BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/03/1999

VALORI E IMPRENDITORIALITÀ DIFFUSA
Gli insegnamenti e gli stimoli di un film: Tre colori: Bianco di Krzystof Kieslowski

di Carlo Scarbolo

TRE COLORI: BIANCO
(Trois Coleurs: Blanc)
Una Trilogia di Krzystof Kieslowski e Krzystof Piesiewicz.
Regia: Krzystof Kieslowski
Sceneggiatura:Krzystof Kieslowski e Krzystof Piesiewicz.
Direttore della fotografia: Edward Klosinski
Musica originale: Zibigniew Preisner
Con la partecipazione di Zibignew Zamachowski, Julie Delphy, Jerzy Stuhr, Janusz Gajos
Girato in Francia e in Polonia nel 1992. Vincitore dell’ Orso d’argento per la regia al Festival di Berlino 1994

Personaggi principali:
Karol Parrucchiere polacco, marito di Dominique
Dominique Parrucchiera, moglie francese di Karol
Mikolaj Giocatore di Bridge, amico di Karol
Jurek Fratello di Karol

Intreccio.
Karol si trova a Parigi, dove abita e lavora, per la prima udienza della causa di separazione intentata da sua moglie Dominique. La ragione della separazione espressa davanti al giudice è l’impotenza del marito; in termini giuridici, il matrimonio non è stato consumato. Karol, visibilmente scosso e provato dalla situazione abbozza, in uno stentato francese, un tentativo di riconciliazione che si spinge fino a sentirsi dire di non essere più amato da sua moglie.

Allontanato da casa e senza più un soldo in banca, cerca riparo dal freddo invernale prima nel salone di bellezza di sua moglie, da cui viene cacciato, poi in un tunnel del metrò, dove tenta di racimolare qualche spicciolo suonando su un pettine. Lì viene notato da Mikolaj, giocatore di Bridge polacco arrivato a Parigi per giocare nei grandi club, che gli parla di un affare sgradevole, ma remunerativo. E’ un polacco che vuole essere ucciso, ha moglie e figli, che soffrirebbero troppo se si suicidasse. Facendo così, la colpa sarebbe da attribuire al caso.

Karol, stordito dalla proposta, pensa ad un altro modo per tornare in Polonia anche senza passaporto. Si rinchiuderà dentro una valigia, che Mikolaj imbarcherà come suo bagaglio. Arrivato finalmente a Varsavia, non senza ulteriori complicazioni, raggiunge il negozio di suo fratello Jurek, anch’egli parrucchiere.

Passato un periodo di sconforto e riposo, Karol non si dà per vinto e cerca il modo per darsi da fare e guadagnare un po’ di soldi. Si rivolge ad un cambiavalute in affari con alcuni imprenditori polacchi per lavorare là dove i soldi girano abbondanti, ma come primo impiego ottiene solamente un posto da guardia. Un giorno, trovandosi sul sedile posteriore di una macchina dove c’erano sia il suo datore di lavoro sia un uomo d’affari, ascolta una conversazione privata dei due scesi dalla macchina facendo finta di dormire. Il cambiavalute stava proponendo all’altro di acquistare un vasto terreno abitato da contadini, dove presto sorgeranno numerosi fabbricati industriali.

Karol allora decide di comprare piccoli appezzamenti sparsi in mezzo al terreno per poi rivenderli ai due. Per procurarsi i soldi contatta Mikolaj, interessato a quell’affare che gli aveva proposto a Parigi. Sul luogo dell’appuntamento è però lo stesso Mikolaj a presentarsi. Karol tira un colpo con un proiettile a salve e con questo convince il suo amico a desistere dall’intento. In seguito con buona abilità negoziale convince prima di persona i contadini a vendere le loro proprietà e poi, rischiando in un primo tempo la vita, i due affaristi a comprare i suoi terreni pagando dieci volte quello che lui stesso aveva sborsato.

