   Non  hanno   interesse ad   osservare con attenzione quello che proprio loro stesse hanno determinato, consapevolmente,  talvolta con un evidente miope accanimento o per naturale esito di meccanismi inerziali di gestione del potere organizzativo. Quali  altre ragioni devono essere addotte  per convincere le aziende ad adottare questo modello ?

E anche si riuscisse a convincerle… basterebbe  descrivere il fenomeno che loro stesse creano per infondere la motivazione al cambiamento ? I risultati delle osservazioni  verrebbero considerati  ? Infondo non potrebbe essere  anche questo un  tipo di  intervento di consulenza  da collocare  nella categoria degli interventi ingenui ? Come altri, che  difficilmente hanno effetti positivi di una qualche durata…. Sto pensando agli interventi per lo sviluppo di pari opportunità nei luoghi di lavoro, per esempio.

Sostanzialmente diremmo ai clienti: “guarda quanto sei non accorta, azienda: funzioni così, sprechi questo e quello. Accorgiti di ciò che sprechi.” E poi dovremmo dire anche cosa fare per non sprecare ancora. Ma in letteratura, in particolare  in sociologia della organizzazione, si dice che  é proprio  nella natura delle organizzazioni  riprodurre sempre qualche esclusione, e quindi, in ultima analisi,  qualche spreco.  Diremmo  quindi che proponiamo di contenere una  limitazione  che sappiamo  non superabile,  in termini assoluti; che possono imparare a sprecare meno, se vogliono. Che per vedere che cosa sprecano devono rivolgere lo sguardo in una direzione diversa da quella verso cui solitamente guardano. Stiamo allora (consapevolmente o meno)  dando alle aziende alcuni nuovi  strumenti di controllo del loro funzionamento politico. Ma le aziende  sono loro per lo più  a  non voler  guardare agli interstizi: è questa una modalità consapevole,  nel senso che controllano ciò che vogliono riprodotto  come lo immaginano  nelle loro intenzioni e nel contempo sanno di sprecare. In questo senso è forse proprio attraverso l’utilizzo della   lente della metafora politica (in senso sociologico) che possiamo mettere a fuoco perché ciò accade e spiegare le resistenze  che le organizzazioni mostrano nei confronti della considerazione della ricchezza degli interstizi nella vita organizzativa.

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