Con il ricavato Karol apre una impresa commerciale e convince Mikolaj a gestirla insieme a lui. Divenuto ricco, Karol prima cambia il suo testamento in favore della sua ex-moglie e poi finge la sua morte per far venire Dominique a Varsavia. Ormai sicuro di sé si fa trovare dalla sua ex-moglie nel letto della sua camera d’albergo per poi convincerla a ritornare con lui. Dopo un ultimo colpo di scena il film si chiude con i protagonisti che, alla fine, decidono di sposarsi e ritornare a vivere insieme.

Commento.
Secondo di una trilogia che si ispira al motto rivoluzionario libertà, uguaglianza, fraternità, Film Bianco riflette sul concetto di uguaglianza raccontando una storia d’amore tra un polacco ed una cittadina francese.

Ciò che ovviamente non andrò a sviluppare sarà una ricostruzione esegetica di quello che gli autori hanno voluto dirci, ma il film servirà solo come pretesto per parlare di un tema che ritengo di grande importanza per gli studiosi dell’impresa.

L’interrogativo è semplicemente questo: quale è il fine dell’impresa? E’ semplicemente il massimo profitto pro-tempore possibile o possiamo dire che l’impresa persegua fini sociali e da qui il bene comune? E quale è il fine dell’imprenditore? Lo stesso di quell’aggregazione sociale che chiamiamo impresa o egli, in quanto persona, finalizza il suo agire in ultima istanza verso altri traguardi?

Durante il corso non abbiamo parlato espressamente di queste tematiche, ma abbiamo abbondantemente discusso e analizzato il concetto di imprenditorialità, si è parlato dell’imprenditore in quanto persona (caratteri del leader), di missione aziendale, dei valori all’interno dell’organizzazione, della motivazione delle persone che appartengono ad essa.

Siamo arrivati alla consapevolezza di come sia importante mettere l’accento su questi temi, perché sono questi a determinare i differenziali competitivi dell’impresa di oggi e di domani.

Franco d’Egidio in un suo articolo dice che perché le persone siano adeguatamente motivate bisogna realizzare un’area di sovrapposizione, almeno a livello dell’alta direzione, tra valori in individuali e valori aziendali, area che viene chiamata dei valori condivisi. "Per assicurare che vengano condivisi, bisogna soddisfare i bisogni e i valori individuali" si dice nel testo. Ma come si può anche solo tentare di farlo senza avere chiarito perché l’impresa agisce e perché l’uomo è motivato all’azione? 1

Parlando degli scopi delle persone all’interno dell’impresa il film analizzato ci è di grande aiuto. Il protagonista è spinto a far soldi dal desiderio di poter un giorno riconquistare ancora il cuore di sua moglie, di dimostrargli quanto egli possa valere, di non essere solamente uno spaventato parrucchiere con problemi di impotenza. Non si può dire che Karol sia spinto a far soldi, ma solo che sia teso alla realizzazione di ciò che desidera. Il denaro non risulta essere quindi che un mezzo strumentale ai suoi disegni. In questo caso, come in Tucker 2, non possiamo dire che l’imprenditore ricerchi il massimo profitto.

Tucker vuole che i suoi sogni diventino realtà, e il suo fine ultimo non è costruire automobili o frigoriferi, ma impegnarsi in un’impresa che lo occupi e dia un senso alla sua vita. Lo stesso possiamo dire per Karol che ha una gran voglia di vivere e di riscattarsi e il mezzo per realizzare tutto questo è l’impegno in una attività che lo sproni a tirare fuori tutta la sua intelligenza, la sua astuzia, il suo coraggio, la sua creatività, il suo senso della sfida.

Sulla sua strada Karol incontra Mikolaj, un uomo oramai stanco della vita, disposto a pagare pur di farla finita senza lasciare dolore ai suoi cari. Karol riesce a motivarlo non offrendogli del denaro, ma chiamandolo in una attività di responsabilità all’interno dell’impresa. Come si motivano allora le persone? Certo non offrendolo loro meri incentivi economici (Nella società di oggi non sono questi i bisogni più importanti da soddisfare in quanto già quasi del tutto soddisfatti 3) ma offrendo loro una possibilità di sviluppo personale, di impegno, in ultima analisi di dare un senso al proprio fare, al proprio agire.

Dice Pascal: "Nulla è così insopportabile all’uomo come essere in pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. E subito sorgeranno dal fondo della sua anima il tedio, l’umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione." E più avanti: "E’ questa la ragione per cui il gioco, la conversazione delle donne, la guerra, gli alti uffici sono tanto ricercati. Non che in essi si trovi realmente la felicità, né che si creda che la vera beatitudine stia nel denaro che si può vincere al gioco o nella lepre di cui si va a caccia: non li vorremmo se ci fossero offerti in dono. Noi non cerchiamo un tal possesso, molle e placido, e che ci lascia pensare all’infelicità della nostra condizione, e neppure i pericoli della guerra o i fastidi degli impieghi; ma il trambusto che ci toglie da quel pensiero e ci distrae.

Ragion per cui si preferisce la caccia alla preda 4. Ecco perché agli uomini piace tanto il chiasso e il trambusto"

Una volta ricco Karol non è placato, non ha raggiunto il suo scopo, ma rischia tutti i suoi beni per darsi una chance di riconquistare sua moglie. Credo che anche un dirigente arrivato a un livello di stipendio molto elevato non sia per ciò stesso appagato. Perché egli sia ancora motivato ad impegnarsi per il successo dell’impresa, bisogna rendergli possibile la sua continua autorealizzazione.

Ancora Pascal: "Piace la lotta, non la vittoria. Piace vedere i combattimenti degli animali, non il vincitore che infierisce sul vinto: che cosa si voleva vedere, infatti, se non l’esito della lotta? Eppure quand’esso giunge, si è già sazi….Noi non cerchiamo le cose, ma la ricerca delle cose."

Arrivati a definire quali sono i motori dell’azione economica umana (e quindi di tutte le singole persone nell’impresa, imprenditore compreso), andiamo ad analizzare quella aggregazione sociale (perché fatta di persone) che è l’impresa. A questo punto ci si aprono davanti due strade: l’una è quella di affermare che in quanto somma di più persone, il fine di una organizzazione produttiva coincide con la somma dei fini individuali delle persone che la compongono, l’altra invece, più realisticamente, ci porta a dire che l’organizzazione abbia un fine suo proprio, forse anche parzialmente coincidente con quello degli individui che la compongono, ma sostanzialmente diversa. Non c’è dubbio che il motore delle azioni dell’impresa siano le persone che la compongono, ma è ragionevole supporre che chi entri in questa organizzazione trovi in essa delle regole già definite che trascendono la sua individualità 5

Il fine ultimo dell’impresa, e non, se è vero quello che abbiamo detto, dell’imprenditore o di qualsiasi altro membro di essa, è il massimo profitto che è raggiungibile in un dato momento, visto che è questo, in ultima analisi, lo scopo del suo agire 6. Se l’impresa tenta di raggiungere sempre più elevati livelli di efficienza, se soddisfa i bisogni dei suoi clienti esterni e interni, se sa armonizzarsi con l’ambiente esterno, competitivo e relazionale che sia, se si orienta alla qualità di tutta la sua catena del valore, lo fa unicamente perché ha come scopo il profitto. Realizzare il profitto è comunque un degli scopi più mediati che possano esistere, per realizzarlo è necessario raggiungere una quantità impressionante di scopi intermedi, ma ciò che muove l’impresa in ultima istanza è proprio questo.

A questo punto potremmo concludere che non si possa determinare alcuna sovrapposizione tra valori individuali e valori aziendali dato che il senso dell’agire di uno e dell’altro sono divergenti. L’uno cerca la ricerca delle cose, l’altra le cose stesse (Il denaro).

Dobbiamo però mettere in luce un altro aspetto della definizione data sopra di fine dell’impresa prima di sentenziarne l’incompatibilità. E’ stato detto che l’impresa non tende al profitto, ma alla sua massimizzazione relativamente al tempo in cui vive. Se questo è vero l’impresa non potrà dirsi mai soddisfatta, mai sazia dei suoi risultati, perché anche lei dotata di una miopia di fondo che la porterà a risultati soddisfacenti, mai ottimali 7.  Se pensiamo ad ogni individuo come un essere limitato non possiamo che concludere che, in modo diverso secondo le diverse capacità di far entrare e gestire le informazioni nella struttura, anche l’impresa non sia una entità perfettamente razionale e per ciò stesso massimizzante.

Anche per l’impresa è quindi istituzionalizzato come fine la ricerca, la tensione verso una condizione mai raggiungibile se non in pochi momenti della sua vita 8. Molte imprese nonostante tutto si adagiano invece su terreni già battuti utilizzando formule antiquate per arrivare alla redditività, tralasciando opportunità che potrebbero far aumentare i profitti anche di imprese con una ottima capacità di reddito.

La filosofia aziendale che, invece, ha sicuramente ben compreso questo è quella che vuole l’impresa orientata alla qualità, cioè al miglioramento continuo, alla continua ricerca di un ottimo forse non realizzabile ma sicuramente avvicinabile. L’impresa allora cercherà sempre di rendere più efficienti i suoi processi produttivi, di cogliere le opportunità di crescita all’interno o meno della sua area di attività, di scegliere nuovi canali distributivi o di migliorare la sua posizione in quelli in cui già opera.

Un’impresa di questo tipo è allora certamente in grado di creare un’area di sovrapposizione tra i valori aziendali e quelli individuali, di motivare le persone appartenenti all’organizzazione, perché non resterà mai immobile generando frustrazione e inerzia, ma cercherà di migliorarsi continuamente creando quelle occasioni di impegno personale che abbiamo detto fondamentali per l’autorealizzazione delle persone.

Si può concludere quindi che condizione necessaria perché realmente l’impresa possa trarre il meglio dai suoi membri, è che essa goda di un grado di vitalità almeno pari a quello degli esseri umani che la compongono.


1. Emanuele Severino dice che "Lo scopo di un’azione definisce quell’azione", cioè semplicemente quell’azione può essere efficacemente interpretata a partire dal suo scopo. Aristotele, introducendo quattro tipi di cause, considerava come unica forza generatrice dell’azione umana la causa finale, quella che prendeva in considerazione lo scopo a cui una cosa tende. La Venere di Milo è tale non perché esiste il marmo o lo scalpello o l’abilità dell’artista, ma perché l’artista stesso voleva fare un omaggio agli dei.

2. Tucker. Un sogno americano, di Francis Ford Coppola, 1988, con Jeff Bridges, Martin Landau, Lloyd Bridges, Dean Stockwell.

3. Basti pensare alla scala dei valori di Maslow,, dove lo stipendio è realizzazione di bisogni fisiologici, posti al primo gradino di una scala che ne conta cinque.

4. "L’agitazione e la caccia sono propriamente la nostra selvaggina" (Montaigne)

5. Ciò significa, anche se in non pochi casi questo non è vero, che l’impresa possa sopravvivere anche se qualche persona all’interno della struttura la abbandoni. L’impresa quindi gode, senza assolutizzare questa affermazione, di vita propria e quindi di regole sue proprie.

6. Dice Severino: "L’impresa non vende per soddisfare i bisogni del prossimo, ma soddisfa i bisogni del prossimo per vendere. Nel primo caso (dove non c’è un venditore, ma un benefattore), lo scopo è la soddisfazione dei bisogni, nel secondo è la vendita e il profitto.

7. In questo caso torna utile guardare all’impresa come aggregazione di più individui, i quali, ci insegna il Nobel H.Simon, sono dotati di razionalità limitata. Questo essenzialmente per due ragioni: 1) E’ impossibile possedere tutte le informazioni necessarie alle decisioni; 2) E’ impossibile formulare a priori tutti i possibili risultati.

8. Volendo essere pessimisti si potrebbe dire che anche questo breve stato è meramente illusorio.

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